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1Facundo Jones Huala, l’uomo prigioniero di un sistema che vorrebbe diffamarlo e metterlo a tacere
di Jean Georges Almendras, foto e logistica José Guzmán (Argentina)
Freddo intenso nella regione patagonica della provincia di Chubut. Siamo all’ingresso dell’Unità Penitenziaria 14 della città di Esquel, dove è rinchiuso l’attivista Mapuche Facundo Jones Huala. I burocrati di Buenos Aires, addetti alla supervisione, ci hanno impedito di incontrare Facundo faccia a faccia, ma siamo riusciti a raggiungerlo telefonicamente. Un dialogo di trenta minuti, sufficienti per conoscere i particolari della lotta che la comunità Mapuche del ‘Pu Lof, departamento de Cushamen en Resistencia’ porta avanti in quella regione della cordigliera, a 1.900 km da Buenos Aires, capitale dell’Argentina, e a 2.500 km da Montevideo, in Uruguay. Le distanze non impediscono però che queste lotte superino i confini dei rispettivi paesi, e che le rivendicazioni e le grida di giustizia facciano eco in tutta l'America Latina.
Al momento dell'intervista Facundo Jones Huala, 31 anni, aveva iniziato uno sciopero della fame che ha poi deciso di interrompere pochi giorni dopo “grazie alla crescente mobilitazione politica e sociale mapuche e dei simpatizzanti, soprattutto delle comunità, autorità ancestrali, anziani e famiglie mapuche”. Quasi simultaneamente all’interruzione dello sciopero della fame le autorità del Tribunale Federale di Bariloche gli hanno notificato di persona, nel carcere dove è recluso, l’apertura di un nuovo processo di estradizione in Cile, dove è accusato di incendiare campi e tenute.
Facundo, detenuto dal 27 giugno, (a seguito di un ordine di cattura internazionale per l'estradizione in Cile), si è così espresso durante la nostra intervista: “Io sto facendo lo sciopero della fame per un arresto illegale, una persecuzione politica in Argentina e Cile, per ordine del Ministero di Sicurezza della Nazione (Patricia Bullrich, ndr). In un clima di manifestazioni pubbliche per la mia libertà, è scomparso un ragazzo solidale con la nostra causa (Santiago Maldonado, ndr) che appoggiava il processo di recupero di terre mapuche, la protesta politica e le mobilitazioni per la libertà, proprio nella ‘recuperación de tierras’”.

Quando sei stato arrestato la prima volta?
Il 27 maggio dell'anno scorso. Sono stato detenuto diversi mesi, con due processi in corso, uno provvisorio e uno federale ai fini dell'estradizione. Sono stato processato ma hanno dichiarato nullo il processo e mi hanno rimesso in libertà. Fino al 27 giugno, quando, dopo una cerimonia mapuche, sono stato nuovamente fermato dagli agenti durante un controllo di routine. Proprio il giorno in cui si riunirono Macri e Bachelet.

Come interpreti la persecuzione nei tuoi confronti e verso la comunità Mapuche?

Come una evidente persecuzione politica e razzista, al servizio degli interessi capitalisti e imperialisti della zona. Le province di Chubut e Rio Negro, e il governo nazionale, si stanno accanendo contro il popolo Mapuche. Hanno bisogno di mettere a tacere in parte queste lotte, simbolicamente, con la mia detenzione politica e con le repressioni costanti e sistematiche che si stanno verificando nel territorio già recuperato.
Per protesta hai anche iniziato uno sciopero della fame...
Sì, e sto iniziando a sentire alcuni effetti sulla mia salute. Ho già avuto una serie di malattie,  ma al di là di questo, le mie convinzioni sono sempre ferme e chiare.

2La stampa ha parlato di una partecipazione della comunità al gruppo terroristico RAM. Cosa rispondi in proposito?

È una menzogna. Già due anni fa circa ho scartato la possibilità che ci fosse il terrorismo nella zona. C'era solamente un movimento radicale socializzato. È un processo più ampio di quello che cercano di mostrare tramite i mezzi di comunicazione. È molto difficile parlare di terrorismo quando loro arrivano con le armi facendo mostra di una brutalità totale, con apparati dello Stato. Questo è terrorismo di Stato, noi semplicemente ci difendiamo con quello che abbiamo alla nostra portata. Il 'recupero’ comprende varie comunità, è un processo di resistenza.

Oggi sei ricercato anche in Cile...
Lo stesso pubblico ministero cileno Fuentes Paredes ha parlato, attraverso il canale del governo – canal 13 e TN - della condizione politica dei reati per i quali sono imputato in quel paese. Ha fatto riferimento ad un contesto di violenza politica, che è proprio quello che noi affermiamo da tempo. E gli unici reati che la legge di estradizione non contempla sono appunto quelli politici, che hanno a che vedere con motivi di persecuzione politica, razziale, etnica, religiosa, di nazionalità, tutte caratteristiche che rientrano in questo caso.

È possibile che si arrivi all’estradizione?
Molto dipenderà dal livello di mobilitazione politica e sociale. L’unica cosa capace di forzare la mano è il potere politico del popolo.

Come ha preso la tua famiglia la notizia del tuo arresto e del successivo sciopero della fame?  

