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di Karim El Sadi
Appesa e legata a mani e piedi per 20 ore, ora si trova in isolamento in una cella angusta sorvegliata h24 dalle telecamere
L’avvocato: “Mi è stato impedito di visitarla per 23 giorni

20 agosto 2019, una ragazza palestinese di 24 anni si mette in viaggio insieme alla madre in direzione Nablus, Cisgiordania, per assistere al matrimonio di un parente. Al ponte di Allenby però, il valico che collega la Giordania con la Palestina, attraversato ogni giorno da migliaia di palestinesi, la giovane viene inspiegabilmente fermata e rapita dalle autorità israeliane che presidiano il confine e controllano tutti gli accessi. Di Heba Al Labadi, questo il nome della ragazza, non si è saputo nulla per diversi giorni fino alla settimana scorsa. La giovane infatti era stata arrestata e subito trasferita nel centro detentivo di Al Damon dove è stata incatenata, spogliata e sottoposta a pesantissime torture. L’accusa? Nessuna. Heba infatti è solo una dei 413 palestinesi trattenuti sotto detenzione amministrativa da Israele (fonte ‘Btselem). Una pratica totalmente illegale secondo le Nazioni Unite che prevede, appunto, la detenzione del sospettato senza dover fornire alcun capo d’accusa o tantomeno processo dal quale difendersi e per un periodo di tempo illimitato che può variare di mesi o addirittura anni a seconda delle valutazioni degli ufficiali. Un sequestro a tutti gli effetti durante il quale il detenuto non può essere visitato da famigliari nè tantomeno da un legale. “Heba è stata la mia assistita dal primo giorno del suo arresto, ma mi è stato impedito di visitarla per 23 giorni” ha detto l’avvocato Ruslan Mahajne. Nel corso del periodo dietro le sbarre i prigionieri come Heba sono sottoposti a interrogatori e vessazioni di ogni genere. La giovane infatti è stata interrogata per ore nella posizione "shabeh" (appesa e legata a mani e piedi) dalle ore 9 del 20 agosto alle ore 5 del giorno successivo. Durante un altro interrogatorio inoltre risulta essere rimasta legata per venti ore durante le quali ha resistito alle torture che i vari investigatori e funzionari dell'intelligence le applicavano per estorcerle false confessioni. Secondo l’Autorità per gli affari dei prigionieri palestinesi Heba Al Labadi, costantemente bendata e ammanettata, è stata sottoposta in particolare a violenze fisiche e soprattutto psicologiche come la privazione del sonno, imprecazioni, urla, minacce di ritorsioni rivolte alla sua persona e ai suoi famigliari.
La ventiquattrenne è tuttora trattenuta in detenzione amministrativa avente la durata di cinque mesi a partire dal 26 settembre. Come segno di protesta la giovane, sulla scia dei grandi prigionieri politici palestinesi, ha iniziato da ormai 19 giorni lo sciopero della fame a tempo indeterminato. Una resistenza che non è andata giù alle autorità israeliane che hanno deciso di punirla ulteriormente trasferendola in isolamento nel centro di detenzione di Al-Jelmah. La cella in cui attualmente è rinchiusa, si apprende, è sorvegliata h24 da telecamere ed è priva di sistema di ventilazione e di ogni necessità fuorchè un piccolo lenzuolo. Ogni suo movimento è monitoriato, anche la porta del bagno consente ai carcerieri di tenerla sott’occhio in quanto è completamente trasparente. Ma Heba non demorde e ha intenzione di continuare il proprio sciopero della fame. “Continuerò fino alla fine o morirò”, ha fatto sapere al suo avvocato, "la tragedia della detenzione amministrativa deve finire prima".

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I dati dei prigionieri palestinesi torturati nelle carceri israeliani


Lo Shin Bet e la tortura in Israele

“Il trattamento disumano” ricevuto dalla giovane Heba nelle carceri israeliane non è isolato e non sarà certamente l’ultimo che verrà inflitto sulla pelle di qualche palestinese. Questi sistemi di tortura e imprigionamenti, che per certi aspetti strizzano l’occhio ai macabri metodi utilizzati negli anni più neri della dittatura Chilena di Pinochet contro i desaparecidos, non solo sono frequenti in Israele ma sono completamente legali. Nel Paese infatti esiste un organo di sicurezza che dipende dalle forze di Polizia autorizzato a praticare ancora oggi metodi di tortura per estorcere informazioni ai detenuti: lo Shin Bet, l'agenzia di intelligence per gli affari interni dello stato di Israele. E non è da escludere che i carcerieri della giovane giordano-palestinese siano proprio uomini dello Shin Bet. Questo organo dei servizi segreti nato da una costola dell'Haganah (l'organizzazione paramilitare israeliana autrice di attacchi eversivi durante il mandato britannico) il 12 aprile 1984 si macchiò di gravi crimini quando sulla linea 300 dell’autobus Tel Aviv-Ashkelon un gruppo armato di 4 miliziani di Gaza è salito a bordo del mezzo all’altezza di Ashdod tenendo in ostaggio tutti i 41 passeggeri come atto di protesta contro l’occupazione israeliana. Lo Shin Bet era stato chiamato ad intervenire e riuscì con successo a neutralizzare la minaccia eliminando tutti e 4 gli assalitori, come venne poi comunicato agli organi di stampa. In realtà quella sera dall’autobus scesero ancora vivi due terroristi ammanettati e scortati da alcuni agenti dello Shin Bet. I due secondo le indagini sono stati deliberatamente assassinati altrove in un secondo momento. L’arresto dei due assalitori venne fotografato e lo scatto fece il giro del Paese creando uno scandalo di portata internazionale che costrinse i vertici dello Shin Bet, incluso il leader Avraham Shalom, a rassegnare le dimissioni. Su quella scia oltre 10 anni dopo, nel 1999, la Corte Suprema israeliana stabilì l’abolizione dell’utilizzo della tortura. Tuttavia la Corte specificò che tali mezzi erano comunque concessi in casi specifici. Nel caso in cui ad esempio lo Shin Bet considerasse una situazione come “ticking bomb” (in inglese “bomba che sta esplodere”) ovvero circostanze considerate ad alto rischio dall'organo di intelligence stesso. Quindi se prima chi utilizzava metodi di tortura nei confronti dei prigionieri poteva incombere in guai giudiziari, oggi grazie a questa legge della Corte Suprema, non si viene neanche chiamati a deporre davanti un giudice. Non solo. Di recente, lo scorso marzo, la Corte Suprema è stata ancora più esplicita sul punto chiarendo che la tortura interrogativa è lecita in determinate circostanze nel sistema legale israeliano. L’ultimo caso accertato di soggetti arrestati e torturati dallo Shin Bet è quello di Samir Arbeed, un membro del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) sospettato di essere coinvolto nell’uccisione il 238 agosto della 17enne israeliana Rina Shnerb. Arbid è stato rapito a fine settembre e gravemente torturato dallo Shin Bet. L’uomo è stato picchiato così tanto che è stato fatto trasportare privo di conoscenza in ospedale, con le costole fratturate ed un blocco renale. Arbeed era stato attaccato ad un respiratore artificiale poichè finito in coma. Gli agenti del servizio di sicurezza avevano dichiarato si trattasse di un semplice malore ma il ministero della Giustizia la scorsa settimana ha avviato un’indagine.

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