Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

caceres berta mundiano comdi Jean Georges Almendras
Trascorsi 31 mesi dall’omicidio dell'attivista lenca Berta Cáceres, in Honduras, è giunta la condanna per gli accusati. Una condanna che ha un suo grande significato in un paese dove la corruzione è un emblema. Ma si tratta di una condanna a metà, per il semplice fatto che (come accade d’abitudine nei crimini del potere), a cadere sono solo gli autori materiali, mentre i mandanti che impartiscono gli ordini rimangono sempre nell’ombra, protetti dal manto dell'impunità.
Questo è il quadro relativo a uno dei tanti crimini contro attivisti, per la maggioranza indigeni, che lottano con le unghie e i denti per difendere terre, comunità, culture e diritti. Potremo rallegrarci ma non possiamo essere ipocriti e dire che sia così, perché non è così che ci sentiamo.
La figlia maggiore di Berta Cáceres, Olivia Zúñiga, ha detto pubblicamente che la famiglia è felice della sentenza ("di vedere in prigione gli assassini che ammazzarono mia madre"), ma ha aggiunto, con fermezza che pretendono che siano portati dinanzi alla giustizia i mandanti del mortale attentato, nel quale, in quella fatidica notte del 2 marzo 2016, in Honduras, in un'abitazione di La Esperanza, un quartiere a sudovest, rimase ferito da una pallottola anche l'attivista ambientalista messicano Gustavo Castro.
Il giornalismo honduregno ha reso nota la sentenza. Una sentenza che dichiara colpevoli sette degli otto imputati. I pubblici ministeri hanno dichiarato colpevoli dell'assassinio di Berta Cáceres Sergio Ramón Rodríguez, ingegnere di Desarrollos Energéticos SA (DESA), Douglas Geovanny Bustillo, ex capo della Sicurezza di (DESA) e militare in congedo; Mariano Díaz Chávez, ex soldato che prestò servizio insieme a Bustillo; Henry Javier Hernández, ex soldato honduregno, che prestò servizio insieme a Díaz Edwin Rápalo, ex soldato honduregno; Edilson Duarte Meza e Óscar Torres.
Un ottavo imputato: Emerson Duarte Meza fu dichiarato innocente per mancanza di prove, e messo in libertà. Hernández, Rápalo, Edilson Duarte e Torres sono stati inoltre ritenuti colpevoli di tentato omicidio, per l'attentato contro l'attivista Gustavo Castro che si trovava nell'abitazione al momento dell'azione criminale.
Considerando le modalità del mortale attacco e la natura della vittima in questione, immediatamente dopo l'omicidio avvenuto nel mese di marzo 2016, che generò ripudio e indignazione generale, si creò un elevato clima di tensione.
Berta Cáceres era nota nella regione e mondialmente per la sua tenace lotta contro le multinazionali che operavano nella sua terra con fini esclusivamente economici e spudoratamente indifferenti alle necessità delle comunità contadine ed indigene della zona, provocando una resistenza pacifica e molto decisa da parte del Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras (COPINH) la cui fondatrice era né più né meno che una donna dal carattere forte, carismatica e molto apprezzata nella regione perché era un’indigena lenca. Quella donna era Berta Cáceres.
Berta raggiunse un prestigio ed un rispetto tale, per cui, per il suo intenso lavoro di attivista che si opponeva alla costruzione della diga di sbarramento idroelettrica Acqua Zarca, amministrata da DESA, nel 2015 fu premiata con l'ambito Premio per l’ambiente Goldman. Un progetto che minacciava letteralmente di mettere a rischio le comunità indigene Lenca, abitanti delle sponde del fiume Gualcarque. Un fiume considerato sacro dagli indigeni di quella regione dell’Honduras.
Dalle informazione provenienti dall’Honduras gli accusati potrebbero essere condannati ad oltre 30 anni di prigione per l'omicidio di Berta Cáceres, e da 20 a 30 anni per il tentato omicidio dell'attivista messicano Castro.
Ma tutto questo si potrà sapere solo l'anno prossimo perché la lettura delle rispettive sentenze, da parte del Tribunale, è prevista per il 10 gennaio.
Non dobbiamo dimenticare che Berta Cáceres fu uccisa a colpi di arma da fuoco. Gli assassini entrarono nella sua abitazione, nel quartiere La Esperanza, sparando all’impazzata protetti dall'oscurità…
Non possiamo dimenticare che quell'attacco vigliacco e di metodologia mafiosa fu un attacco contro le comunità lencas e gli attivisti che come Berta affrontavano il potere a rischio delle proprie vite, solo per difendere le loro terre e la pace che in esse si respira.
