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mangiacasale-marcodi Marco Ansaldo, Elena Affinito e Giorgio Ragnoli - 11 febbraio 2014
La Santa Sede riduce allo stato laicale l'ex parroco di Como, don Marco Mangiacasale, anticipando la giustizia italiana. È il primo caso nel nostro Paese sotto il pontificato di Francesco
Città del Vaticano
- Può la giustizia vaticana, su un caso di pedofilia nella Chiesa, arrivare prima di quella italiana con una sentenza definitiva? E apparire così ancora più ferma e inflessibile? Può, nell'era di Papa Francesco. Lo dimostra un caso risolto di recente dal Sant'Uffizio: quello di don Marco Mangiacasale (in foto), il sacerdote della diocesi di Como già condannato nei primi due gradi del processo penale a 3 anni, 5 mesi e 20 giorni di carcere per abusi sessuali su 4 ragazze minorenni. L'ex parroco e poi economo della parrocchia di San Giuliano, con una sentenza firmata dal Papa argentino e dal Prefetto per la Congregazione della Dottrina della Fede, monsignor Gerhard Ludwig Mueller, lo scorso 13 dicembre è stato infatti "ridotto allo stato laicale".

Il provvedimento, giunto dopo l'indagine (Investigatio praevia) del delegato all'inchiesta, il reverendo Andrea Stabellini come vicario giudiziale, equivale per un sacerdote al massimo della pena applicabile secondo il diritto canonico. "È come una condanna a morte o un ergastolo", dice a Repubblica un attento osservatore di cose vaticane. Ed è una misura che in questo caso la Santa Sede ha preso non attraverso un processo tradizionale, con i testimoni e la difesa. Ma, addirittura, scegliendo la via amministrativa, quella più rapida, visto il grado di certezza del Vaticano.

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LE CLINICHE DEI PRETI PEDOFILI

La riduzione di don Mangiacasale allo stato laicale è la prima di cui si ha notizia per un sacerdote italiano sotto Francesco. Un altro caso, affrontato lo scorso anno dal Sant'Uffizio, è quello del prete australiano Greg Reynolds. La Congregazione della Dottrina delle Fede lavora intensamente: nel biennio 2011-2012 i preti spogliati da Benedetto XVI del loro ministero sacerdotale sono stati circa 400. Commenta la fonte, senza stupirsi: "Questa è la politica, che in un linguaggio laico potrebbe definirsi giustizialista, introdotta da Ratzinger quando da cardinale guidava il Sant'Uffizio. Prima da prefetto, e poi da pontefice, pur di reprimere il triste fenomeno ha introdotto una legislazione inflessibile, e in alcuni casi non garantista".

Nel documento Papa Francesco e il Prefetto Mueller hanno dato facoltà al vescovo della diocesi di Como, monsignor Diego Coletti, di divulgare la notizia. Il 30 gennaio, un giovedì sera, Coletti ha convocato nel suo ufficio dalle 21 alle 22,30 le famiglie coinvolte. Tutti in piedi, è stata data lettura delle disposizioni della Gerarchia ecclesiastica. "Don Marco Mangiacasale è stato ridotto allo stato laicale, non potrà fare l'educatore nelle scuole cattoliche né partecipare in ogni modo a gruppi o organizzazioni dove siano presenti dei giovani". Il documento vaticano era già stato sottoscritto da Marco Mangiacasale. I convenuti hanno apposto la loro controfirma. Sedutisi, hanno pregato il vescovo di rendere nota la decisione. "Secondo noi, è bene divulgare la notizia. Ci sembra giusto che i fedeli di San Giuliano sappiano come si è concluso il procedimento canonico e che esiste una Chiesa pulita, in cui noi crediamo, capace di rendere giustizia. Ci faccia il regalo, monsignore: sabato 15 febbraio, quando lei verrà in visita in parrocchia, lo dica alla comunità".

La discussione è stata lunga. E piuttosto animata. Ma niente da fare. Coletti ha deciso di mantenere il riserbo sulla vicenda. Persino in un momento in cui, dopo la polemica Onu-Vaticano sulla pedofilia, lo stesso portavoce papale, padre Federico Lombardi, ha ricordato che la Chiesa affronta la questione "con un'esigenza di trasparenza ". Il colpo di scena finale, alla vigilia della visita pastorale del vescovo di Como a San Giuliano, è l'improvvisa comunicazione del monsignore di non poter andare adducendo motivi di salute.

C'è chi dice che Coletti (il quale contattato da Repubblica attraverso la sua addetta stampa ha preferito non parlare) si sia sentito superato dalla sentenza della Santa Sede. E si possono ricordare le sue parole al momento della condanna di don Marco, quando disse che il sacerdote "ha ammesso i suoi errori e sta seguendo un percorso di riparazione del male commesso".

Forse, dicono in Vaticano, monsignor Coletti "come fa un padre, puntava ancora a recuperare la propria pecorella". C'è invece chi dice che il vescovo di Como abbia forse agito a oltranza nella difesa di don Marco, contribuendo per anni a insabbiare il caso prima che venisse scoperto grazie a una dichiarazione di una delle ragazze al nuovo parroco di San Giuliano, don Roberto Pandolfi.

Marco Mangiacasale, che in attesa della sentenza definitiva della Cassazione ha già scontato dall'8 marzo al 26 maggio 2012 due mesi di isolamento nel carcere del Bassone, a Como, e ora si trova protetto nella casa della sorella, ha risarcito le famiglie, come ha disposto la giustizia civile. Ora, anche quella vaticana è intervenuta. Non ci sono sconti nell'era della trasparenza di Papa Francesco.

Tratto da: inchieste.repubblica.it

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