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f.lli loncomilla ciledi Jean Georges Almendras
In Argentina, indigeni subiscono brutale repressione per aver denunciato atti di corruzione

Un martedì di violenza della polizia. Violenza smodata disposta dal potere?.
Martedì 5 febbraio: a Salta, Argentina, vicino alla località Cachi, agenti di polizia, eseguendo gli ordini del governatore Juan Manuel Urtubey, hanno attuato una brutale repressione contro ‘comuneros’ indigeni che protestavano. Sono stati arrestati anziani, donne e bambini; lo stesso giorno, ma in Cile, nella regione di Pidima, in un contesto di militarizzazione e Stato di Emergenza (con occupazione di militari e carabinieri), due giovani mapuche sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco. In un primo momento sembrava che il tragico episodio si fosse verificato durante uno scontro tra i ‘comuneros’ (ipotesi che sembra svanire con il passare delle ore), giungendo alla conclusione che si fosse trattato di un vigliacco assassinio avvenuto in circostanze ancora non chiarite. Le indagini sono in corso, e non si scarta la possibilità che l’occupazione militare non sia estranea al doppio attentato.
Un martedì di violenza della polizia. Violenza sotto l'insegna del terrorismo di Stato?.
Secondo quanto è stato riferito dai parenti dei giovani cileni assassinati e dalle organizzazioni mapuche della zona, le due vittime sono state colpite mortalmente alla testa. I deceduti sono stati identificati come i fratelli Jorge Mariman Loncomilla e Matías Cariqueo Loncomilla, della comunità ‘caciqueJosé Guiñón.
La Izquierda Diario ha riportato che a sparare contro i due giovani sarebbe stata una persona identificata come Fredy Marileo Marileo che si trovava in un’abitazione vicina ad un podere in conflitto con le comunità mapuche, nella zona di Boyen Mapu, nella regione di Pidima.
La località di Pidima si trova tra i paesi Ercilla e Collipulli ed i giovani assassinati sono figli del Lonko José Cariqueo Saravia. Al momento del fatto l’intera zona era letteralmente occupata da forze militari e da carabinieri nell'ambito di una mobilitazione di forze repressive entrate in azione dietro richiesta dei latifondisti coloni residenti della regione.

Le prime versioni della polizia segnalano che tre persone si addentrarono con un camioncino all'interno di una proprietà dove l'addetto alla sorveglianza del proprietario avrebbe respinto l'aggressione con i risultati già noti.
Ovviamente l'episodio, appunto per essersi verificato in un contesto di militarizzazione e di scontro con le comunità mapuche, assume dei contorni molto confusi, il che rende difficoltose le indagini che la Procura prontamente ha avviato. Staremo a vedere cosa succede nei prossimi giorni.
La questione è che il doppio crimine, l’amarezza della perdita di entrambi i giovani mapuche, ha trasformato praticamente l'area in una zona calda, dove la tensione si è intensificata e dove il sentimento di indignazione e di ripudio si è diffuso in diverse direzioni.
I dubbi e gli interrogativi sono tanti, come pure i sospetti che l'attentato non sia stato altro che un nuovo episodio di violenza contro le comunità mapuche, che è appunto ciò che preoccupa di più.
E mentre in Cile, da mezzogiorno di martedì 5 febbraio si cerca di chiarire la dinamica della tragedia e si cerca di alleviare il dolore della famiglia dei due giovani mapuche assassinati, in Argentina, due giorni dopo, cioè la mattina di giovedì 7 febbraio, c’è stata una nuova repressione della polizia contro i mapuche, questa volta della regione di Tartagal, provincia di Salta mentre vari membri della comunità del dipartimento di San Martin protestavano e reclamavano con fermezza che si metta fine alla corruzione all’interno dell'Istituto Provinciale per i Popoli Indigeni (IPPIS). L’effetto dell'intervento della polizia è stato di vari detenuti e feriti.

cile attentato mapuche
La mobilitazione mapuche ha avuto luogo lungo la Ruta 34 di Salta, nella regione nota come Tartagal e i militari intervenuti avrebbero eseguito, ancora una volta, gli ordini stabiliti del governatore Juan Manuel Urtubey. Al riguardo, dobbiamo ricordare che già la mattina di martedì 5 febbraio, poliziotti agli ordini di Urtubey, repressero brutalmente i ‘comuneros’ indigeni che rivendicavano il rispetto per le loro terre, esibendo cartelloni e gridando che non si stava rispettando la Legge 21.160 (vigente), ma al contrario si stava favorendo un'impresa privata per avviare sul posto un progetto commerciale a seguito di accordi e violazioni delle norme giuridiche vigenti. Anche qui ci sono state persone detenute e dei feriti.

Alcuni quotidiani locali e i colleghi di La Izquierda Diario riferiscono che le comunità vittime di repressione sono composte da indigeni wichi, chorote, tobas ed altre etnie originarie. Uno dei pilastri della protesta riguarda direttamente la denuncia di appropriazione indebita di fondi dell'Istituto Provinciale dei Popoli Indigeni di Salta.
C'è gente venuta da Santa Victoria a reclamare ai portavoci dell'Ippis che rappresentano le differenti etnie e comunità, e questi hanno risposto loro dicendo di ritornare a Santa Victoria cercando di dar loro dei soldi per comprarli", fu quanto denunciato da un ‘comunero’ di nome José, membro di una delle comunità che ha partecipato alla protesta e vittima della repressione.
La Izquierda Diario riferisce inoltre che la repressione ebbe luogo quando i comuneros tentarono di accedere alla ruta 34 con l’intenzione di occupare una delle corsie di traffico stradale.
Diversi testimoni della repressione, affermarono ai giornalisti presenti sul luogo che almeno otto persone, tra donne, bambini ed anziani furono fermate e brutalmente colpite dai poliziotti intervenuti. Ci sono state scene dove i poliziotti trascinavano per terra uomini e donne fino ai furgoni. Il numero dei feriti è noto, essendoci delle riprese fotografiche delle vittime della repressione.
I popoli originari nella loro denuncia contro la rete di corruzione nell'IPPIS, esigono la rimozione delle autorità in carica dell'Istituto che avrebbero agito perfino con la complicità delle autorità precedenti.
Solo perché si tratta di popoli originari le loro denunce possono venire messe in dubbio e rispondere loro con indifferenza o, ancora peggio, criminalizzare la protesta ricorrendo all'uso delle forze di polizia, con metodi repressivi contro persone disarmate?
In che mondo viviamo? Dobbiamo farci questa domanda per l’ennesima volta, a rischio di restare scioccati di fronte ad un tale spiegamento di dispotismo e di immoralità presente nelle file del governo della provincia di Salta e delle istituzioni dove le autorità (se le denunce fossero confermate), commettono reati inqualificabili, ovviamente dentro un contesto di impunità non meno criminale.
I fatti sono questi. I fatti non sono svaniti nel nulla, perché sono venuti allo scoperto e continuano ad emergere ancora nella misura in cui la repressione si espande come l'erbaccia e come il veleno di una società esposta alla corruzione esercitata tra le file del potere e negli ambiti dove la criminalità si veste di legalità e di etica, e di Stato. Una legalità ed un'etica false. Davvero false.
Ma quello che non è falso, ma palpabile e reale, è che i popoli originari continuano a subire le conseguenze della malvagità dell'uomo bianco.
Ciò mi fa vergognare di essere bianco
E tu lettore, non provi lo stesso?

Foto di Copertina: www.laizquierdadiario.com
Foto 2: www.laizquierdadiario.com

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