Le comunità indigene non sono né gruppi terroristici, né gruppi di delinquenti. Sono uomini e donne che lavorano la terra nella quale sono nati, e cresciuti, sempre sotto lo sguardo meschino dai potenti con i quali devono convivere. Quei potenti onduregni e stranieri che ormeggiano le loro imbarcazioni dell'avidità per saccheggiare risorse e assoggettare esseri umani e culture, con il pretesto imprenditoriale, bandiera di un capitalismo criminale e divoratore di anime e di volontà.
Non possiamo dimenticare, nonostante la storica sentenza, seppure a metà (fin quando i mandanti di simili barbarità intrise di sangue e di morte rimangono nella penombra e sotto l'ala dell'impunità), l'accanimento con il quale agirono e agiscono i potenti della nostra amata America Latina.
Non possiamo ignorare tanto sangue versato, perché prima di Berta Cáceres e dopo Berta Cáceres ci sono stati ancora morti e altre sofferenze.
Non possiamo lasciarci sedurre dal conformismo. Non possiamo.
I mandanti. Quelli che impartiscono ordini macabri e criminali sono liberi. Liberi di camminare nelle strade e nelle colline dell’Honduras. E anche fuori del paese.
Sono liberi. Ma hanno l'anima nera. Hanno le mani sporche di sangue.
Berta Cáceres ed i martiri di quelle lotte, del loro impegno verso la libertà e la vita stessa delle comunità indigene (sono un esempio per tutta l’umanità per il valore della loro lotta e della loro etica, per il valore morale della convivenza), sono ancora oggi un faro per le comunità. Continuano ad essere il faro che dà luce alle ombre estese di un sistema capitalista criminale ed implacabile.
È stata fatta giustizia nel caso Berta Cáceres? Non lo so veramente.
So solo che la lotta non è finita. So solo che ci sono delle persone coinvolte che adesso godono della libertà. So solo che la giustizia ha molti volti. Alcuni di trasparenza e di onestà. Altri no.
Perché? Perché i condannati sono solo la punta dell’iceberg. E perché difficilmente l’intero iceberg potrà essere smascherato nei Tribunali.
Una costante dei tempi che corrono. Un male esteso in tutto il mondo, ma molto di più nella nostra America Latina.
Una costante che ci porta a rafforzare la resistenza, seppure distanti dalla terra di Berta, ciò non rappresenta un ostacolo per condividere la lotta delle sue figlie e dei suoi compagni del COPIHN.
Ci sono ancora istanze giudiziarie nei confronti dell’ex direttore esecutivo di DESA, Roberto David Castillo Mejía, sospettato di essere uno dei principali mandanti dell'assassinio di Berta. Ma siamo sicuri che ce ne sono anche altri.
Manca ancora la tappa finale quando saranno emesse le sentenze a carico delle sette persone detenute.
Se tutti abbiamo aspettato più di due anni (ovviamente con tante svolte nelle indagini, e ostacoli di ogni tipo), aspettare il 10 gennaio, per conoscere le sentenze, non credo sia tanto difficile.
Ma quello che effettivamente ci risulta molto difficile è dire che è stata fatta giustizia con la maiuscola, perché quando è il potere a sedere sul banco degli imputati, la giustizia si avvale di sotterfugi e di passaggi segreti per difendere l'impunità o alleggerire gli anni di carcere.
E se dovesse succedere un'altra volta, bisognerà inghiottire la saliva, resistere, ed intensificare le proteste.
Quando c’entra il potere, sia in Honduras che altrove, si cercano sempre strade alternative affinché la verità venga offuscata o affondi letteralmente nelle acque e nel tempo.
E ciò che hanno voluto fare dopo aver ucciso Berta Cáceres e, senza andare molto lontano, in Argentina abbiamo un esempio di ciò che avviene in America Latina, dove forze repressive agendo illegalmente contro i popoli originari (mapuche), oltre un anno fa, soffocarono nel fiume Chubut Santiago Maldonado e recentemente hanno soffocato la verità su questo crimine di Stato, chiudendo il caso come se niente fosse successo.
Quindi, da noi e da loro, la lotta di uomini e donne (e di giovani) sottomessi al potere continua.
Una lotta senza frontiere, contro un potere criminale ugualmente senza frontiere.
Quindi, non dimentichiamo che dietro i sette condannati ci sono personaggi rimasti impuniti: i personaggi che hanno dettato ordini dall'ombra, hanno offerto la logistica, dato denaro e messo a disposizione le infrastrutture.
Per far tacere una donna giusta.
I sicari sono stati condannati, gli assassini materiali, ma non i mandanti. È stata fatta giustizia?
No.

Foto di Copertina: www.mundiano.com

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos