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uranio impoverito scDalla Bosnia all’Afghanistan i numeri della strage dimenticata
di Alessandro Fulloni
Aumentano gli indennizzi per le cause intentate dai militari (e dai loro familiari) impegnati nelle missioni all’estero e ammalatisi a causa dell’isotopo contenuto nelle munizioni. Oltre 3700 malati. La quarta commissione parlamentare d’inchiesta promette: 6 mesi per una legge

I numeri sono questi: 330 morti e 3.765 malati. O «feriti», se vogliamo definirli tali. Cifre che non rientrano nel bilancio crudo di una battaglia, persa o vittoriosa. Eppure quel che è successo nelle nostre missioni militari più recenti, dai Balcani all’Afghanistan, si configura come uno degli scenari più luttuosi nella storia delle forze armate italiane. Caduti come a Dogali, sul Carso, a El Alamein, o al «check point Pasta». Non però sotto il fuoco avversario ma per gli effetti dalle polveri infinitesimali dell’uranio impoverito, «l’U238», il materiale con cui si fanno i proiettili di artiglieria che perfora le corazze dei tank. Ma che sviluppa temperature così alte che nebulizza i metalli, creando particelle che se inalate o ingerite possono causare forme tumorali.

Vent’anni tra vertenze e risarcimenti
Da vent’anni i reduci dalle missioni Nato in Afghanistan, Bosnia, Kosovo e Iraq si ammalano per le conseguenze dell’uso di questo tipo di arma. Tra tribunali amministrativi e civili - sono i puntuali numeri forniti dall’Osservatorio Militare presieduto da Domenico Leggiero, ex pilota dell’Aeronautica — ci sono già 43 sentenze di risarcimento. Tra queste 13 sono passate in giudicato. I familiari dei morti, o gli stessi malati, in una ventina di casi hanno ricevuto gli indennizzi: che si aggirano — parliamo delle cause relative ai decessi — attorno al milione di euro.

«Bollettino di guerra»
Il «bollettino di guerra» si aggiorna, purtroppo, di frequente: a dicembre aveva toccato l’Italia la morte di Gianluca Danise, incursore dell’Aeronautica, veterano di tante missioni all’estero, Kosovo, Albania, Eritrea, Afghanistan, Iraq e Gibuti (sfiorate l’icona blu per leggere la sua storia sul «Corriere»). Strazianti, ma al tempo stesso colme d’amore indirizzato alla famiglia, le parole lasciate nel suo diario online che raccontano la sua malattia: «Ho paura di morire e non poter dare un futuro a mia moglie e a mia figlia... Ho paura di morire prima di aver sistemato la maledetta burocrazia militare e civile...». Non è escluso che il male che lo ha stroncato si sia sviluppato in Kosovo. «Vedevamo gli americani e ci chiedevamo perché girassero bardati a quel modo — aveva raccontato Danise in un’intervista al quotidiano L’Arena —. Sembravano marziani. Sembravano personaggi di quei film tipo “Virus”. Avevano attrezzature per maneggiare i materiali di cui noi non disponevamo. Non ci siamo mai chiesti perché loro fossero cosi equipaggiati, pensavamo fossero loro a esagerare. Dopo il Kosovo, al rientro dalla seconda missione che ho fatto in Eritrea, cominciai a leggere i giornali e mi si gelò il sangue. Era l’epoca in cui si iniziava a parlare dell’uranio impoverito. Speravo di non essere tra gli sfortunati. Invece nel 2010 è toccato anche a me. È partito tutto da un mal di orecchie e mi si è stravolta la vita».

La commissione d’inchiesta
Per fare luce sui numeri di questa «battaglia» dimenticata non sono servite tre commissioni d’inchiesta parlamentari. Regolarmente azzoppate dal crollo anticipato delle legislature. Ora ne è decollata una quarta, presieduta dal deputato Pd Gian Piero Scanu. Che ha pianificato una calendarizzazione del lavori rapidissima. Partito a febbraio, Scanu vuole terminare la fase istruttoria entro giugno per consegnare le conclusioni a Parlamento e governo. Le audizioni si susseguono e in quella di mercoledì c’è stata una svolta importante. «Si può affermare, mutuando dalla criminologia, che l’uranio depleto è il mandante e le nanopolveri l’esecutore»: parole giunte dal presidente dell’Associazione italiana di radioprotezione medica Giorgio Trenta che ha confermato integralmente — in risposta a una domanda di Scanu — il senso di una perizia giurata firmata dallo stesso Trenta e contenuta in un documento della Corte dei Conti Abruzzo.

«Innegabile legame tra proiettili e tumori»
Nella perizia Trenta si affermava che «è necessario demolire una volta per tutte l’ipotesi che l’uranio depleto in quanto tale possa essere causa induzione tumori nei militari che hanno soggiornato in luoghi bellici dove lo stesso è stato utilizzato. Deve essere ricordata la responsabilità di tale proiettile nel generare le nanopolveri che sono in effetti la vera causa dell’induzione di molte forme tumorali. In conclusione si può affermare che l’uranio depleto è il mandante e le nanopolveri l’esecutore». Su richiesta di Scanu, l’esperto ha appunto confermato la sua dichiarazione, così come anche un’altra in cui definiva «innegabile che la percentuale di forme tumorali di vario tipo nei militari impiegati in diversi teatri di guerra dove sono stati utilizzati proiettili l’uranio depleto sia notevolmente elevata».

Sei mesi per la legge
Ma cosa succederà ora? Scanu parla di «un atto di indirizzo che impegni governo e Parlamento ad attuare con la massima tempestività le disposizioni che la Commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito della Camera indicherà come non più procrastinabili». Insomma: una legge che chiarisca di chi sono le colpe e soprattutto come vengano definiti gli indennizzi. «Sei mesi» per chiudere l’indagine preliminare. «Lo dobbiamo ai malati e alle loro famiglie, ma anche alle popolazioni civili che vivono in prossimità di aree contaminate». C’è anche una promessa: «Lavoreremo in maniera tale da far sì che questa commissione d’inchiesta sia l’ultima».

Tratto da: corriere.it

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