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morales evodi Erika Pais - Video
Un discorso tenace, chiaro, concreto, giusto e persino perfetto, quello del presidente della Bolivia, Evo Morales, durante la recente Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Le sue parole sono state di forte impatto sotto ogni aspetto. Parole che hanno avuto delle ripercussioni e che hanno generato reazioni in alcuni circoli del governo nordamericano. Ma in definitiva parole accolte dalla maggioranza.
Parole di un uomo al suo terzo mandato presidenziale. Una gestione presidenziale inedita che gli ha permesso sempre di prendere le distanze dai formalismi e dalle diplomazie abituali per pronunciare sempre parole (nella sua terra e anche all’estero) incisive e cariche di messaggi diretti e mediatici, in cui non sono mai stati assenti il diritto alla vita, il diritto alla pace, il diritto alla sovranità e alla libera determinazione dei popoli.
Questa volta, nel cuore delle Nazioni Unite, Evo Morales ha accusato duramente e direttamente gli Stati Uniti dell’embargo a Cuba, dell’ingerenza nella politica interna del Venezuela, come nella questione siriana. In più ha respinto con fermezza il riconoscimento di Gerusalemme a capitale di Israele e ha allertato la popolazione mondiale del pericolo che implica la nuova corsa agli armamenti, la distruzione del pianeta e della razza umana.
Molti gli applausi e le congratulazioni per un discorso che condividiamo in ognuna delle sue sfaccetature, punti e virgole compresi. Come sicuramente è stato condiviso da non pochi dei presenti all’ONU che sicuramente hanno elogiato a denti stretti (e dentro di sè) il coraggio di quest’uomo che oltre a essere un cittadino nato in una terra andina, è un indigeno aimara al timone di una Nazione in un’America Latina sommersa da ogni tipo di difficoltà.
Molti gli applausi e le congratulazioni anche per un Presidente che governa con un orientamento politico di sinistra, fortemente anti imperialista e molto radicato nella cultura dei popoli originari, decimati e sottomessi da sempre da una minoranza bianca.
Un presidente che - dopo centinaia di anni di conflitto - forse riuscirà a far venire a patti il Cile negoziando uno sbocco in mare, più specificamente nell'Oceano Pacifico, nell’ambito di un processo e di una richiesta sulla quale si dovrà pronunciare la prossima settimana la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja.
Da quando Evo Morales è stato eletto Presidente (già si dice che starebbe correndo verso il quarto mandato), la Bolivia non ha smesso di crescere. La sua crescita è stimata al 5% all'anno, maggiore di quella degli Stati Uniti. La povertà estrema è ridotta dal 37% al 17%, mentre il PIL è quadruplicato dal 2005 ad oggi. La Bolivia è dunque il Paese con la maggiore crescita del Sud America. Secondo gli esperti si tratta del cosiddetto "miracolo dell'economia boliviana", che ha come punto di forza l'esportazione di gas naturale in Argentina e in Brasile, e sebbene si abbia cercato di diversificare l’economia boliviana puntando sul commercio di soia, stagno e diesel, molti si chiedono come potrà essere sostenuto a lungo tale modello di sviluppo. Non dimentichiamo che la nazionalizzazione degli idrocarburi ha iniettato una buona dose di ossigeno nell’economia boliviana, permettendo, tra le altre cose, lo sviluppo di una riforma di tipo sovranista, imposta a volte con severità.
Ed è a questo punto che dovremmo soffermarci un momento: Evo Morales è un uomo coraggioso o è qualcuno ben consapevole di non poter essere toccato, qualsiasi cosa dica o chiunque lo accusi?
La nostra intenzione non è quella di esprimere una valutazione morale o etica di una posizione politica ed economica, né è un tentativo di legittimare o delegittimare un processo sociale, ma semplicemente cerchiamo di fare luce su una realtà non ben definita.
La Bolivia è il terzo produttore al mondo di coca, dopo la Colombia e il Perù. Il presidente Evo è ancora oggi il leader riconosciuto dei ‘cocaleros’ della zona di Chapare. È colui che solamente abbassando il pollice potrebbe fermare in un secondo l’intera produzione di coca del Paese. E ciò lo rende un uomo intoccabile. Ma fa anche della Bolivia uno Stato che può permettersi di lanciare accuse ben motivate - laddove altri non possono - contro il gigante del Nord, uno Stato che può godere (meno male) dell’ultima parola, senza timore alcuno, nelle sedi opportune.
