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violenze venezuela 1 c marcelino uesleiLe testimonianze raccolte da un’avvocata venezuelana sugli abusi della polizia del regime di Caracas
di Tamara Suju*
Confesso che trascrivere centinaia di testimonianze delle vittime della tortura in Venezuela e la sua sistematica ripetizione mi ha reso più forte perché non posso lasciarmi prendere dall’indignazione e dalla rabbia mentre scrivo il rapporto nel modo più metodico e obiettivo possibile. Lo scorso 17 agosto ho consegnato alla Corte Penale ventidue nuovi casi di tortura che vanno ad aggiungersi ad altri 110 casi ed ad un numero imprecisato di vittime silenziose che non hanno denunciato. Da un anno e mezzo scrivo le grida di orrore del mio Paese per l’espediente alla Corte, e quando credo che finalmente niente può più alterarmi, arrivano testimonianze che mi causano molta rabbia e stupore. Uno di questi casi é quello di Wuilly Arteaga, il violinista delle proteste, arrestato e torturato da effettivi della Guardia Nacional Bolivariana. Wuilly raccontò com’era stato trattato il giorno del suo trasferimento mentre lo torturavano e mentre una ragazza accanto a lui veniva violentata. Già in altre due occasioni avevo trascritto due casi simili, ma sentirlo dalle parole di questo coraggioso giovane, torturato e ferito con pallottole solo per aver suonato il suo violino durante le proteste mi ha provocato un forte brivido nell’anima. Mi rifiuto ad abituarmi al silenzio della società di fronte a questi casi. Mi rifiuto di accettare che questa “ragazza” non ottenga giustizia, e che i suoi violentatori non siano giudicati e incarcerati. Mi rifiuto che i gangster che tengono sotto sequestro il Venezuela con armi, persecuzioni e repressioni, reclusioni, omicidi, torture, trattamenti crudeli, sparizioni forzate, irruzioni illegali, saccheggi, attacchi alla proprietà privata di chi manifesta, tra le altre violazioni di diritti umani e crimini di lesa umanità, non sia giudicato e paghi per i suoi crimini.

A Carolina (il nome è di fantasia per proteggere la sua identità) l’hanno fatta inginocchiare in mezzo alla strada in una giornata di luglio e le hanno puntato un fucile in testa. I suoi vestiti erano diventati degli stracci: le guardie avevano provato a violentarla, le loro mani violente avevano percorso tutto il suo corpo. Ha pensato che l’avrebbero uccisa, mentre rimaneva in ginocchio piangendo con il panico nelle vene e il fucile puntato alla sua testa. E’ finita che le hanno attaccato degli elettrodi per darle delle scariche elettriche nella, nuca, nei seni, nelle sue parti intime mentre urlavano “guarimbera” (così vengono chiamati gli oppositori del regime dal nome dei blocchi stradali che si creano durante le manifestazioni, ndr) per aver manifestato.

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violenze venezuela 2 c marcelino ueslei

Marta
(nome di fantasia) ha sentito che stava morendo dentro mentre riceveva botte con tubi e bastoni nelle costole, nel addome, nella schiena, nelle gambe, appesa per i polsi ammanettati ad una colonna nella sede del comando della Guardia Nacional, con la punta dei piedi che sfiorava terra. Mentre faticava a respirare e vedeva tutto diventare nero, pure così continuava a percepire l’odio e la violenza con la quale ogni guardia le procurava botte senza pietà. Enmanuel Barrio si è rifiutato di abusare dei suoi compagni detenuti come spettacolo per le guardie che li obbligavano a toccarsi a vicenda dopo averli picchiati in maniera selvaggia. A causa del suo rifiuto hanno tentato di violentarlo con un tubo. Inginocchiato insieme agli altri, ammanettato e con le mani dietro la schiena, gli hanno gettato la polvere dei lacrimogeni negli occhi e hanno continuato a picchiarlo ancora e ancora…La sua colpa? Aver manifestato e chiesto libertà per il suo paese.

Carmen Ángel pregava il guardia di non picchiarla più mentre sanguinava copiosamente dalla ferita sulla testa che il soldato le aveva procurato con il casco e il manico della pistola. Mentre il sangue scendeva dal suo viso si è resa conto che non era uno, bensì 4 o 5 quelli che la stavano picchiando e le davano calci. Le hanno fratturato le dita della mano mentre tentava di proteggersi la testa. Ma la cosa peggiore per Carmen è stato vedere l’odio con il quale i torturatori la chiamavano “guarimbera”. Il capitano Jesús Alarcón è prigioniero in un carcere civile da più di tre mesi. Prima fu torturato ne “La Tumba” , la Divisione di contro intelligence a Boleíta, vicino a Caracas, e nel carcere militare di Ramo Verde. Ha ricevuto scariche elettriche, hanno tentato di soffocarlo con sacchetti di plastica, e l’hanno picchiato ovunque. Oggi è rinchiuso in una specie di gabbia a sbarre, come quelle che si usano per gli animali negli zoo, senza acqua ne elettricità, senza bagni, soltanto con una brandina da dove escono tutti i tipi di insetti e quello che è peggio, senza cibo. Acqua di lenticchie è la dieta imposta da diversi giorni per tutti i prigionieri, che hanno perso tra 15 e 25 kg di peso corporale. La porzione è miserabile, a volte in decomposizione, a volte è piena di vermi. Da quando Jesús Alarcón è arrivato non gli fanno vedere la luce del sole, in cella non può fare nessun tipo di attività fisica che lo aiuti a mantenersi in forma. Jesús è molto debole. Gli è permesso di vedere le sue piccole figlie una volta all’anno, durante la festa del papà, gli hanno detto.

A Briggitte Herrera le hanno puntato l’arma in testa e poi le hanno dato botte con tubi e bastoni, con i caschi dei funzionari e poi forti calci in tutto il corpo. Hanno tentato di violentarla con un tubo, e insieme alle altre giovani, le hanno dato schiaffi sul viso per causarle il maggiore danno possibile, lasciandole pesanti ematomi, mentre la minacciavano di morte. Ventinove giovani sono stati torturati insieme a Briggitte quella notte da un numero imprecisato di funzionari. I ragazzi sono stati trasferiti in due carceri, El Dorado e 26 de Julio, e lì è continuata la tortura. Senza cure per le gravi ferite inflitte, con pochissima alimentazione, con la malaria che arriva dalle paludi vicino alle prigioni. C’è chi ha sofferto ferite aperte in testa e non è stato curato, c’è chi ha vomitato sangue.

Potrei passare giorni a raccontare gli orrori che milioni di venezuelani hanno sofferto negli ultimi mesi e anni. Non ho nessun dubbio riguardo alla colpevolezza del regime Maduro. La narcodittatura è disposta ad uccidere, incarcerare e torturare nei modi più vili e sanguinari . Dico alla comunità internazionale che i venezuelani non possono lottare da soli e con gli strumenti di una democrazia contro un regime che è disposto ad ammazzarli, incarcerarli, torturarli e persino farli scomparire. Questo senza prendere in considerazione le cifre sui decessi per denutrizione, per mancanza di medicine e per assenza di strutture sanitarie, che ormai non hanno nemmeno più l’alcool per disinfettare. Il regime lotta per restare al potere a qualunque costo. I venezuelani lottano per vivere in libertà e democrazia. Non lasciateci da soli.

*Avvocata (direttrice delle Damas de blanco venezuelane e coordinatrice internazionale di Foro Penal Venezuelano) in esilio che sta raccogliendo tutte le denunce di tortura e ha fatto denuncia presso Corte penale internazionale

Tratto da: corriere.it

Foto © Marcelino Ueslei

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