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pollari-niccolodi Paolo Colonnello - 25 febbraio 2014
I giudici: la sicurezza interna del Paese prevale sulle indagini della magistratura
Un verdetto obbligato quello di ieri con cui i giudici della Cassazione hanno definitivamente chiuso il tormentone del sequestro Abu Omar annullando senza rinvio la condanna d’appello con cui l’ex capo dei servizi segreti militari Niccolò Pollari (in foto) e l’ex numero uno dell’antiterrorismo Marco Mancini erano stati condannati rispettivamente 10 e 9 anni di reclusione, insieme ad altri tre funzionari dell’ex Sismi, Luciano Di Gregorio, Giuseppe Ciorra e Raffaele Di Troia ciascuno con sei anni di reclusione.

I magistrati di piazza Cavour infatti non hanno potuto che prendere atto della sentenza con cui la corte Costituzionale aveva duramente bacchettato la decisione sia della sezione d’appello di Milano sia della Cassazione con cui gli agenti erano stati condannati per sequestro di persona, sostenendo la prevalenza del segreto di stato sulle indagini della magistratura. Il concetto alla base della sentenza della Consulta «La disciplina del segreto involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza», si leggeva nelle motivazioni. «L’apposizione del segreto da parte del Presidente del Consiglio dei ministri - cui spetta in via esclusiva l’esercizio della relativa attribuzione di rango costituzionale, in quanto afferente la tutela della salus rei publicae, e, dunque, tale da coinvolgere un interesse preminente su qualunque altro, non può impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato, ma può inibire all’autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto. Un ambito, questo, nel quale il Presidente del Consiglio dei ministri gode di un ampio potere discrezionale, sul cui esercizio è escluso qualsiasi sindacato dei giudici comuni, poiché il giudizio sui mezzi idonei a garantire la sicurezza dello Stato ha natura politica».
É, di fatto, la pietra tombale sulla vicenda iniziata quasi dieci anni fa, quando un commando della Cia prelevò a Milano Abu Omar, predicatore islamico già allora in odore di estremismo e poi condannato per terrorismo internazionale. Sia per Pollari che per Mancini, inizialmente la Corte d’Appello di Milano aveva dichiarato il “non luogo a procedere”. Ma la Cassazione, il 19 settembre di due anni fa, aveva annullato la sentenza disponendo un nuovo giudizio che aveva portato il 12 febbraio 20013, ad un verdetto di condanna. Quindi il governo aveva sollevato i conflitti di attribuzione e le sentenze sono state travolte dal pronunciamento della Corte Costituzionale. Così, quando ieri la Cassazione ha aperto l’ultima udienza, non ha potuto che prendere atto di quanto stabilito dalla Corte Costituzionale. Rimarrà il dubbio o la curiosità di sapere nel sequestro dell’imam, che venne in seguito torturato in Egitto, quale fu davvero il ruolo dei nostri servizi. «Inesistente»,come ha sempre sostenuto il generale Pollari. «Attivo e complice» come hanno sostenuto i magistrati nelle indagini.

Tratto da: La Stampa del 25 febbraio 2014

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