Ma se di economia parliamo, da dietro le quinte, ci sono alcuni dati interessanti da tenere in considerazione. Ricordiamo che la Bolivia, da una parte, deve sostenere il modello di sviluppo tracciato a una velocità piuttosto difficile da concepire. Ma anche che la Bolivia necessita di sviluppare altri modelli economici, cosa che non è riuscita a fare finora, per esempio aumentando la competitività delle produzioni più importanti, come nel caso della coca.
La foglia di coca rappresenta infatti per la Bolivia la base dell’economia interna, e questo da circa 8mila anni.
Nel tempo la foglia di coca è stata - e lo è tuttora - utilizzata come medicina, alimento, digestivo e strumento di pratiche religiose e spirituali ancestrali. Far sì che ciò sia riconosciuto dal mondo occidentale è una delle “crociate” alle quali si è dedicato il Presidente andino in diversi fori internazionali esibendo una vasta varietà di prodotti che possono essere elaborati a partire della farina di coca: marmellate, bibite, dolci e infine birra.
La foglia di coca però rappresenta anche oltre 250 milioni di consumatori di cocaina nel mondo. Ed è il denaro sporco proveniente da questo tipo di commercio che serve a finanziare guerre e mercenari che s’infiltrano in fazioni cosiddette “ribelli”, far cadere governi, sostenere campagne politiche, sottomettere intere nazioni. Per poter corrompere e destabilizzare c’è bisogno di denaro non tracciabile e di cui non sia possibile individuarne la provenienza. Il traffico e la vendita di droga offre tutto ciò.
Evo Morales ha cacciato dalla Bolivia l’FMI, Mc Donald e la DEA (Drug Enforcement Administration). Non importa l'ordine né il peso, la questione è che il messaggio è chiaro: “Qui comando io”. E ciò che è più curioso è che non ci sono state grandi né gravi conseguenze.
Nel marzo dell'anno scorso, promossa dal partito al potere, fu promulgata la Legge 906, chiamata ‘Ley General de la coca’, il cui fine è: "Regolarizzare la rivalutazione, la produzione, la circolazione, il trasporto, la commercializzazione, il consumo, la ricerca, l’industrializzazione e la promozione della coca allo stato naturale; stabilire l’ambito istituzionale di regolamentazione, controllo e fiscalizzazione; regolarne la gestione amministrativa”.
In poche parole, viene estesa la legalizzazione della coca, e ben lontano dalla lotta per diminuire le coltivazioni, ne viene moltiplicata la produzione, portando gli ettari coltivato dai 12mila del 1988 ai 22mila attuali. Una volta approvata la legge, le dichiarazioni di Evo dicono tutto.
"La foglia di coca si è imposta all'impero nordamericano, la coca ha vinto contro gli Stati Uniti questa dura battaglia: gli Stati Uniti vogliono ‘zero coca’, noi vogliamo garantire la coca per tutta la vita".
Questa nuova legge, così come estende la produzione di coca nella zona di Chapare, feudo di Evo Morales, dal quale si è catapultato nella vita politica che lo ha portato alla presidenza, contemporaneamente impone restrizioni. La zona più colpita comprende le valli andine degli Yungas.
Nell’articolo 5 vengono spiegati alcuni dei termini contenuti nella legge. Sradicamento è il processo di soppressione totale e definitiva della coltivazione di coca nella zona non autorizzata, a carico delle entità competenti dello Stato.
Ed è l'articolo 6 quello che ci illustra con più chiarezza la situazione: "La produzione, la circolazione, il trasporto, la commercializzazione, l’industrializzazione, la ricerca e la promozione della coca sono soggetti a regolamentazione, controllo e fiscalizzazione dello Stato”.
Curiosamente è proprio la coca che si coltiva nella zona del Chapare quella che viene destinata, in gran parte, alla produzione di cocaina; la stessa che prima era esente da ogni tipo di controllo legale in quanto considerata "eccedente" o illegale. Si registra che meno del 10 % della coca prodotta sul posto era destinata a fini legali. Infatti è proprio qui che sono state scoperte delle “cucine” di coca e dove i contadini sono stati perseguitati dalla DEA. Con la ‘Legge della Coca’ vengono eliminate le tasse, perciò si incoraggia la produzione ed è il Governo di Evo che ne controlla (o protegge) commercio.
Al contrario, la coca coltivata nella zona degli Yungas è destinata, per la maggior parte, a uso medico e a consumo culturale e religioso. Con la nuova legge si estende (o si legittima qualcosa che stava già avvenendo) la zona di Chapare e si controlla e sradica parte dell’area coltivata dagli Yungas.
