Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

1di Jean Georges Almendras
Oltre duecento persone, tra cui molti giovani, innalzando striscioni con le foto delle vittime della dittatura, intonando slogan contro l'impunità e contro il colpo di Stato del 27 giugno 1973, hanno percorso circa dodici isolati per poi radunarsi alle porte del Comando Generale dell'Esercito in Via Garibaldi e Juan José di Amézaga, nella città di Montevideo dove sono stati letti dei proclami ed è stato bruciato un fantoccio in uniforme militare. Una marcia che ha segnato la differenza dalla marcia del silenzio del 20 maggio per non essere repressa ma diretta e frontale nella esplicita richiesta che i militari responsabili di violazioni dei diritti umani non rimangano impuniti.
Lo striscione simbolo di questa marcia convocata ed organizzata da organizzazioni e corporazioni studentesche, che non ha registrato incidenti, recitava "Nessun ‘milico’ per strada, nessun impunito senza condanna". Un motto che richiama alla giustizia e alla coerenza di salvaguardare la democrazia di oggi. La democrazia che non implica vedere nuovamente militari per le strade dell'Uruguay con il pretesto di lavorare per la sicurezza cittadina. Una democrazia che preservi nei fatti e nelle parole la memoria senza ipocrisie. Che rappresenti uno strumento legittimo per preservare la libertà e distruggere la cultura dell'impunità (della quale sono complici i governanti di turno), e di conseguenza l'indifferenza dello Stato, in riferimento alla lentezza con la quale lavora per trovare i resti dei detenuti scomparsi durante la dittatura, permettendo così che i repressori, militari, poliziotti e civili, continuino a rimanere impuniti e liberi a Montevideo e all'interno del paese.
Alle 18:30 del mercoledì 27 giugno del 2018, così come era previsto, numerose persone di differenti corporazioni ed associazioni sono giunte all'angolo della Via 2Pando e Via Garibaldi, sull'ala nord dell'Hospital Español.
Per la maggior parte giovani, i manifestanti hanno preparato i loro striscioni e lentamente hanno formato una colonna che ha sfilato lungo la Via Garibaldi in direzione dell'edificio centrale del Comando Generale dell'Esercito. Tra i vari striscioni anche quelli dei nostri compagni del Movimento Culturale Internazionale “Our Voice”, e dell'Associazione Culturale “Un Punto en el Infinito”.
Finalmente verso sera, al 45º anniversario del colpo di stato militare (messo in atto in quei giorni dal leader del partito colorado, in quel momento presidente eletto dell'Uruguay, Juan María Bordaberry), i manifestanti hanno cominciato a spostarsi lungo il Viale in direzione Sud.
Un camioncino apriva la marcia. E da un altoparlante si ricordava a tutta voce i momenti drammatici del colpo di stato e i patimenti di tanti uruguaiani.
Non si sono registrati incidenti né con le forze di polizia, per certo non visibili ai manifestanti, né con i cittadini non partecipanti alla mobilitazione. Una mobilitazione che seppure rumorosa e frontale non è stata irrispettosa o violenta. Al contrario, la marcia si è sviluppata pacificamente in una cornice di espressione di libertà che ha segnato una significativa differenza con la marcia silenziosa che ogni 20 maggio, organizzano le Madri e i Familiari di detenuti desaparecidos.
Lungo tutto il percorso si respirava aria di militanza giovanile e di coscienza sociale. Si respirava aria di libertà. Aria di militanza libera e distante dal potere. Militanza di giovani che esprimevano la loro disapprovazione in un paese dove la cultura dell'impunità fa stragi nella coscienza cittadina, specialmente quando si tenta di affrontare il tema della condanna dei responsabili di violazioni dei Diritti Umani, di torture e di morti negli anni della dittatura ed il tema dei desaparecidos, di quanto risulti carente il lavoro di ricerca per localizzare i corpi dei desaparecidos. Scavi ostacolati in diversi modi, con la complicità del sistema politico, del Potere Giudiziario caratterizzata dall’omertà implacabile e criminale dei militari che non forniscono informazioni sui luoghi di sepoltura; per di più non sono neppure obbligati dal Presidente della Reppublica Tabaré Vázquez a farlo, a svelare ogni cosa, come neanche lo hanno fatto altri presidenti post dittatura: Julio María Sanguinetti, Luis Alberto Lacalle, Jorge Batlle e José "Pepe" Mujica.
Nella parte conclusiva della marcia sono stati letti due proclami e nominate le corporazioni che hanno aderito, per poi bruciare un fantoccio legato alla recinzione installata lungo tutto il fronte dell'edificio di Comando. Un edificio con le luci frontali spente. Un edificio al buio, con i finestroni dell’ingresso principale coperti da teloni protettivi.
3Mentre il fantoccio bruciava i manifestanti hanno inneggiato in coro alcuni motti e hanno percorso un paio di isolati fino all'incrocio con Bulevar Artigas. Punto conclusivo di una marcia combattente e militante. Una marcia traboccante di vita, di ansia di giustizia e di verità.
Lì sul posto non abbiamo potuto fare a meno di domandarci sull’assenza di migliaia di persone, presenti invece lo scorso 20 maggio alla Marcia del Silenzio dell’Avenida 18 de Julio.
Dov'erano? Non li abbiamo visti. Forse la marcia di Via Garibaldi rappresentava temi opposti? Non lo sono in assoluto ma è chiaro che le modalità di espressione sono diametralmente opposte. Un'incoerenza che dovrebbe farci vergognare. Un'incoerenza che favorisce gli impuniti ed i repressori. Ci piaccia o no.
Ma così stanno le cose.
Per caso marciare il 27 giugno 2018, a 45 anni dal colpo di stato militare, così come si è marciato fino al Comando Generale dell'Esercito, è forse un atto illegittimo?
Riteniamo di no. Non è un atto illegittimo. E dico di più: manifestare così ha significato fare un passo avanti. Un passo fermo per non essere condizionato, né dal potere, né dal sistema politico.
E' un passo militante con maiuscola. Molto distante dall'istituzionalità e dalla struttura della Marcia del Silenzio.
E' un passo a favore della memoria. Della memoria libera. Libera da pressioni e da schemi. Schemi che alla lunga diventano complici del potere e dell'impunità.

Foto di Antimafia Dos Mil e Our Voice

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos