Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

isola-webPer un pugno di isole
di Federica Bianchi - 28 settembre 2012
Finora era sembrata una tempesta in un bicchiere d'acqua. L'ipotesi che Cina e Giappone potessero entrare in guerra per cinque isole disabitate e (molti) giacimenti sottomarini di gas e petrolio nel mare meridionale della Cina sembrava totalmente irrealistica.

Oggi un po' meno. Le celebrazioni per il quarantesimo anniversario della normalizzazione dei rapporti tra la seconda e la terza economia mondiale, che avrebbero dovuto svolgersi a fine settembre a Pechino, sono state rimandate a un periodo meno agitato (manifestazioni violente sono scoppiate per giorni in tutta la Cina dopo che il Giappone ha acquistato da un privato tre delle isole). Negli stessi giorni, il segretario americano alla Difesa Leon Panetta, in visita nella capitale asiatica, ricordava al futuro leader Xi Jinping che l'articolo 5 del trattato tra Giappone e Usa obbliga questi ultimi a intervenire in caso di aggressione.
La querelle riguarda le isole del Mar cinese meridionale chiamate Daiyutai dai cinesi e Senkaku dai giapponesi, e va avanti da oltre un secolo. Con il caveat che un tempo non se ne conosceva la ricchezza del sottosuolo e che la Cina non aveva i mezziper aspirare al rango di potenza regionale.
Non è la prima volta che i cittadini cinesi dimostrano violentemente contro il Giappone dando alle fiamme beni di fattura giapponese ma di proprietà cinese. L'ultima volta è stata nel 2005, quando il primo ministro giapponese si era recato in visita presso un santuario controverso che onora i morti della guerra sinogiapponese. La prima risale agli anni Novanta, quando l'allora presidente Jiang Zemin tentava di distrarre l'opinione pubblica dalla nascente corruzione e dai difetti del capitalismo rivangando l'odio contro il Giappone.
Il problema di fondo è che non si sono mai rimarginate le ferite dovute all'invasione giapponese terminata con la Seconda guerra mondiale. Il Giappone, a differenza della Germania in Europa, non ha mai presentato scuse ufficiali e il Partito comunista dal canto suo non perde occasione per manovrare l'opinione pubblica, scatenandola contro un facile obiettivo nazionalista, e per distrarla così dal malessere interno.
Oggi, a differenza di sette anni fa quando l'economia del Paese cresceva ancora a due cifre, la Cina sta vivendo una delicatissima fase di transizione politica - il ricambio di circa il 70 per cento della classe dirigente - ed economica - per la prima volta in trent'anni è alle prese con una vera crisi che mina la legittimità del Partito comunista.
La situazione è fluida. Ed è in momenti come questi che il nazionalismo fa paura.

Tratto da: espresso.repubblica.it

Foto © Keystone

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos