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maldonado santiago gendarmeriadi Jean Georges Almendras
Non ci sono più dubbi. È un dato di fatto. Un fatto sfacciato.
Il Ministero della Sicurezza del governo di Mauricio Macri premia, senza mezzi termini, il potere. Premia chi, eseguendolo, con l’autorizzazione ufficiale, macchiano di sangue e di morte le loro istituzioni..
Sei membri della Gendarmeria Nazionale sono stati premiati con l’aumento di grado.
Otto mesi fa questi sei funzionari hanno capito bene che le loro uniformi sono state le loro lasciapassare per uscire vittoriosi - di fronte all’opinione pubblica e alla giustizia - dopo aver preso parte ad un episodio pieno di irregolarità. Era il 1 agosto 2017: giorno in cui sette persone della comunità mapuche Pu Lof Cushamen in Resistencia attuarono un blocco stradale, lungo la Ruta 40, all’altezza del km. 1848, che dista circa 80 km. dalla città di Esquel, provocando la dura repressione di quattro squadroni della Gendarmeria Nazionale. Fatto ancora più grave, la repressione degenerò al punto di verificarsi la sparizione forzata e successiva morte del giovane artigiano e tatuatore Santiago Maldonado; una repressione fuori luogo che non avrebbe mai dovuto essere avvenuta.
Ma è successo. E purtroppo ha fatto una vittima. Responsabile il potere statale. Il potere statale rappresentato dai funzionari della sicurezza pubblica, con l’avallo dello Stato, che, senza previo ordine giudiziario, hanno fatto irruzione nei terreni della comunità mapuche aprendo il fuoco. Con munizioni di piombo. Come se si trattasse di una caccia. Un’azione purificatrice fomentata da razzisti seduti alla Casa Rosada, nella capitale argentina. Un’attività che fa di anticamera alla dottrina Chocobar.
Un’azione di chiaro tenore criminale che oggi vede i suoi protagonisti premiati e riconosciuti, come se niente fosse successo. Come se la morte di Santiago Maldonado fosse una illusione o qualcosa di banale dovuto alle circostanze, da non tenere in considerazione perché non era altro che un criminale, un fuorilegge. Un terrorista bianco che non doveva interessarsi ai mapuche.
Sei membri della Gendarmeria Nazionale sono stati premiati con l’aumento di grado
Lo stesso riconoscimento è stato riservato all’agente di polizia Chocobar dopo che ha ucciso un giovane che stava scappando dopo avere partecipato ad un reato. Un riconoscimento dal chiaro significato per i membri del corpo di polizia. Il messaggio machiavellico con lettera maiuscola è che non importa se il proprio operato sfiora l’illegalità, l’impunità vincerà sempre comunque. Il messaggio sarà sempre che è chi indossa l’uniforme a prevalere su chi non lo indossa, non importano le circostanze.
Non c’è cittadino del pianeta, né argentino, che non abbia visto come l’agente di polizia Chocobar, che è stato posto sotto indagine della giustizia per omicidio e abuso di potere, è stato chiaramente felicitato e riconosciuto dal presidente Mauricio Macri. Congratulazioni e saluti immortalati e diffusi alla società argentina e al mondo.
Congratulazioni ed un messaggio eloquente che disgusta e irrita. Un messaggio di impunità, indirizzato anche al popolo argentino. Indirizzato anche al mondo intero.
Che si sappia, con chiarezza quasi dittatoriale, che le forze di polizia non saranno mai puntate con il dito accusatore per aver commesso alcun delitto, anche se in realtà lo hanno commesso. Tanto meno se il delitto è contro un malvivente. Nel nome della sicurezza pubblica.
Nel nome della sicurezza pubblica? O nel nome dell’insicurezza pubblica? O nel nome della criminalità di Stato?
Rappresentano un messaggio con lettera maiuscola, di Impunità, le felicitazioni di Macri al poliziotto Chocobar.
L’agente di polizia Chocobar per la giustizia è colpevole ma per il Presidente della nazione argentina è un eroe.
Un messaggio con lettera maiuscola, di Impunità, ratificato dalla promozione dei gendarmi che hanno partecipato alla repressione dei mapuche. Gendarmi che sono stati querelati nel caso Maldonado. Gendarmi sospettati di aver partecipato alla sparizione forzata di Santiago Maldonado. Gendarmi il cui operato quel 1 agosto, alla Pu Lof Cushamen en Resistencia, dai contorni di illegalità e arbitrarietà che sfiorano il crimine.
Un messaggio che attenta, cinicamente, contro la famiglia Maldonado e la società argentina e il mondo; e contro lo Stato di Diritto in Argentina. Un messaggio che, cinicamente, riversa la sua putredine nella giustizia e nel dolore di una famiglia argentina.
Un messaggio in netto contrasto con qualsiasi etica e correttezza legale sinonimo di qualunque democrazia. Un messaggio che ha la pretesa di ignorare la sola idea di investigare imparzialmente sulla morte, o per meglio dire, l'assassinio per mano di "servitori dell'ordine” (o del disordine), di un giovane militante di una causa giusta nelle terre usurpate da Benetton ai mapuche.  
Sei membri della Gendarmeria Nazionale sono stati premiati con l’aumento di grado.
La sfacciataggine. Il cinismo. La criminalità statale. L'impunità.  
La stessa impunità che si vuole avvolga e favorisca i poliziotti responsabili della morte del bambino Facundo Ferreyra, nella provincia di Tucumán. La stessa impunità che si vuole avvolga i prefetti che spararono alla schiena al giovane mapuche Rafael Nahuel, a Bariloche, e possano quindi uscire vittoriosi senza nemmeno essere portati dinnanzi un Tribunale, come pretende l'avvocato querelante dell'Assemblea Permanente di Diritti umani, APDH, dottoressa Natalia Araya.  
Questi messaggi di impunità vanno oltre. Ma per noi non valgono niente. Sono messaggi malefici. Messaggi che dobbiamo neutralizzare. Polverizzare. Non promuovere. Messaggi che dobbiamo smascherare e denunciare.  
Perché noi non siamo uguali a loro.
Perché non siamo assassini, come loro. Assetati di quei messaggi, perché sono la loro salvezza.  
La salvezza di quei soggetti che fanno parte del terrorismo di Stato. Come 42 anni fa.   
Ma succede oggi. Anno 2018. In democrazia: la democrazia argentina.  
Si vergognino e i signori e le signore della Casa Rosata.  
Vergogniamoci noi, che glielo permettiamo.
(2 aprile 2018)

Foto di Copertina: www.laizquierdadiario.com

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