Questo è costato a Evo (che è proprietario di piantagioni di coca nella zona di Cochabamba) duri scontri tra le due fazioni dei ‘cocaleros’. Rappresentanti degli Yungas sostengono che il Presidente non può legiferare in materia per conflitto d’interesse, essendo parte in causa. Morales infatti è stato dirigente sindacale durante gli ultimi venti anni a Chapare, zona beneficiata dalla legge. Area inoltre in cui l'investimento del governo in infrastrutture è palese, avendo costruito persino un aeroporto internazionale. Il fine invece non è ancora chiaro.
Ma è evidente che se oggi la Bolivia è il terzo produttore di coca al mondo - e non il primo o il secondo - è semplicemente perché l’unica via per far uscire la droga verso gli Stati Uniti e l'Europa è per via aerea. Questa potrebbe dunque essere una delle ragioni per le quali è stato costruito un aeroporto a Chapare. Non sono poche infatti le voci che denunciano viaggi in aeroplani privati con carichi fino a 500 chili di cocaina non controllati da alcuna autorità - oltre che via terra. Se la Bolivia riuscisse a ottenere dal Cile uno sbocco in mare, allora sarebbe un’altra musica.
Questi scontri hanno costato la vita a più di un dirigente sindacale durante le repressioni della polizia da parte dello Stato. E ci sono anche voci di dirigenti sindacali ‘cocaleros’ che hanno denunciato che il tipo di foglia che si coltiva nella zona di influenza di Morales non è adatto al "pijcheo" (forma di consumo abituale).
La matematica è una scienza esatta e questa indica che dei 22mila ettari coltivati - sebbene secondo l’‘Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine’ (UNODC) alla fine del 2017 si siano calcolati in totale circa 24.500 ettari - solo 14mila sarebbero utilizzati a fini medici e legali. Il resto… Il resto possiamo immaginare dove vada a finire.
Non possiamo quindi chiudere gli occhi e fare finta di niente (anche in questo caso dinanzi a un discorso all’Onu), dato che con la legge del 1988, che fissava come limite di produzione 12mila ettari da coltivare, c’era già un eccedente legale di foglie che venivano distrutte. Secondo dati ufficiali 14mila ettari (significa che siamo già oltre 2mila ettari sulla quantità consentita dalla legge) venivano destinati a uso medico e culturale. Ora quindi possiamo dire che con la legge 906, Evo cerca di legalizzare la produzione clandestina che già era presente, estendendola esageratamente e sopperire - dichiara lui stesso - a una domanda di consumo legale che, almeno ufficialmente, non esiste.
Tutti questi dettagli e molti altri sembrerebbero indicare che dietro un discorso culturale si nascondono delle sfaccettature intimamente legate al traffico di cocaina o, almeno, l’agevolazione a questo traffico da parte del governo boliviano.
Il discorso di Evo Morales alle Nazioni Unite è perfetto ma la sua necessità di promuovere la commercializzazione della foglia di coca (senza badare a quale fini) per sostenere l’economia e il suo progetto politico, alla fine rende le parole contraddittorie. Molto contradittorie anche se esaminiamo i fatti da un punto di vista benevolo. Se invece prendiamo in considerazione alcune indagini o accuse, ancora in corso e non chiarite - come ad esempio quelle riguardanti la “Ruta dell’ Alba”, un’iniziativa illegale rivelata dall’ex pilota e socio dell’impresa LaMia, Marco Antonio Rocha, e altrettante che legano direttamente il Presidente boliviano, o parte del suo governo, con il traffico di cocaina tra Cuba, Venezuela, Bolivia e i cartelli messicani - potremo allora comprendere il potere di cui gode Evo Morales e la rapidità con cui è riuscito a dirimere molte questioni con i grandi e potenti ‘Santa Cruceños’, le mafie, i sindacati, la DEA e tanti altri.
A volte il fine non giustifica i mezzi. Sollevare un popolo, a costo della vita di milioni di giovani svuota di significato parole come libera determinazione, economia fiorente, distruzione del pianeta pronunciate nel suo discorso.
