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tobagi-benedetta-web0di Benedetta Tobagi - 22 aprile 2014
Documenti, archivi e segreti di Stato le strade per sapere la verità
Renzi ha preso un impegno per la total disclosure, cioè la “trasparenza totale”. «Abbiamo deciso di desecretare gli atti delle principali vicende che hanno colpito il Paese e trasferirli all’Archivio di Stato», ha detto, «per essere chiari: tutti i documenti delle stragi».
Quelle avvenute tra il 1969 e l’80, atti di terrorismo neofascista in larga parte impuniti (e speriamo che l’impegno sia presto esteso anche alle grandi stragi mafiose del 1992-’93). Parole importanti, ma devono essere precisate. Dopo tanti proclami disattesi nel corso degli anni, infatti, molti si sono chiesti: ma in concreto, cosa vuol dire?
Gli “addetti ai lavori” aspettano da tempo la pubblicazione dell’inventario dei documenti ancora secretati presenti nei depositi di tutti i ministeri. Il governo Monti aveva promesso di completarlo già nel 2012, al fine di rendere pubblici e consultabili presso l’Archivio di Stato atti prima inaccessibili: un tesoro di carte necessarie per capire più a fondo le stragi di Bologna o del treno Italicus, le tecniche depistatorie dei servizi, i meccanismi del potere, il contesto delle attività illecite della loggia P2 e molto altro. L’immane inventario è finalmente pronto? A questo fa pensare l’accenno di Renzi a una riunione con l’organismo di coordinamento dei servizi segreti (il Dis), coinvolto nella mappatura.

Per capire meglio di che si parla, e l’importanza di questo passaggio, serve un riassunto delle puntate precedenti del romanzo (delle carte) delle stragi. Nel 2007 fu varata, nel tripudio generale, la riforma dei servizi segreti con annessa normativa sul segreto di stato. La legge 124/2007 obbligava per la prima volta per i servizi a gestire i propri archivi secondo criteri di maggior trasparenza (innovazione dirompente nel Paese dei dossier illegali, dove nel ‘96 si ritrovò “per caso” un depositofantasma di documenti dell’Ufficio Affari Riservati — l’ intelligence dell’Interno — sulla circonvallazione Appia, a Roma) e soprattutto limitava la durata del segreto di Stato a un massimo di trent’anni. Finalmente la verità sui misteri d’Italia! pensarono in molti. Certo, come ben sanno i ricercatori, negli archivi non ci si aspetta di trovare l’equivalente della “pistola fumante”, carte che inchiodino esecutori e mandanti delle stragi impunite. I documenti richiedono un paziente lavoro di analisi, ricomposizione e tessitura che li faccia parlare, ma sono lo strumento indispensabile per approfondire le conoscenze sull’Italia delle stragi emerse dai numerosi processi celebrati dal ‘69 a oggi. La legge del 2007, però, per funzionare aveva bisogno di un regolamento che disciplinasse le materie più delicate, tra cui la gestione dei documenti storici. Il regolamento arriva solo nel 2011, col decreto di Monti “Disposizioni per la tutela amministrativa del segreto di Stato e delle informazioni classificate”. Attenzione, sono queste ultime il vero problema, quando si parla di trasparenza. Il famigerato segreto di Stato fu opposto alla magistratura in pochissimi casi, mentre sono molti i documenti “classificati”, cioè sottoposti a un vincolo di segretezza variabile entro la pittoresca (e ridondante) scala “riservato-riservatissimo-segreto-segretissimo”, accessibili in caso di inchieste giudiziarie, ma non ai ricercatori. Gli ostacoli alla consultazione sono polverizzati in un mare di documenti prodotti da soggetti diversi (la Presidenza del Consiglio, il Ministero dell’Interno, o della Difesa, da cui dipendeva il Sid). Solo gli enti produttori sanno quali e quanti documenti riposano nei loro armadi, loro pongono il vincolo, a loro spetta, trascorsi i termini (in teoria non più di 10 anni, ma sono possibili deroghe a discrezione), dire se il segreto può essere tolto o chiedere una proroga. Un mare di carte dai confini incerti, di cui Monti aveva promesso la mappa entro e non oltre il 29 febbraio 2012 per “disporre in un quadro organico e unitario di tutti gli elementi relativi ai segreti di Stato”. Si dovrebbe ripartire da lì.
Il potere, in Italia, ha protetto se stesso attraverso l’informalità, il disordine e il silenzio. Nelle inchieste sulle stragi, il vero problema è sempre stato il segreto di stato “strisciante”: informazioni nascoste agli inquirenti in maniera informale, documenti nascosti, sottratti, distrutti. La prima urgenza è quindi far emergere e mettere in sicurezza tutto il possibile. In pratica: versamento regolare e completo dei documenti prodotti da ministeri e altri enti all’Archivio di Stato. Questo è il vero tasto dolente, in Italia. Ad oggi, gli eredi di quei servizi segreti così spesso responsabili dei depistaggi non hanno l’obbligo di versare le loro carte. Ironia, sottolinea l’archivista Giulia Barrera, persino il regolamento che disciplina l’invio discrezionale di documenti all’Archivio di Stato è secretato.
È importante che il primo ministro abbia assunto un impegno per la trasparenza. Per questo, prendiamo spunto dalle sue parole per suggerirgli alcuni interventi concreti per dare maggior forza e credibilità alla sospirata total disclosure . Primo: rendere obbligatorio il versamento periodico dei documenti all’Archivio di Stato per tutti gli enti produttori statali, inclusi l’Arma dei Carabinieri (che tanta parte ebbe — nel bene e nel male — nelle indagini sulla “strategia della tensione”), gli archivi militari, la Guardia di Finanza. E magari in tempi più brevi (il termine oggi è ancora di 40 anni). Secondo: non affidare solo ai servizi segreti e a chi ha prodotto i documenti (soggetti che potrebbero avere interesse a perpetuare il segreto, o quantomeno mantenere l’opacità in cui risiede il vero potere dei burocrati) la mappatura, l’inventariazione e la selezione delle carte storiche, ma coinvolgere anche archivisti di Stato di comprovata esperienza, come garanti di “terzietà”. Tenendo a mente il monito di Giovanni Conso: mai distruggere documenti fino a che il segreto non sia stato tolto, dando la possibilità di indagarli. Terzo: risolvere contraddizioni e aporie segnalate dagli addetti ai lavori nella normativa del 2007, che ne indeboliscono l’efficacia. Last but not least, garantire agli archivi le risorse per assumere e formare personale ben preparato, e spazi adeguati per valorizzare le carte che già ci sono (ricordiamo al premier che sul tavolo del precedente governo erano arrivate varie proposte, a basso costo e di sicura efficacia, dalla digitalizzazione dei documenti già disponibili all’utilizzo di caserme dismesse come sedi per eliminare il costo degli affitti). La vera trasparenza comincia da lì.

Tratto da: La Repubblica del 22 aprile 2014

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