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di Umberto De Giovannangeli
La figlia dell'ex governatrice della regione denuncia al Guardian il suo arresto. Aveva criticato la decisione di New Delhi di abolire l’autonomia del territorio

I primi scontri, i primi morti. Non più parole, ma piombo. Tre soldati pakistani e cinque soldati indiani sono morti in scontri a fuoco nella zona di confine del Kashmir, la regione contesta tra i due Paesi e alla quale l’India ha revocato il 5 agosto l’autonomia, mentre si segnalano nelle ultime ore violenti scontri tra la polizia e centinaia di manifestanti. A riportarlo è Al Jaazera. L’esercito del Pakistan ha diramato un comunicato in cui denuncia che un gruppo di soldati indiani ha sparato oltre la Linea di controllo, la demarcazione che divide la regione del Kashmir nelle due zone controllate da Pakistan e India, uccidendo un militare pakistano. Giovedì la polizia e l’esercito pakistano avevano già annunciato la morte di due civili e tre soldati a causa di colpi sparati dall’esercito indiano, per un totale di 6 morti in meno di 24 ore. Variano i numeri delle vittime ma non l’aggravamento di una situazione che rischia di divenire incontrollabile.
New Delhi ha inviato altri 25 mila soldati in quella che era già considerata una delle zone più militarizzate al mondo. “L’onere di soddisfare le speranze e le aspirazioni degli abitanti del Kashmir ricade su di noi indiani. Dobbiamo assumerci la responsabilità di dare ai loro sogni un nuovo slancio”. Così il premier indiano Narendra Modi nel corso di un discorso in occasione del giorno dell’indipendenza dell’India. Immediata la risposta di Islamabad. Il Pakistan ha “informazioni credibili” che l’India prepara un attacco alla parte pakistana del Kashmir ma le forze di Islamabad sono pronte e daranno “una risposta adeguata”. Così il primo ministro Imran Khan davanti al Parlamento della regione pakistana del Kashmir.Narendra Modi - ha detto Imran Khan rivolgendosi al suo omologo indiano - siamo pronti, qualsiasi cosa fai, daremo una risposta adeguata e andremo fino in fondo. È ora di darti una lezione”.
Secondo Imran Khan, l’India prepara un attacco alla parte pakistana del Kashmir per distogliere l’attenzione internazionale su quanto deciso dal governo di New Delhi il 5 agosto, quando ha cancellato l’autonomia della regione del Kashmir sotto sovranità indiana. Secondo il primo ministro pakistano, si è trattato di “un errore strategico madornale da parte di Narendra Modi”, che ha così “giocato la sua ultima carta e pagherà un caro prezzo”. Imran Khan ha poi fatto appello alle Nazioni Unite perché intervengano sulla questione, affermando che “non soltanto il Kashmir e i pakistani, ma 1,2 miliardi di musulmani (in tutto il mondo), guardano all’Onu”.
E al Palazzo di Vetro, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito a porte chiuse per esaminare con urgenza la situazione del Kashmir. La decisione di Narendra Modi, rimarca su Internazionale Gwynne Dyer, “porterà a una guerra. Di sicuro a un’altra guerra in Kashmir, dove decine di migliaia di persone sono state uccise durante l’ultima rivolta contro il governo indiano (1989- 2007). E forse a un’altra guerra tra l’India e il Pakistan. Ce ne sono già state tre, naturalmente, quindi forse non c’è niente di così grave, ma questa sarebbe la prima da quando entrambi i Paesi si sono dotati di armi atomiche...”. Sulla carta il Pakistan sembra avere poche chance. Spiega Brahim Maarad in un documentato report per l’Agi: nel 2018, New Delhi ha stanziato 4.000 miliardi di rupie (58miliardi di dollari), ovvero il 2,1% del suo Pil, per sostenere i suoi 1,4 milioni di soldati in servizio, secondo i numeri dell’Istituto internazionale di studi strategici (Iiss). L’anno scorso, il Pakistan ha speso 1.260 miliardi di rupie pakistane (11 miliardi di dollari), circa il 3,6 percento del suo Pil, per i 653.800 soldati. Sempre nel 2018 ha anche ricevuto 100 milioni di dollari in assistenza militare straniera. Secondo le stime dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri), tra il 1993 e il 2006, oltre il 20% della spesa pubblica annuale del Pakistan è stata destinata alle forze armate. L’esercito ha rappresentato il 16,7% della spesa pubblica nel 2017.
In confronto, la spesa militare dell’India in percentuale della sua spesa pubblica è rimasta al di sotto del 12% nello stesso periodo. Nel 2017 è stata del 9,1%. Entrambe le nazioni hanno missili balistici in grado di essere dotati di armi nucleari. L’India ha nove tipi di missili operativi, tra cui l’Agni-3 con una gamma da 3.000 km a 5.000 km, secondo il Center for Strategic and International Studies (Csis) di Washington. Il programma missilistico pakistano, costruito con l’assistenza cinese, include armi mobili a corto e medio raggio che possono raggiungere qualsiasi parte dell’India, sempre secondo il Csis. Lo Shaheen 2 ha la portata più lunga, fino a 2.000 km. Nel 2011, il Pakistan ha confermato di aver acquisito armi nucleari tattiche, con le testate nucleari più piccole attaccate a missili a corto raggio (50-100 km) come deterrente contro attacchi indiani convenzionali su scala relativamente piccola. Il Pakistan ha 140-150 testate nucleari, rispetto alle 130-140 testate indiane, secondo il Sipri. L’India ha un esercito di 1,2 milioni di persone, supportato da oltre 3.565 carri armati, 3.100 veicoli da combattimento di fanteria, 336 corazzati da trasporto di personale e 9.719 pezzi di artiglieria (dati Iiss). L’esercito pakistano è più contenuto, con 560.000 soldati sostenuti da 2.496 carri armati, 1.605 corazzati e 4.472 cannoni ad artiglieria, tra cui 375 cannoni semoventi. La figlia di uno dei più importanti politici del Kashmir ha supplicato la comunità internazionale di agire contro una repressione senza precedenti su milioni di persone nel territorio, avvertendo che il Kashmir viene “messo in gabbia come animali” e trattato come “carne da cannone”.
Cosa sia oggi la vita per la popolazione del Kashmir lo testimonia al Guardian Iltija Mufti, figlia dell’ex ’ex governatrice del Jammu e Kashmir, Mehbooba Mufti. La giovane, agli arresti domiciliari, ha raccontato che 25 agenti di sicurezza armati hanno circondato la sua casa la scorsa settimana. Tutti gli ingressi alla casa sono stati chiusi. Mufti ha affermato che non è stata fornita alcuna base legale per la sua detenzione, ma le sono state “imputate” le sue dichiarazioni critiche contro la decisione di New Delhi di abolire l’autonomia del Kashmir. “Mi è stato detto chiaramente: prima di tutto ci assicuriamo di non far sentire la tua voce, e che tu non sia ascoltata, e se lo fai, devi essere pronta a subire le conseguenze”. “Tali conseguenze saranno che sarai detenuta a tempo indeterminato e che non avrai il diritto di parlare con un avvocato”. “Mi hanno vietato di avere un avvocato e di ricevere visite, ho paura per la mia vita. - dice la giovane - Ma se mi mettono in galera o mi uccidono me ne andrò con la soddisfazione di aver combattuto per il Kashmir”.

Tratto da: huffingtonpost.it

Foto © Tauseef Mustafa/AFP/Getty Images

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