Molte volte, o quasi sempre, i progetti politici di sinistra (dai quali ci si aspetterebbe onestà), richiedono forti e veloci iniezioni di denaro per generare cambiamenti che, invece, seguendo i meccanismi ortodossi, necessiterebbero di lunghi e difficili periodi di tempo. È a volte facile quindi scivolare nella connivenza con il delitto, con il narcotraffico, con lo scambio di favori e altro. Si potrebbe discettare su molte ragioni ideologiche, magari intravedendo tra le righe la sindrome da Robin Hood, ma il reato è sempre reato, il traffico è sempre traffico e se questo, inoltre, alimenta guerre, ammazza i nostri giovani e sparge sofferenza e malessere nel mondo, di quale Giustizia sociale stiamo parlando? Solidarietà tra quali popoli? Che tipo di censure? Riempire la Siria di proiettili o la Spagna di cocaina è sempre violenza. Di diverso tipo, ma è pagare guerra con guerra. E alla fine si coniugano tanto la destra che la sinistra in uno stesso obiettivo, distruggere l'Uomo in qualunque modo.
Una volta, una donna che si dedicava al traffico di cocaina e che abbiamo incontrato personalmente ci disse: “In Bolivia, in Colombia e in altri Paesi produttori, gli indios mi dicono sempre che la coca è sacra e che è la vendetta dell'indio affinché l'uomo bianco uccida se stesso. A loro non importa se la vendiamo illegalmente o se ci ammazziamo, perché loro non la consumano in polvere. Questo pensano. Loro non vivono la coltivazione della coca ponendosi questioni morali, perché ritengono che siamo noi che adulteriamo la foglia di coca e che ci roviniamo da soli. Loro ci vendono la foglia, noi facciamo la cocaina - così pensano loro, è il loro modo di pensare e di vedere il mondo della coca".
E mentre questo accade, mentre alcuni applaudono, altri pensano e altri indagano. Per adesso quello che ci è chiaro è che lui ha il peso del potere appeso al suo dito.
Il peso della coca.



Assemblea Generale dell'ONU
Durante la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il presidente della Bolivia Evo Morales ha lanciato dure accuse agli Stati Uniti alla presenza del presidente Donald Trump.

Evo Morales:
Al Presidente degli Stati Uniti, al fratello Antonio Gutierrez, Segretario Generale delle Nazioni Unite, Fratelli presidenti, fratelli e sorelle del Consiglio di Sicurezza.
La Presidenza del Consiglio di Sicurezza ha convocato i suoi membri ad un dibattimento sulla non proliferazione di armi di distruzione di massa. La Bolivia fa parte di quella regione che si è dichiarata libera da armi nucleari da oltre mezzo secolo, perciò, devo ricordare l'articolo numero 1 del Trattato sulla proibizione di armi nucleari:
“Ciascun Stato Parte si impegna, in qualsiasi circostanza, a non sviluppare, testare, produrre, oppure acquisire in qualsiasi altro modo, possedere o possedere riserve di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari”.
Convoco tutti gli Stati attorno a questo tavolo a sottoscrivere, ratificare e mettere in atto con effetto immediato queste disposizioni. Questa è la maniera migliore di evitare la catastrofica possibilità dell'uso di questo tipo di armi. È un imperativo etico ed un debito verso le generazioni future.
Sorelle e fratelli del mondo, noi Stati membri del sistema delle Nazioni Unite siamo obbligati a rispettare le disposizioni fondamentali della Carta del 1945, soprattutto quella di risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici. In nessun caso ricorrere all’uso di armi di qualsiasi tipo; al contrario, solo attraverso l’uso della negoziazione, della diplomazia, del dialogo e degli accordi legali che devono orientare le azioni dei paesi. La Bolivia è convinta che solo attraverso tali strumenti riusciremo ad avere società più giuste e con responsabilità condivise.
Dobbiamo essere capaci e lasciare nel passato il primitivo uso delle armi tra i paesi. Voglio citare come esempio, il contributo della Corte Internazionale di Giustizia, principale organo giurisdizionale del sistema delle Nazioni Unite, per quanto riguarda l'effettiva risoluzione di dispute tra gli Stati in diverse latitudini e per diverse situazioni.
Sorelle e fratelli, siamo convinti che è imprescindibile dibattere, non solo sugli effetti, ma soprattutto sulle cause strutturali dei conflitti bellici, sulle vere motivazioni delle violazioni della pace, la sicurezza e la giustizia internazionali.
Prendiamo come esempio l'Iran, paese al quale si è fatto riferimento nella mattina di oggi. Nel 1953 gli Stati Uniti finanziarono, organizzarono ed eseguirono un colpo di stato, contro un governo democraticamente eletto che, esercitando la propria sovranità, nazionalizzò il suo petrolio che era in mano ad un’azienda anglo-statunitense.
