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gang-mondodi Roberto Saviano - 14 giugno 2015
Nuova criminalità. Violente e organizzate militarmente, puntano al monopolio dello spaccio. Sono le Maras salvadoregne,
di cui fanno parte gli aggressori del ferroviere a Milano
Il machete è una sorta di ibrido tra un coltello e una spada, usato per tagliare la canna da zucchero, le noci di cocco e, nelle guerre in Sierra Leone o Ruanda, la spietata arma adoperata per tagliare mani, braccia, piedi.
Vedere usare con disinvoltura il machete in un treno di Villapizzone a Milano, tagliare il braccio a un giovane capotreno per la sola ragione di aver chiesto il biglietto fa credere a nuove invasioni di barbari, terrore che si insinua nella vita quotidiana dei pendolari. In realtà questo episodio c’entra poco con l’ordine pubblico ed è sbagliato paragonarlo alla follia omicida di Kabobo che uccise tre persone in zona Niguarda.

Questa vicenda riguarda il crimine organizzato. I tre ragazzi arrestati secondo le accuse fanno parte delle Maras, precisamente la Mara Salvatrucha: ricordatevi questo nome perché si tratta di una delle organizzazioni criminali più potentidel narcotraffico internazionale. L’FBI descrive Mara Salvatrucha la “gang più pericolosa al mondo” e per contrastarla ha costituito nel 2005 una task force dedicata.
Maroni invita a presidiare i treni con i poliziotti e se serve a sparare. Commento tipico di chi — come spesso accade nel suo caso — non conoscendo davvero le dinamiche, arriva a dare una valutazione superficiale. La crisi economica sta portando anche le catene dello spaccio dei grandi gruppi criminali italiani a rimodellarsi e queste gang diventano sempre più forti perché sono cinghie di trasmissione tra i piani mafiosi del narcotraffico e quelli dello spaccio porta a porta. In più, la qualità militare che i gruppi mafiosi italiani apprezzano delle Maras è la capacità di controllare i territori, cosa che i piccoli gruppi italiani non sanno più fare se non a stipendi alti.
Può sembrare difficile, vedendo le facce da ragazzini con l’espressione malriuscita da duri dei tre assalitori di Milano — Alexis Ernesto Garcia Rojas, 20 ann come Jackson Jahir Lopez Trivino e Josè Emilio Rosa Martinez, 19 — pensarli parte di una così complessa organizzazione. Per capirlo bisogna approfondire la storia del gruppo di cui fanno parte e contro cui le procure italiane devono iniziare a fare i conti come se affrontassero gruppi mafiosi.
Dal Salvador, durante la guerra (1980 - 1992), sono scappati negli Stati Uniti migliaia di ragazzini senza famiglia, con genitori ammazzati o madri che li preferivano lontani dalla macelleria centroamericana. Tra loro ex guerriglieri del Fronte Farabundo Martì e giovanissimi disertori dell’esercito regolare: sono proprio questi che addestrano gruppi di ragazzini sbandati in bande. Cosi nascono le Maras, gang salvadoregne che prendono a modello quelle di Los Angeles (afroamericane, asiatiche e messicane). In origine, come bande di autodifesa dalle altre gang. Ma con il tempo questa organizzazione sconfigge le altre e inizia a egemonizzare le strade: hanno disciplina militare, violenza estrema, preghiere, patti. Il crimine con regole batte sempre il crimine senza regole.
Le Maras arrivano a scindersi in due grandi famiglie rivali che si differenziano per il numero di “street” che occupano: Mara 13, meglio conosciuta come Mara Salvatrucha, e Mara 18, nata da una branca dissidente. Il numero delle strade si riferisce non al Salvador terra d’origine ma a Los Angeles. Accade però che arrivano gli accordi di pace di Chapultepec: guerriglia ed esercito fermano le armi. Il Salvador non è più un Paese attraversato dalla guerra civile ma è in miseria totale e gli affiliati alle Maras negli Usa non hanno molta voglia di ritornare in patria. A costringerli però interviene il governo americano che vuole liberarsi di queste organizzazioni come ci si libera delle zecche, strappandole dalla propria carne: tutti quelli che la polizia riesce a scovare vengono deportati in massa da Los Angeles al Salvador dove molti di loro erano solo nati. Ma come la leggenda narra che le zecche se le si strappa lasciando la testa ancorata sotto pelle il corpo ricresce, anche con le Maras questa operazione non fa altro che strappare solo il corpo che ben presto ricresce generando una diaspora che non rimuove il problema. Anzi lo diffonde.
