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scordato-cosimo-webdi Nando dalla Chiesa
Venivano da tutta Palermo i bambini. Come i pargoli del Vangelo. Così un giorno si sono dovute sospendere le prime comunioni. Troppa concorrenza alle parrocchie. La chiesa di San Severo, prezioso barocco del  Settecento di architetto gesuita, era diventata un’attrazione cittadina. Niente effetti speciali, nessuna star televisiva nel cuore dell’Albergheria, quartiere del centro storico in degrado. Semplicemente lui. Avete in mente gli eroici furori contro gli immigrati? O l’occhiolino alla mafia straripante di denaro? O la frenesia di rimandare i bambini in bottega per dar loro “un futuro”? Ecco, il contrario ha un nome e un cognome: Cosimo Scordato. Questo prete dalla barba imbiancata e dal cuore di fanciullo è da anni alla testa di uno dei più grandi esperimenti sociali che si compiano nelle metropoli italiane. Non per volere di istituzioni illuminate ma perché quel che don Milani fece sulle colline di Barbiana lui cerca di farlo nelle viscere della Palermo che odora di fritto e milza bollita.

Il quartiere per il quartiere. Aiutare ad aiutarsi. Sono gli slogan semplici ma imbottiti di pensiero sociale con cui guida dal 1986 il movimento di autopromozione, come dice lui, di questo spicchio di città. Arrivò qui da un’altra esperienza di trincea, prete di famiglia contadina (“senza abbondanza,ma dignitosa”) con fratelli e sorelle emigrati oltreoceano. Giunse dalla parrocchia di Casteldaccia, da quello che agli inizi degli anni ottanta venne ribattezzato il quadrilatero della morte: Casteldaccia, Bagheria, Villabate, Altavilla. Era arrivato lì come fedelissimo del cardinale Pappalardo, di cui era stato segretario per un anno (“una grande intelligenza, uno straordinario umorismo”), per esserne poi mandato a Roma a laurearsi in teologia. A Bagheria aveva fondato con altri preti il movimento dei pop-teologi, e oggi ride come un discolo al solo ricordarlo. Si mettevano a discutere di questioni teologiche con la gente della parrocchia: risvolti etici, sociali, religiosi. Più un combattivo comitato antimafia negli anni in cui i corleonesi assetati di sangue e di potere andavano all’attacco dello Stato. Incontri, film, un giornalino con i giovani (“A Zotta”, la frusta). Il cardinale cercava di tirar su un’altra chiesa, padre Michele Stabile ne era la voce nei quartieri, e un po’ di parrocchie per rabbia e per fastidio verso il nuovo corso disdettavano gli abbonamenti a “Famiglia Cristiana”.
E fu proprio con Michele Stabile che Cosimo iniziò la sua avventura a San Severo. Barba nera, allora, e lo stesso amore di oggi per le camicie a quadri. Nella città  martoriata volle partire dai bambini. Dall’imperativo di combattere la dispersione scolastica. Un doposcuola con l’aiuto di volontari, cattolici e laici, perché San Severo è un centro sociale apartitico (“ma non apolitico”) e aconfessionale, aperto a tutti. Gli diedero man forte alcuni dei più generosi intellettuali palermitani. “Risultati bellissimi. Sono proprio tanti i bambini che abbiamo aiutato a rimanere a scuola. Oggi stiamo riuscendo a mantenere alle superiori trentuno ragazzi. Tre vanno addirittura all’università, con l’aiuto del Rotary. Abbiamo fatto laureare anche dei ragazzi del Congo. Un bel progetto: noi li portiamo qui per farli studiare, loro tornano al proprio paese da ingegneri o da scienziati”. L’Africa. E’ un suo pallino. E se no perché si sarebbe dovuto innamorare della teologia della liberazione? Le favelas sudamericane, le discariche africane, i ghetti di Palermo, il concilio, Danilo Dolci e don Milani. La mondialità, come dice lui; il filo che va dalla “sua”Albergheria al continente più povero. Perciò a ogni quaresima, per sette settimane il quartiere in lotta con la disoccupazione e con la dispersione raccoglie fondi per il Congo o la Tanzania. Soldi per scuole, pozzi, presidi socio-sanitari. Portati direttamente sul posto. E poi foto scattate sempre sul posto e mostrate in chiesa. “Sì, da noi la chiesa è un luogo aperto. Presentazioni di libri. E poi concerti e mostre. E assemblee, da qui abbiamo promosso anche scioperi della fame per il risanamento del quartiere, e qualche successo l’abbiamo pure ottenuto. Il teatro invece si fa all’aperto, in un giardino. E poi scuola anche per gli adulti. C’è un accordo con la ‘Antonio Ugo’, facciamo arrivare al diploma di media inferiore una decina di adulti all’anno, ormai siamo arrivati al centinaio. Abbiamo pure aperto un corso di formazione in pittura su stoffa per le donne. Basta così? No, ora cerchiamo di pensare con più sistematicità agli anziani. Speriamo di farcela…”.
Traspare un velo d’ansia nelle parole del prete dalla forza tranquilla. Perché con le istituzioni, sia pure passando per momenti di tensione, c’è sempre stata collaborazione. “Mai stati alternativi. Andavamo anche ai consigli comunali. Abbiamo solo insegnato che non bisogna aspettarsi che i problemi te li risolva qualcuno dall’alto, il nostro è stato un messaggio antiassistenzialista, semmai. Ora però dal lato delle istituzioni c’è un silenzio totale. Da un paio d’anni zero contributi; ma a noi due o tre operatori per organizzare e trainare il volontariato servono come il pane”.
Il velo d’ansia sparisce per miracolo alla messa la domenica. Allora Cosimo entra in chiesa sorridente, come una chioccia gioiosa, seguito da uno stuolo di bambini zompettanti che si siedono per terra a cerchio intorno all’altare. Sono quelli in attesa della prima comunione; tutti rigorosamente dell’Albergheria per non scatenare gelosie. Poi al momento delle “intenzioni” i fedeli salgono all’altare ed esprimono un desiderio per il quartiere, il più grande come il più ingenuo. Quindi partecipano ai referendum popolari che lui, con tanto di schede informative, organizza sui temi che gli stanno a cuore: è giusto che un padre di famiglia non possa fare il prete?, è giusto scomunicare i produttori di armi?, la Chiesa deve dare consigli o promuovere la libertà di coscienza? Quando la funzione finisce, il teologo si rigetta nel pentolone sociale dell’Albergheria. Ormai ha un pensiero fisso: aiutare i più giovani a creare posti di lavoro nel quartiere. Imprese in cooperativa o a conduzione familiare. Una pizzeria (“la pizza migliore di Palermo”), una trattoria, una gelateria. Tutte lì intorno a San Severo. Domenico, Paolo, Massimo, Alessandro, sono i nomi dei suoi pupilli che hanno creduto nella sfida imprenditoriale. Li sa a memoria, li segue nel loro destino. “Alessandro ora fa il cuoco sulle navi”. E voi, somari, che credevate che i teologi disputassero dell’alto dei cieli…

(il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2010)

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