Successivamente, per diversi decenni, appoggiarono un governo autoritario che permetteva che dei guadagni del petrolio beneficiassero le imprese transnazionali. Situazione che si protrasse fino alla rivoluzione del 1979. Ora che l'Iran ha ripreso il controllo delle proprie risorse, è nuovamente vittima dell'assedio statunitense. La Bolivia respinge categoricamente le azioni unilaterali imposte dal governo degli Stati Uniti contro l'Iran, egualmente condanna il fatto che gli Stati Uniti si siano ritirati dal Piano di azione comune integrale avvalendosi di scuse per continuare con la propria politica di ingerenza ed intervento negli affari interni di questo paese fratello. Sorelle e fratelli del Consiglio di Sicurezza, ci riferiamo alla regione del Medio oriente, ricca in risorse naturali, ma proporzialmente colpita da invasioni, guerre di aggressione ingiustificata che continuano a produrre dolore e lutto al loro popolo. Questa regione del mondo è stata scenario delle tre più grandi aggressioni commesse durante il Secolo XIX, e il Secolo XXI:
• La prima aggressione è l'illegale invasione dell'Iraq, basata sulla menzogna che "quel paese possedeva armi di distruzione di massa". Quell'invasione provocò oltre un milione di morti.
• La seconda aggressione è stata il rovesciamento del governo della Libia, con decine di migliaia di morti, con la scusa di "ragioni umanitarie". A conseguenza di ciò, sussiste una grave instabilità politica ed una crisi umanitaria nel Nord dell'Africa.
• La terza aggressione è la guerra civile in Siria che ha provocato oltre mezzo milione di morti negli ultimi 8 anni. Questa guerra è la conseguenza diretta dell'ingerenza e del finanziamento di gruppi armati ed organizzazioni terroristiche che si oppongono al governo siriano.
Sorelle e fratelli, negli ultimi mesi gli Stati Uniti hanno dimostrato nuovamente il loro disprezzo verso il diritto internazionale, il multilateralismo, e ai principi e propositi della Carta delle Nazioni Unite. Ogni volta che gli Stati Uniti invadono paesi, lanciano missili o finanziano cambi di regime; lo fanno accompagnati da una campagna di propaganda che reitera che "è a nome della giustizia, la libertà, la democrazia, dei diritti umani o per ragioni umanitarie."
Voglio dirvi: agli Stati Uniti non interessa la democrazia, se così fosse, non avrebbero finanziato colpi di Stato e appoggiato i dittatori, non minaccerebbero con interventi militari i governi democraticamente eletti, come fanno contro il Venezuela. A loro non interessano i diritti umani, né la giustizia, se così fosse, firmerebbero le convenzioni internazionali per la protezione dei diritti umani. O le minacce ai meccanismi di investigazione della Corte Penale Internazionale, non promuoverebbero l'uso della tortura, non abbandonerebbero il Consiglio di Diritti umani, e non separerebbero i bambini migranti dalle loro famiglie, né li metterebbero in gabbie.
Agli Stati Uniti non interessa il multilateralismo, se così fosse, non si sarebbero allontanati dall'Accordo di Parigi o dal Patto Globale delle Migrazioni, non lancerebbero attacchi unilaterali né prenderebbero decisioni come dichiarare illegalmente Gerusalemme Capitale di Israele. Quel disprezzo verso il multilateralismo è animato dal loro affanno per il controllo geopolitico e l'appropriazione delle risorse naturali.
Sorelle e fratelli, al di sopra di queste situazioni salutiamo i paesi: Francia, Germania, Regno Unito, Cina, Russia, che si mantengono fermi nella difesa dell'accordo nucleare firmato con l'Iran.
Ai paesi che non hanno abbandonato l'Accordo di Parigi, ai paesi che difendono i principi di uguaglianza sovrana degli Stati, di non ingerenza in temi interni, del rispetto al diritto internazionale e del rispetto agli impegni assunti e di difesa del multilateralismo.
La responsabilità della nostra generazione è consegnare un mondo più giusto e più sicuro alle prossime generazioni. Ci riusciremo soltanto se lavoreremo insieme per consolidare un mondo multipolare, con regole comuni da rispettare e diffendendolo da ogni minaccia nelle Nazioni Unite.
Molte grazie.

Foto di Copertina: www.hispantv.vom

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