Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

piccolo alandi Francesca Paci
È passato esattamente un anno da quando il corpo del piccolo Alan Kurdi depositato dalle onde sulle sponde dell’isola di Bodrum svelò quello che il mondo avrebbe dovuto sapere già da almeno tre anni, che cioè da quando i fondamentalisti islamici si erano appropriati della inizialmente pacifica ribellione contro Assad a scappare dalla Siria non erano più solo i poveracci ma la classe media, famiglie dotate di iPad e bambini con lo zainetto uguale a quello dei coetanei sulle spiagge di Lesbo, un popolo in fuga con cui immedesimarsi facilmente.

Cosa è rimasto di quella commozione globale, degli hastag, della magliettina rossa assurta a icona del nostro senso di colpa? C’è la foto di Alan sorridente nella casa di Vancouver della zia Tima, che martedì è volata a Erbil per accompagnare il fratello Abdullah al cimitero di Kobane, dove oltre ad Alan ha seppellito l’altro figlio Ghalib e la moglie Rehanna, tutti inghiottiti dal Mediterraneo. C’è l’urlo sordo di Abdullah, indifferente alle voci che l’avrebbero voluto complice degli scafisti assassini e irriducibile nel ripetere come la morte del suo bambino di 3 anni sia valsa solo lacrime di coccodrillo rivelandosi inutile di fronte alla tragedia senza fine del suo popolo. Ci sono migliaia di Alan e ci sono i «fortunati», i baby profughi che sono sopravvissuti al mare per sottovivere in un campo di transito come Noura, 5 anni, intercettata da Amnesty International nella tendopoli greca di Skaramagas, come Dilaver e Mahmoud, 4 e 2 anni, parcheggiati a Chios, come Rachel, 8 anni, precaria per mesi prima di ottenere il permesso umanitario britannico ed approdare a Bradford. Dopo l’accordo tra Ankara e l’Unione Europea la rotta balcanica tentata da Alan è sigillata, ma loro sono ancora lì, genitori e figli, tutti ad attendere la buona sorte o a sfidarla avventurandosi per altre vie verso il nord Africa.
Secondo International Rescue Committee dall’inizio del 2016 almeno 85 mila minori hanno rischiato di annegare per raggiungere l’Europa, 1500 di loro non accompagnati aspettano in Grecia una qualche forma di ricollocamento, oltre 2 milioni sono bloccati in aree della Siria sotto assedio o ad altissimo rischio e 2,7 milioni non vanno a scuola da quando è iniziata la crisi nel 2011. Poi ci sono gli altri, l’afghano Ismail di 3 anni accampato all’esterno del vecchio aeroporto di Atene Elliniko, l’etiope Mary di 13 anni già profuga nel campo kenyota di Kakuma, eritrei, sudanesi, i più disgraziati tra i disgraziati.
È passato esattamente un anno dalla morte di Alan Kurdi ma l’emozione di allora sembra sbiadita come l’immagine della Merkel che spalancava le braccia ai disperati. «La situazione dei fondi è andata peggiorando anche perché Bruxelles ha preferito stanziare per la Turchia 3 miliardi che dovrebbero includere una parziale copertura dei costi di ospitalità dei rifugiati, a fine giugno le stime dell’Onu suggerivano come la spesa umanitaria mondiale sia scesa ormai al 55% dei bisogni» osserva Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, conferma le difficoltà di fare fronte alla «maggiore crisi umanitaria» dei nostri tempi: «Le necessità della Siria sono state finanziate al 41% e siamo già a settembre, è un po’ meglio del 37% del 2015 ma siamo ancora in alto mare». Cosa è rimasto della foto della fine dell’innocenza (fittizia)? Poco, pare. La speranza è che non diventi un tabù.

Tratto da: lastampa.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos