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bangkok-bombadi Raimondo Bultrini - 18 agosto 2015
L’esplosivo piazzato nel cuore della capitale thailandese:oltre 100 feriti. “Vogliono colpire la nostra economia”. Le piste dell’opposizione ai militari o del terrorismo islamista

Bangkok. La Thailandia è ripiombata nell’incubo della violenza e del terrore ad appena 15 mesi dall’arrivo dei militari al potere. Le leggi marziali si sono dimostrate improvvisamente inutili davanti a una bomba, la prima di questa potenza nella storia del regno thai. Cinque chili di Tnt hanno fatto strage con 19 vittime e oltre 100 feriti nel paradiso dello shopping della capitale Bangkok in un’ora di punta, le 7 di sera, tra grattacieli, alberghi e grandi magazzini dove i testimoni e i passanti si aggirano increduli e sotto choc. Scene da inferno metropolitano che nessuno aveva mai osato nemmeno immaginare. «Ho sentito il boato e ho visto arti schizzati via dai corpi e sparsi dappertutto», racconta un turista canadese che si è gettato a terra evitando le schegge. «C’era gente agonizzante e nessuno aveva il coraggio di toccarli finché non sono arrivate le prime ambulanze», dice un thailandese che era andato a fare acquisti al vicino Siam Paragon. Delle vittime 10 sarebbero thai e il resto stranieri, molti cinesi, colpiti dalle schegge e dall’impatto dell’ordigno che ha lasciato una buca del diametro di oltre un metro.

Ma la voragine che lascia nel Paese è molto più grande. Forse per un messaggio preciso ancora indecifrabile per la gente che è rimasta tutta la sera incollata davanti alla tv e ai computer dove circolano le immagini online della devastazione e del lutto, la bomba è stata piazzata davanti alla statua religiosa più venerata di tutta la metropoli. Attorno al luogo dell’esplosione che ha divelto le inferriate del tempio schizzate al terzo piano di un vicino albergo e distrutto diverse moto oltre a quella usata per piazzare la bomba, c’erano frotte di turisti e di pellegrini in cerca di grazie dal dio induista Brama a quattro volti. Offrivano a turno candele, incensi e fiori all’altare costruito negli anni ’50 dal padrone dell’hotel Erawan per scacciare la sfortuna che aveva ostacolato i lavori di costruzione. In questo stesso posto nove anni fa un giovane musulmano spaccò un pezzo della testa della statua dorata e fu linciato sul posto. Il premier di allora, Thaksin Shinawatra, la fece ricostruire ma poco dopo venne estromesso dal golpe mi-litare che precedette quello analogo del maggio 2014 contro sua sorella Yingluck.
È nella storia di questo celebre incrocio di Ratchaprasong che si cela parte del mistero di una sfida senza precedenti al sistema. Sia la matrice islamista che quella politica non sono escluse, ma secondo il potente vicepremier e ministro della Difesa Prawit Wongsuwan fin d’ora è «chiaro che gli autori mirano a distruggere l’economia e il turismo, visto l’attacco nel cuore del quartiere degli affari». A sentire le prime voci della gente, che accorre vinta dalla curiosità e tenuta alla larga dalla polizia mentre ancora si raccolgono pietosamente brandelli di corpi, non c’è stata mai tanta paura del futuro come adesso. «Questa bomba fa crollare le nuove sicurezze acquisite, la speranza che con i militari tutto sarebbe andato a posto prima o poi», dice un ragazzo che studia alla Chulalongkorn university e non simpatizza per nessuna delle parti in causa.
Ovunque si sentono le sirene delle ambulanze che continuano a trasportare oltre ai feriti anche flaconi di sangue per le trasfusioni. Il caos dei primi soccorsi in mezzo al traffico convulso rispecchia l’ansia e la paralisi di un intero popolo che improvvisamente si accorge di non poter contare nemmeno sui soldati fedeli al venerato e anziano monarca Bhumibol Adulyadej, da sempre presentati come l’ultimo baluardo di difesa del Regno, dei suoi cittadini e della fede buddhista.
Pur senza rivendicazaione, la bomba suona come una dichiarazione di guerra ai potenti dell’aristocrazia nobiliare e degli affari, e molti guardano all’estero — nell’esilio di Dubai dell’ex premier Thaksin — per cercare risposte al perché sia accaduto adesso, in questo luogo simbolico dove appena cinque anni fa c’erano cavalli di frisia, bivacchi e un gran- de palco sul quale si alternavano le camicie rosse fedeli a Thaksin per chiedere il suo rientro e la fine del governo usurpatore dei “Democratici” messi al potere dai precedenti golpisti. Un video ripreso ieri da una postazione fissa mostra l’attimo della enorme fiammata che nell’esplosione ha illuminato di rosso l’incrocio di Ratchaprasong. La memoria va a uno degli ultimi atti dei rivoltosi cacciati dall’esercito dopo mesi di occupazione, l’incendio del Central World con i suoi cinque piani di merci proprio dirimpetto all’altare di Brama, con le fiamme che producevano lo stesso terrore di ieri, lungo le strade a sei corsie sormontate dai ponti volanti del treno veloce metropolitano che ieri ha continuato le sue corse come se niente fosse successo.
Anche per i nemici dell’ex premier Thaksin è difficile immaginare che un messaggio tanto odioso possa venire da un politico che ha sempre manifestato pubblicamente devozione alla madrepatria, e che aveva continuato a ricevere voti fino all’ultimo governo della sorella Yingluck. Proprio in questi giorni la sorte di Yingluck è affidata a una corte che potrebbe arrestarla per malversazione, ultimo atto della guerra della giunta militare alla dinastia Shinawatra. Ma può essere questo il movente di una strage del genere? L’altra ipotesi è quella di una matrice islamica, ma finora gli ordigni dei separatisi musulmani sono sempre esplosi soltanto nelle tre province ai confini malesi dove in 11 anni ci sono stati oltre 6.000 morti. Nell’attesa di una risposta la gente teme che adesso i turisti torneranno a evitare la Thailandia, com’era successo dopo lo tsunami e l’occupazione delle strade. Un timore fondato nonostante le rassicurazioni del regime.

tratto da: La Repubblica 18 agosto 2015

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