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salvini matteo israele c imagoeconomicadi Karim El Sadi
L’ipocrisia del vice premier Salvini in visita in Israele

Il ministro di twitter”, per citare Maurizio Crozza, ne ha sparata un’altra delle sue. Il "capo del Carroccio" è stato invitato martedì scorso per una visita di routine in Israele. Il primo appuntamento è stato una gita guidata al confine col Libano insieme alle forze militari israeliane. Obiettivo dell’escursione, “visitare i tunnel costruiti dagli estremisti islamici nella zona Nord del Paese” come aveva scritto in mattinata sui social Matteo Salvini. In seguito, una volta sceso dall’elicottero assieme ai delegati e indossati gli indumenti adatti al terreno aspro della zona (un cappellino dei Carabinieri con visiera a becco e giubbino), ha iniziato a documentare come un vero inviato di guerra il tunnel sotterraneo costruito dai miliziani di Hezbollah, scovato dall’esercito israeliano lo scorso 4 dicembre. Il reportage, allegato di foto, è stato pubblicato (stranamente) sul proprio profilo Twitter e recita. “Sono appena stato ai confini nord col Libano, dove i terroristi islamici di Hezbollah scavano tunnel e armano missili per attaccare il baluardo della democrazia in questa regione”. Tali parole hanno scaturito la reazione degli ambienti vicini al ministero della Difesa di Roma ”Non vogliamo alzare nessuna polemica ma tali dichiarazioni mettono in evidente difficoltà i nostri uomini impegnati proprio a Sud nella missione Unifil, lungo la blue line. Questo perché il nostro ruolo super partes, vicini a Israele e al popolo libanese, è sempre stato riconosciuto nell'area"."Tra l'altro - è appreso - l'Onu la sua parte la sta già facendo, c'è una missione, si chiama Unifil, da oltre 12 anni, e il comando è oggi sotto la guida italiana per la quarta volta”.
Il messaggio di Salvini era chiaro, preciso e lineare. Un breve tweet che ha, di fatto, rischiato di aprire il "vaso di Pandora" sulla posizione del governo giallo-verde sui difficili rapporti tra i due paesi (Israele e Libano), se non fosse per l’altro vice-premier Luigi Di Maio, che ha in qualche modo cercato di rimediare alla “frittata” del collega: “L’Unifil è una delle missioni di pace più importanti nel mondo e per noi del M5s un modello super partes. Quello che si doveva dire lo ha detto il ministero della Difesa, io mando un grande abbraccio ai nostri militari e gli dico di tenere duro e andare avanti” ha dichiarato. Ciò che resta di quel breve tweet è il nome Hezbollah accanto alla parola terroristi. Di Hezbollah si potrebbe dire tutto, meno che terroristi islamici. “Se in Siria è ancora possibile fare i presepi, se ancora è possibile difendere la comunità cristiana, è anche grazie a un fronte nel quale ci sono il governo di Assad, la Russia, l’Iran e le milizie libanesi di Hezbollah”. A dirlo non un giornalista di cronaca estera, ma Giorgia Meloni la leader di Forza Italia. E per una volta (forse l’unica) non si può non darle ragione. Il Partito di Dio (Hezbollah) è un movimento politico paramilitare sciita che in Libano partecipa regolarmente e democraticamente alle elezioni politiche ed ha un forte sostegno popolare. Dal 2011 interviene in Siria per dare man forte al contrasto delle organizzazioni terroristiche del Paese debellando numerose truppe di uomini dell’ISIS e di Jabhat Al Nusra, impiegando negli anni dalle 5000 alle 6000 unità di soldati sciiti. Come sottolineato da Stefano Fabei e Fabio Polese ne "Il Partito di Dio", “Hezbollah ha svolto un ruolo importante per riequilibrare le sorti del conflitto in atto in Siria e non è eccessivo sostenere che abbia determinato un capovolgimento dei rapporti di forze”. Ruolo che, è importante sottolinearlo, la milizia libanese ha conquistato pagando un duro tributo di sangue: tra il 2013 e il 2016 oltre 1.600 membri di Hezbollah sono morti combattendo in Siria, tra cui spiccano Samir Kuntar, comandante di etnia drusa ucciso a Damasco nel dicembre 2015, che Hezbollah accusa esser stato vittima di un raid israeliano, e il leader militare Mustafa Badreddine, vittima di un raid di artiglieria dei ribelli nei pressi dell’aeroporto della capitale siriana il 14 maggio 2016.

abu abed ahmad

Grande appuntamento di Matteo Salvini nella breve visita in Israele è stato quello con il leader del partito del Likud, nonché primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Durante il bilaterale i due leader di destra hanno discusso di vari temi. In primo luogo Salvini ha garantito a Netanyahu che si farà "carico di un cambiamento" dell'atteggiamento dell'Italia a tutela di Israele nelle sedi internazionali, in particolare le Nazioni Unite e l'Unione europea, finora “troppo sbilanciate contro lo Stato ebraico” ha detto. Nelle due ore d’incontro tra Salvini e Netanyahu sono stati diversi i punti toccati per porre le basi per rinsaldare la cooperazione tra i due Paesi: sia dal punto di vista della sicurezza e della lotta al terrorismo internazionale sia dal punto di vista economico. Sul fronte del business, il leader della Lega si è fatto promotore dell'ipotesi di progetto di un "gasdotto che colleghi Israele al Sud dell'Italia" che "andrebbe ad aggiungersi, senza creare alcun danno, al Tap per cui sono già in corso i lavori". Nel corso della conferenza stampa conclusiva, prima di fare rientro in Italia, il ministro dell'Interno ha quindi annunciato che si terrà a Gerusalemme a inizio dell'anno prossimo una conferenza governativa italo-israeliana ai massimi livelli. In attesa di rincontrarsi nel 2019 Salvini è tornato a casa “assolutamente soddisfatto” descrivendo Netanyahu “una persona schietta e concreta… e Israele l'unica certezza di stabilità per quanto riguarda l'Occidente e l'Europa: chi mette in discussione il diritto a esistere di Israele - ha concluso - è un sadico masochista che mette a repentaglio l'esistenza stessa della civiltà occidentale e dell'Europa". Uno di quei “sadici masochisti” che ha “osato mettere a repentaglio” l’esistenza di Israele, “l’unico baluardo della democrazia nel medio oriente”, si chiamava Ahmad Abu Abed e faceva parte di quelle migliaia di palestinesi che da marzo scorso manifestano nella Striscia di Gaza al confine con le barriere israeliane per il diritto al ritorno dei profughi palestinesi dopo l’invasione israeliana del 1948. Ahmad era stato colpito, e gravemente ferito, all’occhio e all’addome una settimana fa dai proiettili a espansione sparati dai “democratici” soldati israeliani nell’area di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. Ahmad aveva 4 anni ed è morto ieri, mentre il nostro ministro tornava a casa. Ma questo Salvini non lo saprà mai.

Foto copertina © Imagoeconomica

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