Oggi le Maras hanno cellule presenti negli Stati Uniti, in Messico, in tutta l’America Centrale, Europa e Filippine. La Mara 18 è molto più grande perché ha deciso di federare nel proprio interno altre etnie di latinos.
In Italia anche la Mara Salvatrucha ha preso altri non salvadoregni come per esempio Trivino, uno degli assalitori del capotreno, ecuadoregno.
All’interno delle Maras tutto è codificato. I segni con le mani (che indicano il numero 18, il 13 o le corna del diavolo), i tatuaggi sul volto, la gerarchia, la musica hip hop. Tutto passa attraverso regole che strutturano e creano identità. Il risultato è un’organizzazione compatta in grado di muoversi velocemente. Elemento più interessante è che sono vere e proprie accademie del crimine, spesso composte da ragazzi tra i 13 e i 17 anni. Per entrare nella gang bisogna superare delle prove: 13 secondi di pugni, calci, schiaffi, sputi. Le ragazze entrano solo dopo aver subito uno stupro da parte dei vertici dell’organizzazione. E la prima regola delle Maras è che una volta dentro non se ne esce più. L’unico modo è la morte. Chi ha provato ad allontanarsi dalle organizzazioni è stato condannato alla pena capitale. Così, la frase che ripetono spesso è: “Vivi per Dio, per tua madre, muori per la gang”.
Non bisogna quindi confondere un’organizzazione così potente con i semplici flussi di immigrazione, si cadrebbe altrimenti nel solito errore, per il quale tanti italiani hanno pagato il prezzo di venire considerati mafiosi negli Stati Uniti solo perché la mafia itolamericana lì è stata potentissima. L’esercito di bambini delle gang (gli affiliati più giovani possono avere anche solo dieci anni) commercia soprattutto in cocaina e marijuana sulla strada. Non gestiscono grandi forniture, non sono ricchi, non corrompono le istituzioni. In strada però sono forti e spietati come killer professionisti. Non sono ascrivibili a un’organizzazione mafiosa classica perché questa è per definizione segreta mentre le Maras sono visibilissime: vogliono esserlo. Si marchiano in volto, si ghettizzano, sono truppe sul campo pronte agli arresti.
Genova e Milano sono le città italiane dove si trova il numero più alto di affiliati alle Maras e alle altre gang di latinos . Dai Latin Kings (veterani in Italia) ai Netas (portoricani e dominicani), dai Trinitarios ai Vatos Locos. Fino, appunto a MS-13 e Mara 18. Sempre di più queste organizzazioni accolgono tra vle loro fila filippini, nordafricani e italiani. Sono realtà complesse di cui ci si accorge solo quando usano le lama, anzi la più inquietante delle lame: il machete. Ma prima di quello usato contro il capotreno a Milano ce ne sono stati altri. Il 13 luglio del 2008 nel centro sportivo Forza e Coraggio di via Gallura, durante uno scontro tra Maras, a Ricardo (20 anni) cavano un occhio e gli sfigurano il viso, con il machete. Il 21 novembre 2011 un membro della Mara Salvatrucha viene aggredito con una mannaia dai Netas vicino al Duomo.
Il mio suggerimento per comprendere il fenomeno è dedicare attenzione all’opera di Christian Poveda. Regista francese di origine spagnola, riuscito a entrare come nessun altro nella vita quotidiana delle Maras, con un bellissimo documentario ( La vida loca ) il cui successo negli Usa spinse i media a chiedere conto al governo salvadoregno. Dal docufilm emerge una storia di miseria e disperazione. Perché le Maras capitalizzano la disperazione e vengono utilizzate dai grandi gruppi di narcotrafficanti come se i loro associati fossero degli schiavi.
Poveda venne ucciso nel 2009 dagli stessi che lo avevano fatto entrare nel mondo “chiuso” delle Maras.

Tratto da: La Repubblica del 14 giugno 2015

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