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NEWS 258327"Sotto i nostri occhi" - Cronaca di politica internazionale n°173
di Thierry Meyssan
L'annuncio del ritiro parziale dell'esercito russo dalla Siria ha sollevato molti commenti che spiegano il partito preso degli uni e degli altri, più che la realtà. Non solo, osserva Thierry Meyssan, i fatti dimostrano che le divergenze tra Mosca e Damasco sono state risolte, ma la Russia - che è riuscita a ribaltare l'Occidente nel campo anti-terrorista - intende lasciare i siriani a liberare essi stessi i loro territorio.

Damasco (Siria). L'annuncio da parte del presidente russo del «ritiro del raggruppamento principale del suo contingente» [1] ha provocato una nuova campagna di disinformazione. Secondo la stampa occidentale e del Golfo, Putin sarebbe "irritato" dall'intransigenza del presidente Bashar al-Assad e avrebbe deciso di lasciare la Siria per metterlo di fronte alle proprie responsabilità. Gli stessi commentatori aggiungono che, non avendo alleati, quest'ultimo dovrà fare concessioni a Ginevra e accettare di abbandonare il suo paese. Mosca avrebbe fatto un bel regalo a Washington per i cinque anni di guerra «civile».

Ora, tutto questo è assurdo.

1- L'intervento militare russo è stato negoziato nel 2012 dal generale Hasan Turkmani. Si è avverato solo tre anni più tardi, poiché Mosca puntava innanzitutto a completare lo sviluppo delle sue nuove armi, prima di disporsi sul campo. Le truppe russe hanno cominciato a installarsi a luglio 2015 e siamo stati i primi ad annunciarlo, un'informazione poi immediatamente ripresa dalla stampa israeliana e infine dai media internazionali [2].
Si era convenuto che la campagna di bombardamenti sarebbe iniziata dopo la riunione del Consiglio di Sicurezza che doveva tenersi a margine dell'Assemblea generale dell'ONU e sarebbe durata fino al Natale ortodosso, il 6 gennaio 2016.

Era pure previsto che, una volta che la pace fosse tornata, una forza della CSTO sarebbe stata schierata per mantenerla; cosa che per ora non è stata ancora possibile.

2- Tuttavia, viste le difficoltà della Casa Bianca a controllare i suoi alleati, la campagna di bombardamenti è stata estesa fino alla ripresa dei negoziati a Ginevra, finalmente fissata per il 15 marzo. È ovvio che la Russia non abbia mai preso questa data come l'anniversario di una pseudo-rivoluzione. Tutto è cominciato il 12 dicembre 2003 con la promulgazione da parte di George W. Bush della dichiarazione di guerra (Syria Accountability Act) e ha continuato di anno in anno (vertice della Lega araba a Tunisi nel 2004 sulla «democratizzazione» forzata del Libano e della Siria, assassinio di Rafic Hariri nel 2005 e accuse contro i presidenti Lahoud e Assad di esserne stati i mandanti, invasione del Libano nel 2006 per provocare l'intervento della Siria, creazione del Fronte di salute nazionale da parte dei Fratelli musulmani nel 2007, distruzione dei mezzi di comunicazione e di approvvigionamento di Hezbollah nel 2008, ecc.), passando per l'arrivo delle ostilità sul territorio siriano nel 2011, fino ad oggi.

3- La Russia apparentemente ha cominciato a ritirare il proprio contingente. Piani di volo sono stati regolarmente depositati con quattro giorni di anticipo per tutti gli aerei cargo che hanno il compito di ripiegare uomini e mezzi. La data di per sé non è stata una sorpresa. Così il capo di Stato Maggiore giordano, il generale Mishal Al Zaben, era stato informato nel merito da Mosca già a gennaio, a opera del ministro russo della Difesa Sergei Shoigu e del suo omologo siriano, il generale Fahd Jassem al-Freij [3]. È pertanto ridicolo collegare questa decisione a presunti disaccordi intervenuti negli ultimi giorni.

I disaccordi politici sono stati risolti.
Il primo è stato sulla proposta russa di un sistema federale - respinta sia da Damasco che da Riad - che rinvia all'esperienza sovietica. Ma le minoranze del Vicino Oriente, a differenza di quelle dell'ex URSS, sono intrecciate e parlano la stessa lingua.
Il secondo riguardava le elezioni parlamentari del 13 aprile, che i russi volevano respingere per includerle nei negoziati di Ginevra laddove Damasco rifiutava di violare la Costituzione.

4- Sul piano militare, l'esercito russo si ritira dal campo di battaglia, ma non dal Quartier Generale. Non è più necessario ammassare gli aerei, perché non vi sono quasi più bersagli da colpire: le fortificazioni costruite dai jihadisti e i loro mezzi per il trasporto del petrolio rubato sono stati distrutti. Per contro, il dispositivo antiaereo - costituito dai missili S-400 e Pantsir-S2 - non si muove di lì. La consegna di armi e munizioni, nonché l'accesso alle informazioni satellitari russe, continuano. La Russia ha rinnovato i materiali e ha addestrato i soldati dell'Esercito arabo siriano, che si trovava sotto embargo da dieci anni [4].
Ormai, questo non solo è in grado di difendere la popolazione civile di fronte ai jihadisti, ma di liberare il territorio occupato, cosa che ha cominciato a fare. L'aiuto russo è pertanto un sostegno aereo - e non più un semplice bombardamento - in favore delle truppe di terra, come si è visto ieri a Palmira.

Dopo aver investito centinaia di miliardi di rubli in Siria, la Russia non si ritira certo dal Vicino Oriente in un momento in cui la Turchia, l'Arabia Saudita e il Libano sono sull'orlo della guerra civile. Lascia ai siriani la gloria della loro Vittoria.

NOTE
[1] «Annonce du retrait russe de Syrie», Réseau Voltaire, 14 mars 2016.
[2] «"Les Russes arrivent (en Syrie)!": analyse d'une incertitude», De Defensa, 3 septembre 2015.
[3] "Jordan Says It Knew of Russian Drawdown Plan in Syria", Awad Mustafa, Defense News, March 15, 2016.
[4] «Il ritorno dell'Esercito Arabo Siriano», di Valentin Vasilescu, Rete Voltaire, 4 marzo 2016.

Thierry Meyssan, 16 marzo 2016.
Traduzione a cura di Matzu Yagi.

Tratto da: megachip.globalist.it

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