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manifestazione studenti mexdi Carlos A. Santana
La sete di giustizia del Messico si è manifestata nei cuori di ognuno dei partecipanti alla mega marcia organizzata per il primo anniversario della sparizione forzata dei 43 studenti della “Escuela Normal Rural di Ayotzizinapa”, (da qui il nome “normalisti”), e per i 6 uccisi e gli 180 feriti, anche se le cifre ufficiali parlano solo di 22.
La marcia era stata convocata dai genitori degli studenti, che vivono una costante repressione a causa della loro pretesa di giustizia, insieme agli alunni della Scuola Normal Rural “Raúl Isidro Burgos”, di Ayotzinapa, comunità del Municipio di Ttixla, a circa 14 km da Chilpancingo, capitale del Dipartimento di Guerrero.
Con i volti stanchi e segnati dal dolore, ma animati da sete di giustizia e ansia di verità, i genitori dei ‘normalisti’, scomparsi un anno fa e la cui sorte non si conosce ancora, hanno guidato la marcia.
Padri e madri, con le lacrime agli occhi, hanno rivendicato giustizia sostenuti da un popolo cosciente e da giornalisti di vari mezzi di comunicazione. Tutti testimoni di un popolo massacrato dall’impunità e dalla criminalità radicata nella società messicana. Hanno partecipato alla marcia anche genitori degli alunni della Escuela Normal “Isidro Burgos”, seguiti da membri di sindacati, da insegnanti, e da studenti delle università pubbliche del Messico, oltre che da comuni cittadini. Tutti uniti con un’unica voce: “Vivi li sono portati via, vivi li vogliamo”.