È abbastanza preoccupata e dispiaciuta. Noi approviamo la violenza politica come forma di autodifesa, ma abbiamo anche valori ed etica nel momento in cui ci si deve confrontare. Cosa che lo Stato non fa. Una parte della mia famiglia non vuole lo sciopero, alcuni lo capiscono ma non lo condividono. È una decisione politica quella di servirsi del corpo di una persona, poichè in prigione non hai più gli stessi strumenti di lotta. Non ci sono le vie istituzionali e giuridiche per una risoluzione coerente del conflitto. Così vuole lo Stato. Le comunità si sono fortificate nonostante il clima repressivo. E sono solidali, perché sanno che questa è una lotta giusta, vera, ancestrale. Gran parte di questi insegnamenti filosofici e politici sono prodotto delle nostre famiglie, dei nostri nonni e bisnonni.

Come sono le condizioni della tua reclusione?
Inizialmente mi hanno messo in isolamento. Ho dovuto fare un breve sciopero della fame affinché mi concedessero il regime di prigionia comune e mi fossero riconosciuti certi diritti.
La relazione con gli altri prigionieri è rispettosa e cordiale, eccetto con alcuni funzionari. Il direttore e due o tre altri funzionari hanno avuto un trattamento discriminatorio, in particolare verso alcune persone che sono venute a trovarmi.

3Riesci a dirigere e orientare, anche se dalla prigione, la gente della comunità che si trova nella zona recuperata?
È molto complesso. Su alcune cose posso riuscire a dare dei consigli da lontano, ma non so qual è la realtà quotidiana. Non so neppure quanta gente c’è. Non ho altre notizie oltre a quelle pubblicate dalla stampa, o che riescono a riferirmi. Senza una comunicazione diretta, devo aspettare il turno delle visite. È molto difficile avere un controllo o, come molti insinuano, una leadership dalla prigione.

Che in realtà non c'è?
No, perché è molto difficile, tenendo in considerazione la quantità di controlli. Ed è molto complesso avere una conversazione diretta senza che possa essere mal interpretata di proposito.

Sei continuamente monitorato?
Sì. Mi registravano quando avevo le visite, o mi seguivano con una telecamera.

Ti consideri un prigioniero politico?
Sì. Un prigioniero politico perseguitato dallo Stato argentino. Sono in carcere per il mio agire, la mia ideologia. Per la nostra proposta politica da attuare in entrambi i lati della cordigliera. Essere Mapuche mi ha portato al confronto con la logica di un mondo differente, dove noi siamo il nemico per il potere. Ci perseguitano anche per l'ignoranza che c'è sulla nostra forma di vita, nella nostra cultura.

Ce la puoi descrivere?
4I censimenti non arrivano dappertutto, ma siamo uno dei popoli originari più numerosi, viviamo nella zona che oggi chiamiamo Rio Negro, il territorio storico parte di Chubut. Siamo un popolo che mantiene la propria cultura con determinazione. Viviamo il nostro progetto rivoluzionario giorno per giorno nel quotidiano. Noi ci proiettiamo e manteniamo la nostra forma di vita come i nostri antenati. La comunità ha migliaia di anni di storia ma il processo di recupero territoriale è molto più recente.

Che messaggio dai alla comunità e all'opinione pubblica vicina alla vostra lotta?   
Di non abbassare la testa di fronte al potere economico contro cui combattiamo, di lottare per i loro diritti e per la libertà. Di non lasciarsi sottomettere. Alla mia gente dico di continuare, fermi nelle loro convinzioni, negli insegnamenti dei nostri antenati. Noi chiediamo alla gente di difendersi. Non possiamo fidarci oramai di questa giustizia ingiusta, che fa sparire la gente oppure la ammazza. E quando ne hanno voglia danno loro le briciole. Ogni popolo ha diritto a liberarsi, a vivere nel modo in cui vuole. Non bisogna mai darsi per vinto e bisogna lottare fino alle ultime conseguenze, quando abbiamo le idee chiare. Quando la lotta è giusta, non si può fare altro che vincere o morire.
5Cosa pensi della sparizione di Santiago Maldonado, l'attivista che appoggia la vostra lotta? Provo rabbia. Ma non mi sorprende quello che sta succedendo. Qui la gente scompare sempre,  la società è abituata, ma è il modo in cui si sono verificati i fatti ad aver creato scalpore, perché la mente è stata un membro del governo nazionale, braccio destro di Patrizia (Bullrich, ndr). È molto difficile che Santiago venga trovato vivo. Io credo che lo abbiano confuso con uno di noi Mapuche, hanno perso il controllo e adesso non sanno cosa fare. A gennaio cercarono di ammazzare qualcuno – gridavano 'bisogna ammazzarne uno' – e ferirono due membri della comunità. Sarebbe potuto succedere a chiunque, ad un giornalista, ad un pescatore o ad un turista. Purtroppo è capitato a Santiago per il suo essere libero e solidale con la nostra causa. Una sparizione che ha avuto la sua rilevanza mediatica perché Santiago non era un Mapuche.

*Foto di Copertina: www.tintapublicacióndigital
*Foto 2: José Guzmán di AntimafiaDosMil
*Foto 3: www.radiodelmolino.com.ar
*Foto 4: www.elpatanonico.com.ar
*Foto 5: www.elpatagónico.com.ar

* Produzione di audio, transcrizione di intervista: Camila Ocampo di Antimafia Dos Mil

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