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carcere brasile rivoltaSevizie, decapitazioni. Decine in fuga. L’ordine dalle favelas di Rio
da Sara Gandolfi - Video
Corpi squartati, mutilati, seviziati, offesi. Gambe e braccia accatastate nel carrello della biancheria sporca, ancora sanguinanti. E poi una testa decapitata, solitaria, sopra il mucchio di ciò che resta dei detenuti uccisi. Il video amatoriale, postato in rete dai media locali, racconta senza alcuna pietà la mattanza compiuta fra domenica e lunedì nel carcere di Manaus, cuore dell’Amazzonia brasiliana. Le autorità ammettono che la conta dei morti, e la ricostruzione dei cadaveri, durerà giorni. Per ora si parla di oltre sessanta vittime e di un numero imprecisato di prigionieri in fuga, forse più di un centinaio, passati da ben sedici tunnel scavati sotto la recinzione. «È stata la notte più sanguinaria nella storia delle nostre carceri», ha detto il segretario alla Pubblica sicurezza Sergio Fontes.

Più che una rivolta, nel complesso penitenziario Anisio Jobim Compaj si è consumato l’ennesimo regolamento di conti fra mafie rivali, durato diciassette ore. Da una parte la Familia do Norte, alleata al potente Comando Vermelho (CV, o Comando rosso) che controlla gran parte delle favelas di Rio de Janeiro, dall’altra il Primer comando de la capital (Pcc), nato negli anni Novanta nelle carceri di San Paolo. Il giudice Luíz Carlos Valois, che ha trattato con i detenuti, ha confermato che si sono arresi senza avanzare richieste particolari, solo di non subire ritorsioni. «Quindi la polizia è entrata e io sono tornato a casa» ha scritto sulla sua pagina Facebook. Lui, che di morti ammazzati nella violenta Manaus ne ha certificati tanti, stavolta non è riuscito a dissimulare l’angoscia: «Mai visto nulla di simile in tutta la mia vita, tutti quei corpi, il sangue…».



Le rivolte sono frequenti nelle carceri sovraffollate del Brasile, controllate al proprio interno da fazioni criminali rivali. Ma la battaglia esplosa a Manaus, a colpi di machete, fucili, vanghe e mazze di ferro, le supera tutte. Il giornale locale Em Tempo racconta che almeno dodici guardie sono state prese in ostaggio e molti corpi decapitati sono stati lanciati oltre il muro del carcere.

Manaus è la quintessenza del lato oscuro del Brasile, una sorta di avamposto della civiltà. Immersa nel cuore della foresta amazzonica, e raggiungibile solo via fiume o in aereo, è la capitale dei minatori e dei bordelli, sede di un bel teatro costruito durante la Belle Epoque dall’architetto italiano Celestial Sacardim e celebrato dal regista Werner Herzog nel film Fitzcarraldo . Forse non è un caso che «il più orrendo massacro carcerario» avvenisse proprio qui, nel Nord-est brasiliano vicino ai produttori di cocaina e crocevia dei traffici fra Brasile, Colombia e Venezuela. La ritirata del Comando Vermelho da varie favelas di Rio de Janeiro, «pacificate» dalle autorità in occasione dei Giochi olimpici, ha rafforzato il Primer Comando, che ha esteso i suoi traffici fino a Bolivia e Paraguay. E d’altra parte, il ministro della Giustizia, Alexandre de Moraes, lo scorso autunno aveva avvertito che la sfida fra Pcc e Cv, dopo la rottura della tregua decennale fra le due bande, sarebbe presto potuta sfociare in un bagno di sangue senza precedenti.

Le prime avvisaglie sono avvenute proprio in ottobre con una serie di uccisioni nei penitenziari di Roraima e dello Stato di Rondonia. A Manaus l’attacco è stato deciso dal leader della Familia, José Roberto Fernandes Barbosa, detto «Messi»: «Sono bastardi, li ammazziamo tutti», avrebbe detto in una telefonata intercettata dalla polizia. Ma l’ordine è arrivato probabilmente da Rio. È una delle priorità del presidente Michel Temer: evitare che la guerra fra bande si sposti dalle carceri alle strade della città carioca, dove dalla fine delle Olimpiadi, la scorsa estate, è stata registrata un’impennata di atti violenti.

Tratto da: Il Corriere della Sera

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