Omar García, uno degli alunni che riuscì a sfuggire alla strage insieme ad altri giovani quel 26 settembre del 2014, era presente alla marcia. Il suo volto rifletteva un segno di speranza e la gioia nel vedere tanta gente partecipare alla lotta.
Ci diceva: “la nostra percezione è che tutta la gente è cosciente di quanto sta succedendo in Messico. Migliaia e migliaia di messicani di ogni settore, di ogni credo e di ogni schieramento politico sono qui con noi. Questo è il giorno dell’indignazione. Perché siamo profondamente indignati per quanto accaduto il 26 settembre di un anno fa, e di quanto continua a succedere fino ad oggi. Un anno segnato ancora da crimini. E lo stato messicano non ha applicato la giustizia. Le indagini sono state condotte in malo modo, ciò reso evidente a livello nazionale e internazionale. È evidente a tutti che non hanno la capacità di portare avanti delle indagini e, quando lo fanno, è perché costretti, che è ancora peggio. Ecco perché non crediamo nelle loro investigazioni”.
Più tardi Omar ci confidò che il suo sentire personale non ha più alcuna importanza “perché ciò che ha più valore adesso è il sentire collettivo”. E aggiunse: “Noi non ci stiamo inventando i ‘desaparecidos’ o le stragi. Il governo c’entra con questi delitti ogni giorno, dobbiamo finire con tutto questo”.
Il percorso era tranquillo, anche se si rumoreggiava che c’erano dei disturbi e la repressione della polizia. Attraversando Ángel de la Independencia si respirava un’atmosfera mista di nostalgia e di sostegno ad una protesta contro le tante ingiustizie commesse contro i messicani, ad opera di un governo che ha dimostrato la repressione e la mancanza di impegno nel fare piena luce sui fatti.
Felipe de la Cruz, portavoce dei genitori, prese il microfono dicendo: “Oggi sappiamo che la menzogna storica è stata disintegrata dalla verità scientifica dettata dagli esperti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Nella riunione avuta con Peña Nieto, lo stesso ha ignorato gli otto punti da noi indicati. Oggi possiamo dirgli che si è sbagliato nuovamente, perché faremo i conti con i suoi funzionari che si sono inventati la più grande sceneggiatura della storia del Messico. Tutti gli assassini che hanno partecipato a questo crimine lo pagheranno molto caro. Pagheranno per ogni lacrima versata dai padri di famiglia. Oggi, noi genitori, denunciamo ad alta voce la complicità del governo di Peña Nieto con gli assassini di Iguala. Non può cadere nell’oblio, un delitto come questo, perché se oggi noi tacciamo, loro vincono e condanniamo noi stessi a vivere un incubo che non deve ripetersi mai più. Il movimento generato dall’esigenza di giustizia e di castigo ai colpevoli riuscirà a condurci alla verità. Si dimentichi il topo grande che le persone oggi qui presenti taceranno. Lui ed i mezzi di comunicazione, i loro complici, dicevano che il movimento dei padri di famiglia stava perdendo forza, solo perché Televisa, TV Azteca e Milenio, non parlavano del movimento dei 43 ‘normalisti’. Ma è proprio adesso che i messicani devono dimostrare la propria dignità. La “Marcia della dignità” di oggi è chiaro che non sarà l’unica marcia che conterà con l’appoggio del popolo del Messico. Abbiamo alzato la voce qui, come anche a Guerrero, Oaxaca e Michoacán, in lungo e largo del nostro paese. Oggi l’eco della voce dei messicani si è sentita in tutto il mondo. In Europa, negli Stati Uniti, in Canada, America del Sud. Si è sentita la voce di protesta dall’essere umano cosciente che grida giustizia, giustizia, giustizia!".
La pioggia improvvisa non ci fece desistere. Al contrario. Ci sentivamo uniti e compatti.
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Da sottolineare che il Presidente del Messico Enrique Peña Nieto, giorni prima, aveva parlato dell’impegno del suo governo per far luce sugli eventi del 26 settembre. In una riunione insieme ai genitori dei ‘normalisti’, il 24 di questo mese, presso il Museo Tecnologico, i genitori presentarono un documento contenente 8 richieste dirette al governo:
1 – Riconoscere la legittimità del movimento dei padri di famiglia e mantenere il caso aperto
2 – Che il Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti della Commissione Interamericana di Diritti Umani (CIDH) rimanga vincolato alle investigazioni ancora un anno, e che il Governo Federale si adegui alle sue raccomandazioni.
3 – L’istituzione di un’unità speciale di indagine che abbia due istanze: una apposita per la ricerca degli studenti scomparsi, mentre l’altra deve indagare sulle irregolarità che hanno caratterizzato le indagini del caso. Che la SEIDO (Superprocura specializzata in indagini sulla criminalità organizzata) concretamente, e l’Agenzia di Investigazioni Criminali) non siano inserite in questa Unità.
4 – Applicare sin da subito i mezzi tecnologici per la ricerca degli studenti.
5 – Attenzione degna, e immediata, ai feriti ed ai familiari, tanto degli studenti come delle persone che trovarono la morte la notte del 26 settembre del 2014.
6 – Rispetto verso la Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, di Ayotzinapa, e cessazione della stigmatizzazione dei ‘normalisti’.
7 – Informazione costante e rispettosa sulle vittime nel momento di aggiornamenti sul caso.
8 – Azioni determinate, non solo in questo caso, contro l’impunità, la corruzione e le violazioni dei diritti umani.
Nel documento, i padri di famiglia dicono inoltre a Peña Nieto che diffidano delle istituzioni e del suo governo, ma “l’anelo di abbracciare nuovamente i nostri figli oggi ci porta ad essere qui presenti ed esigere a lei nuovamente di ritrovarli”.
Ma cosa dice il gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti nominati dalla Commissione Interamericana di Diritti Umani? Loro, collaborando con le indagini del caso, hanno redatto il loro rapporto di 6 mesi di lavoro, facendo presente che non esistono indizi scientifici che avallino che i corpi dei 43 studenti furono bruciati nella discarica di Cocula, come aveva annunciato la Procura messicana.
Cosa dice Amnesty International? Il rapporto sopra menzionato lascia in evidenza la scarsa capacità istituzionale all’interno della Procura Generale della Repubblica nello svolgimento di un’indagine come questa e la negligenza da parte di funzionari pubblici.
Approfondendo il tema, gli esperti affermano che ci sono dichiarazioni nei verbali che alludono ad altre quattro versioni su quanto accaduto e segnalano che a Cocula, dopo gli analisi del caso, i periti hanno dichiarato che non è possibile che siano stati incinerati i 43 studenti in quel determinato luogo. Hanno trovato alcuni resti ossei calcinati, quelli di Alexander Mora, identificato come uno dei giovani di Ayotzinapa, ma altri no.
C’è anche una nuova scoperta nelle indagini degli esperti, riguardo un quinto autobus che gli studenti avrebbero preso in modo circostanziale, e che potrebbe essere stato la scintilla che ha scatenato l’aggressione contro i giovani. Gli esperti rilevano che nei verbali emergono le contradizioni in cui è caduto l’autista stesso. Il che porta a prendere in considerazione indagini in corso negli Stati Uniti per quanto riguarda il traffico di eroina da Iguala a Chicago; l’autobus potrebbe essere stato ‘manomesso’ per trasportare stupefacenti. Gli esperti raccomandano identificare pienamente l’autobus, poiché quello indicato a loro non figurava nei verbali e non coincide con il video mostrato come prova.
Bisogna chiarire se l’autista ha mentito oppure no, per quale ragione ha reso due dichiarazioni, una delle quali coincide con quella dei ‘normalisti’ sopravvissuti all’attacco. Bisogna chiarire la relazione esistente tra l’autobus ed il trasporto di droga (principalmente eroina) da Iguala a Chicago.
In sintesi, i 4 punti essenziali espressi dal gruppo interdisciplinare di esperti indipendenti, nominati dalla Commissione Interamericana di Diritti Umani sono i seguenti:
1) Il rapporto conferma che le autorità messicane sono molto poco professionali nel seguire le indagini; nel caso di Iguala non hanno provveduto ai protocolli di base per sorvegliare la scena del crimine.
2) La PGR ha escluso un quinto autobus, che potrebbe essere determinante per capire il motivo della scomparsa degli studenti. Un autobus che potrebbe essere coinvolto in un caso di narcotraffico fu fermato dalla polizia federale.
3) L’esercito, sembrerebbe aver ricevuto delle informazioni su maltrattamenti e detenzione degli studenti e non fece niente al riguardo.
4) I 43 studenti non sono stati inceneriti nella discarica comunale di Cocula.
Le analisi scientifiche, lo studio realizzato a Cocula e le contradizioni dei presunti autori del sequestro mettono in dubbio la “verità storica” resa dal Procuratore Jesús Murillo Karam su quanto accaduto ai ‘normalisti’ scomparsi tra il 26 ed il 27 settembre 2014.

Foto di Carlos Alberto Santana

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