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pinotti robertadi Stefano Pasta
I sauditi bombardano da mesi in Yemen, al di fuori di ogni mandato internazionale, e sono i primi finanziatori dell’Isis. Eppure l’Italia, con le autorizzazioni del Governo, continua a vendere loro ingenti partite di materiale bellico. Le leggi del nostro Paese vietano esportazioni d’armi verso Paesi in conflitto armato. Ma per la ministra della Difesa «è tutto regolare».

Giovedì, nella messa mattutina a Casa Santa Marta, Papa Francesco ha nuovamente invitato a pregare per le vittime di Parigi. Ha anche chiesto di guardare con lucidità alla «Terza guerra mondiale a pezzi» in corso nel mondo e al commercio di armi: «Gesù ha detto: “Non si può servire due padroni: o Dio, o le ricchezze”. La guerra è proprio la scelta per le ricchezze: facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse. C’è una parola brutta del Signore: “Maledetti”».

L’autorevole centro di ricerca Sipri di Stoccolma, in uno studio basato sulle sole esportazioni legali dimostra che il mercato globale dei “sistemi di difesa” sta conoscendo un’età dell’oro, + 16%.
E l’Italia cosa fa? Firma commesse, esporta armi, intasca petrodollari. L’ultima consegna è partita mercoledì scorso dall’aeroporto di Cagliari con destinazione Arabia Saudita. Contiene componenti di bombe prodotte negli stabilimenti Rwm Italia di Domusnovas, in provincia di Carbonia-Iglesias, controllata dal colosso tedesco Rheinmetall. Per l’invio, come prevede la legge, è stata necessaria l’autorizzazione del Governo di Roma.

Terza spedizione di armi italiane da maggio verso l'Arabia

È la terza spedizione di questa partita: il 2 maggio è partito un primo cargo via mare dal porto di Genova fino alla città saudita di Jeddah, mentre con quello del 29 ottobre, sempre decollato dallo scalo sardo, si è passati al trasporto aereo, più rapido. Agli sceicchi ora le bombe italiane servono in fretta: devono bombardare lo Yemen, nella guerra in corso da otto mesi che ha già provocato 5.700 morti, di cui almeno 830 tra donne e bambini, 20 mila feriti, oltre un milione di sfollati e 21 milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti.

Dopo la nuova partenza di ordigni made in Italy, l’Osservatorio Opal di Brescia, Rete Disarmo e Amnesty International hanno rinnovato la richiesta al Governo di sospendere l’invio di armi. «Si tratta», spiega Giorgio Beretta dell’Opal, «di un carico atterrato nella base militare della Royal Saudi Armed Forces di Taif». E ricorda: «Bombe del tipo di quelle inviate dall’Italia, come le MK84 e Blu109, sono state ritrovate in diverse città dello Yemen bombardate dalla coalizione saudita».

In Parlamento è stata depositata una nuova interrogazione, che si somma alle quattro precedenti a cui il Ministero degli Esteri continua a non rispondere. Il 28 marzo, l’Arabia Saudita ha formalmente annunciato alle Nazioni Unite il suo intervento militare contro il movimento sciita Houthi, ma non ha mai ottenuto alcuna autorizzazione, né legittimazione. Anzi, il segretario dell’Onu Ban Ki-moon ha condannato i bombardamenti e il Consiglio europeo, proprio il giorno precedente all’ultima spedizione italiana, ha sottolineato l’impatto degli attacchi sauditi contro le infrastrutture civili, in particolare ospedali e scuole.

L’Isis ha ricevuto oltre 40 milioni di dollari negli ultimi due anni da benefattori dell’Arabia Saudita, del Qatar e del Kuwait

Se la Farnesina ha scelto il silenzio, il ministro della Difesa Roberta Pinotti è intervenuta giovedì a margine di un convegno, spiegando: «È tutto regolare per quanto riguarda le autorizzazioni, il Governo italiano opera nel rispetto della legge».

Non è vero, ribatte Francesco Vignarca della Rete Disarmo: «La Legge 185 del 1990 vieta espressamente le esportazioni di tutti i materiali militari e loro componenti verso i Paesi in stato di conflitto armato».

Nella stessa occasione, il ministro Pinotti ha confermato “il segreto di Pulcinella” sul legame tra l’Isis e gli Stati del Golfo: «All’interno dei Paesi arabi», ha detto, «ci sono state raccolte di fondi di fondazioni private che dicevano di avere fini caritatevoli e che in realtà finanziavano i terroristi». Per l’autorevole Washington Institute for Near Policy, l’Isis ha ricevuto oltre 40 milioni di dollari negli ultimi due anni da benefattori dell’Arabia Saudita, del Qatar e del Kuwait.

Del resto, l’ultima spedizione delle bombe made in Italy fa parte di una politica italiana di lungo periodo: armare il Medio Oriente in fiamme. Dalle Relazioni inviate dal Governo alle Camere si ricava che nel quinquennio 2010-2014 la meta principale delle nostre armi è stato il Medio Oriente. Cinque miliardi di euro, rispetto ai poco meno di quattro del 2005-09. Un miliardo e 200 milioni di armi sono state vendute all’Arabia Saudita, che negli ultimi dieci anni ha aumentato del 156% le spese militari.

Secondo il Dipartimento di Stato Usa (rapporto 3013) il Kuwait è «l’epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria»

Fa notare Beretta dell’Opal: «Per l’Unodc, l’agenzia dell’Onu che si occupa di criminalità e droga, il 90% dei traffici illegali di armi proviene dal commercio legale». Frutto della triangolazione o dell’aver armato gruppi che poi cambiano alleanze. La legge italiana lo vieterebbe, ma nei fatti, una volta che sono vendute ad acquirenti ufficiali del Golfo, possono facilmente finire nelle mani sbagliate. Soprattutto le armi leggere, nella cui produzione il made in Italy primeggia e che sono facilmente trasportabili e occultabili. Il Pentagono, ad esempio, ha da poco ammesso di aver perso le tracce di 500 milioni di dollari di armi inviate proprio in Yemen.

Secondo la ricerca Small Arms Survey, l’Isis ha avuto disponibilità di armi provenienti dall’Arabia Saudita e la stessa accusa grava sul Qatar. A quest’ultimo Emirato, dal 2012 al 2014 l’Italia ha esportato armi per 146 milioni. Il committente era quindi il Paese che per David Cohen, sottosegretario americano per il terrorismo e l’intelligence finanziaria, ha «un habitat permissivo che consente ai terroristi di alimentarsi».

L’accusa è riportata nello stesso rapporto del 2013 del Dipartimento di Stato Usa in cui il vicino Kuwait è indicato come «l’epicentro del finanziamento dei gruppi terroristi in Siria». Lo scorso 11 settembre, con il primo ministro kuwaitiano, Matteo Renzi ha siglato un memorandum d’intesa per un accordo a cui la Difesa sta lavorando dal 2012. Spiana la strada all’acquisto di 28 caccia Eurofighter di un consorzio europeo in cui Finmeccanica pesa quasi la metà. Per otto miliardi di euro sarà la più grande commessa mai ottenuta dall’azienda italiana, di cui il Ministero dell’Economia è il principale azionista.

Con le parole del Papa, è «la scelta per le ricchezze». E infatti, tra gli “effetti Parigi”, c’è anche il +3% registrato da Finmeccanica alla riapertura della Borsa dopo gli attentati.

Tratto da:
famigliacristiana.it

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