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netanyau-obama 3traduzione di Enrico Del Sero - 16 luglio 2015
Su una cosa tutti – americani, iraniani, israeliani ed europei – sembrano essere d’accordo: l’intesa sul nucleare iraniano siglata l’altro ieri è «storica». Ma il vero significato di questa definizione resta un’incognita, e probabilmente lo sarà ancora per un decennio o due. Solo a quella scadenza sapremo se la corsa dell’Iran all’arma nucleare è stata fermata, come oggi sostiene il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, o se gli abili negoziatori iraniani si sono fatti beffe delle anime candide di Washington, Londra e Parigi. Tra dieci o vent’anni, Teheran avrà la Bomba — non un singolo ordigno esplosivo, ma un arsenale di armi nucleari pronto a essere dispiegato – oppure no.

Gli israeliani e i loro alleati a Washington (tra cui la maggior parte dei componenti delle due Camere del Congresso, dove i repubblicani detengono la maggioranza) temono due cose: che gli iraniani violino l’accordo e facciano il gioco sporco, ovvero che rispettino l’intesa, lasciando intatti i loro principali impianti nucleari (Fordow, Natanz, etc.), e tra dieci o quindici anni riprendano la corsa all’arma nucleare, stavolta senza i vincoli dell’accordo.
Quanto al gioco sporco, l’esperienza delle Grandi Potenze e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) da un decennio a questa parte dimostra che gli iraniani sono maestri dell’inganno e del raggiro in tutto ciò che attiene al nucleare (per inciso, come lo fu Israele nel periodo 1958-1968, al quale viene fatta risalire la costruzione dei suoi impianti nucleari). Il timore è che l’Iran possa continuare (clandestinamente) a produrre uranio arricchito (o altamente arricchito) in siti sconosciuti o ancora da costruire, e che prosegua nell’attività di ricerca e sviluppo sulle testate nucleari (miniaturizzazione) e sui sistemi di lancio (raggi e missili). Dato che le sanzioni contro Teheran saranno presto revocate, gli iraniani disporranno di parecchi miliardi di dollari con cui finanziare il proprio programma nucleare (oltre che le loro azioni sovversive e gli alleati terroristi all’estero).
Il timore di un’attività di produzione e sviluppo clandestina da parte dell’Iran è stato acuito nel corso dei negoziati dalla strenua (e infine vittoriosa) opposizione di Teheran all’accesso immediato e incondizionato degli ispettori internazionali a tutti i siti. È il caso di notare che Obama l’altro giorno ha annunciato che l’accordo prevede l’accesso agli «impianti nucleari chiave» – non a qualsiasi impianto o sito militare. Gli ispettori dell’Aiea – e i loro supervisori europei e americani – avranno difficoltà a monitorare l’attività degli scienziati e dei tecnici iraniani, ed è ragionevole aspettarsi per i prossimi anni un gran mercanteggiare tra l’Iran e i cofirmatari dell’accordo a questo riguardo.
Obama ha anche annunciato che l’intesa aiuterà a fermare la proliferazione nucleare. C’è da dubitarne. Il rafforzamento dell’Iran rivoluzionario sciita – con l’afflusso di centinaia di miliardi di dollari e nuove, sofisticate armi convenzionali, in aggiunta alle infrastrutture nucleari esistenti (impianti di arricchimento, reattore al plutonio, e così via) – difficilmente placherà i timori dei re e generali dei centri di potere arabi sunniti (Arabia Saudita, Egitto), né quelli di Turchia e Israele. È lecito presumere che alcuni di questi Stati diano avvio a nuovi programmi nucleari o rafforzino quelli già intrapresi.
Tra gli israeliani, c’è chi ripone le proprie speranze in una mancata ratifica dell’accordo, cioè nella possibilità che nei prossimi 60 giorni il Congresso statunitense si rifiuti di approvarlo. Al momento appare improbabile. Negli ultimi giorni, diversi politici israeliani hanno continuato a lanciare allusioni più o meno esplicite a una possibile campagna aerea israeliana volta a distruggere gli impianti nucleari iraniani, nonostante l’accordo internazionale. La maggior parte dei commentatori, tuttavia, liquida questa ipotesi come irrealistica, a meno che l’Iran non venga colto in flagrante violazione dell’accordo. In quel caso Obama, o il suo successore, sarebbe costretto ad alzare le mani e dare luce verde a Gerusalemme.

Tratto da:Il Corriere della Sera

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