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acqua-raccolta-webRapporto dell’intelligence: fra un decennio inondazioni e carestie porteranno al collasso molti Stati
di Maurizio Molinari - 24 marzo 2012
Attentati contro dighe e argini, conflitti innescati da siccità, inondazioni come armi di ricatto e soprattutto eserciti pronti a battersi per il controllo di un’acqua dolce sempre più vitale e rara: sono gli scenari delle «Water Wars», le guerre per l’acqua, descritti dal «National Intelligence Estimate» reso pubblico a Washington dal Dipartimento di Stato per lanciare l’allarme sulle future minacce alla sicurezza globale.

Il Segretario di Stato Hillary Clinton nella prima metà del 2011 aveva commissionato all’intelligence americana uno studio sulle possibili guerre innescate dall’acqua. Il documento è stato consegnato sei mesi fa e ora la decisione di diffonderne l’indice coincide con il lancio della «Water Partnership», l’iniziativa con cui l’amministrazione Obama vuole creare un network di cooperazione fra governo, Ong e privati - aperta potenzialmente anche a Stati stranieri - per tentare di prevenire scenari da incubo.

La premessa del «National Intelligence Estimate» (Nie) è che il pericolo di conflitti innescati dall’acqua «è basso nei prossimi 10 anni» ma destinato a diventare molto serio nel 2022 a causa dei simultanei aumenti della popolazione e diminuzione dell’acqua potabile necessaria per sostenerla. «Inondazioni, carenza o qualità bassa di acqua dolce combinata con povertà, tensioni sociali, leadership e governi deboli - sostiene il documento - contribuiranno ad un’instabilità che può portare al collasso di numerosi Stati» con il risultato di «esacerbare le tensioni regionali e distrarre le nazioni dalla cooperazione con gli Stati Uniti su importanti obiettivi politici». Per Hillary Clinton si tratta di «minacce reali che sollevano seri timori per la sicurezza» e devono essere affrontate ora nel tentativo di dare delle risposte efficaci nei dieci anni di tempo che la comunità internazionale ha a disposizione per evitare il peggio. In particolare il rapporto della comunità di intelligence americana identifica le potenziali aree di crisi in Nord Africa, Medio Oriente e Asia del Sud indicando otto fiumi le cui «acque nei prossimi saranno usate come leva di potere per affermare interessi nazionali, al pari di un’arma in mano a eserciti o gruppi terroristi». È l’indice del rapporto che consente di identificare gli otto fiumi in questione, sulla base della previsione che «le nazioni da dove si originano sono destinate ad essere più potenti di quelle dove scorrono i loro corsi» trasformando la geografia in una chiave di lettura degli equilibri strategici della metà del XXI secolo.

In primo fiume indicato è il Nilo perché l’Egitto, in crescita demografica esponenziale, è destinato a dipendere sempre di più dall’acqua che trasporta, originandosi dal Lago Vittoria fra Kenya e Tanzania, e dal Lago Tana in Etiopia, per poi attraversare il Sudan con cui vi sono molteplici contenziosi aperti. Le potenziali tensioni fra Khartoum e Il Cairo sembrano essere quelle che preoccupano di più l’intelligence Usa, al pari di quelle fra Turchia e Iraq a causa di Tigri ed Eufrate, i due grandi corsi d’acqua che dall’Antica Mesopotamia hanno sempre segnato gli equilibri di potere in Medio Oriente e potrebbero assicurare ad Ankara, che ne controlla le sorgenti, un ruolo di potenza egemone su un’area del mondo arabo che si estende dalla Siria fino al Kuwait. L’altro fiume ad alto rischio in Medio Oriente è il Giordano, che si origina dalle Alture del Golan al centro del contenzioso fra Israele e Siria, scorrendo poi lungo il confine fra Stato ebraico e Giordania attraverso i territori sui quali potrebbe sorgere lo Stato palestinese. La scarsità di acqua potabile in questa regione, evidenziata dal livello in costante discesa del Lago di Tiberiade e del Mar Morto, lascia intendere che proprio la suddivisione delle risorse del Giordano potrebbe innescare futuri conflitti fra Gerusalemme, Amman e Ramallah. Riguardo agli scenari delle potenziali guerre dell’acqua nell’Asia del Sud ciò che colpisce è come i tre grandi fiumi considerati - Mekong, Indo e Brahmaputra - si origino tutti dall’altopiano del Tibet, una regione della Cina già oggetto di tensioni per motivi etnici e religiosi. Controllare le fonti da dove i tre fiumi provengono trasforma il Tibet - al momento sotto controllo di Pechino - nell’area di maggiore rilievo strategico. Il Mekong potrebbe però innescare conflitti anche fra i Paesi dell’Indocina che attraversa - Birmania, Cambogia, Laos, Thailandia e Vietnam - perché sono quelli più proiettati verso una crescita molto concorrenziale soprattutto per quanto riguarda le materie prime. L’Indo e il Brahmaputra invece legano a doppio filo le risorse idriche rispettivamente di Pakistan, India e Bangladesh ad acque che arrivano dall’attuale Cina. L’ultimo degli otto fiumi «ad alto rischio» è l’Amu Darya che nasce in Tagikistan e alimenta, direttamente o meno, le acque di Turkmenistan, Uzbekistan e Afghanistan in proporzione tale da diventare cruciale al fabbisogno idrico di una regione-crocevia degli equilibri energetici del Pianeta. «Per scongiurare il peggio abbiamo bisogno di una partnership sull’acqua - ha detto Hillary Clinton concludendo l’intervento a Washington - per disegnare la rotta verso un mondo dove non si debba mai morire per bere».

Tratto da: La Stampa

In foto
Una donna raccoglie dell’acqua in recipienti di plastica a Bangalore. La disponibilità di acqua in molte regioni è inferiore al fabbisogno

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