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di Karim El Sadi
L'ex analista della CIA in asilo in Russia: "Mai avrei immaginato di vedere i nostri tribunali condannare le attività della NSA"

Se Giulietto Chiesa fosse ancora tra noi, ieri avrebbe sicuramente festeggiato due volte. Una per il suo compleanno (avrebbe compiuto 80 anni) e l'altra per una notizia decisamente inattesa giunta agli organi di stampa internazionali in mattinata: la corte d'appello Usa ha dato ragione ad Edward Snowden, l'ex agente informatico e analista della National Security Agency (NSA) che nel 2013 aveva denunciato il programma Top Secret con cui l'intelligence americana controllava i cittadini, stabilendo che quel sistema di sorveglianza di massa era illegale. Giulietto Chiesa, e pochi altri giornalisti indipendenti, avevano difeso dal primo momento la posizione di Snowden, costretto alla fuga in Russia dove ottenne asilo sette anni fa. Il giovane whistleblower del North Carolina era stato minacciato di morte, delegittimato e perseguitato dalla legge americana. Oggi, però, chi lo additava come traditore della patria, talpa dei russi, o inflitrato dovrà quanto meno soffermarsi un secondo in più prima di aprire bocca perché la sentenza dei giudici non lascia spazi a possibili interpretazioni. Stando al verdetto della corte, non solo le rivelazioni coperte da segreto di Stato di Snowden erano legittime ma i vertici dei servizi di intelligence americani e i vari rappresentanti delle istituzioni che negavano l'esistenza del programma sono ora accusati di aver mentito e "nascosto alla popolazione attività incostituzionali". Ma cosa aveva scoperto e disvelato esattamente l'ex analista CIA e come si è arrivati a questa sentenza storica? A maggio 2013 Snowden volò per Hong Kong lasciando le Hawaii dove aveva sede l'azienda informatica consulente della CIA per la quale lavorava, la Booz Allen Hamilton. A Hong Kong Snowden, dopo aver ripetutamente tentato, ma invano, di riportare tramite canali istituzionali ciò che di sconvolgente era venuto a conoscenza nell'azienda, decise di raccontare tutto ai giornalisti Glenn Greenwald, Laura Poitras, e Ewen MacAskill. Si parla di dati riservati su milioni di cittadini, americani e non, trattati come sospettti terroristi e spiati senza riguardo della legge. Intercettazioni delle conversazioni di Capi di Stato, rappresentanti politici e potenti uomini d'affari. Accordi segreti per l’accesso alle banche dati dei giganti della rete, obbligati a sottostare alle richieste di Washington senza poterne rivelare l’esatta estensione, o direttamente a loro insaputa. Così come il deliberato indebolimento degli standard crittografici che rendono possibile mantenere sicure le transazioni finanziarie online così come le comunicazioni in chat, i contenuti pubblicati sui social e gli scambi mail. Tutto da quel momento pubblico e tutto accessibile alla popolazione. Immediata l'ira di Washington, e in particolare del Dipartimento di Stato, che tentò di nascondere e giustificare, più o meno goffamente, l'enorme mole di informazioni classificate disvelate dal giovane analista, accusato di aver violato l'Espionage Act del 1917 e di furto di proprietà del governo. Da quell'anno Snowden si trova in località segreta in Russia, l'unico Paese che gli aprì le porte dopo che gli Stati Uniti gli invalidarono il passaporto. E ora finalmente la sentenza della corte Penale USA, arrivata a seguito di un procedimento di appello contro tre indagati accusati di terrorismo. Anche se la loro colpevolezza risulta confermata, la Corte ha stabilito che i dati raccolti su di loro dall'allora programma dell'NSA sono illegali, oltre a non essere utili ai fini delle indagini e all'attribuzione della loro colpevolezza. Con sorpresa e soddisfazione ha accolto la notizia il diretto interessato. "Non avrei mai immaginato che avrei vissuto abbastanza da vedere i nostri tribunali condannare le attività della Nsa definendoli illegali. - ha commentato da Mosca Snowden - Eppure quel giorno è arrivato". Ora la speranza è che presto possa finalmente fare ritorno in patria ma per questo serve che la Corte suprema si pronunci sul caso avallando il verdetto della corte d'Appello. Nel frattempo si può affermare con forza che la sentenza andrà a supporto di tutti quei whistleblower come Julian Assange, Chelsea Manning e tanti altri oggi in attesa che il principio di verità e giustizia prevalga sull'avidità delle organizzazioni di potere, delle multinazionali e degli apparati di sicurezza.

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