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israeledi Ennio Remondino - Globalist - 18 agosto 2012
Ora le armi chimiche.
Già avevano provato a ventilare la nuova minaccia. L'uso di armi chimiche nel conflitto siriano. Sembrava una sparata giornalistica subito soffocata dal succedersi dei massacri quotidiani molto convenzionali. Ora l'ipotesi ritorna. E spiega le sue ragioni (o forse le sue speranze).


Se questa minaccia fosse reale, «potrebbe richiedere un attacco israeliano preventivo sulle scorte governative e su altri obiettivi militari».
Lo sostiene Jonathan Fox in una analisi per il Center for Advanced Studies Defense (Cads) su www.isn.ethz.ch/. «Tale assalto», sostiene Fox, «può anche fornire l'occasione per Tel Aviv per indebolire il sostegno iraniano a Hezbollah». Più che una considerazione, una analisi, quella di Fox appare come una constatazione, una presa d'atto. Sulla base di che? Leggiamolo.
Più paura, più fretta.
«L'introduzione di armi chimiche, come aggiunta credibile alla crisi già disordinata in Siria, aumenta l'urgenza per una risoluzione del conflitto. Non è più possibile per la comunità internazionale la sua strategia di dure critiche al regime attuale senza rischiare una grave erosione della situazione della sicurezza in Medio Oriente. La rimozione del presidente Bashar al Assad, fedele sostenitore ed alleato prezioso dell'Iran, è nell'interesse degli Stati Uniti. La Cia ha inviato squadre ai posti di frontiera, al fine di armare gli elementi dell'opposizione da lei controllati, ma i rapporti recenti suggeriscono una mancanza di attività di intelligence all'interno della Siria». Appunto prezioso: Assad alleato con l'Iran riavvicina gli interessi strategici di Usa e Israele.
La lezione irachena.
«L'esercito siriano libero (Fsa) continua nella sua lotta armata contro il regime, ma non controlla abbastanza territorio da cui consulenti americani e altri stranieri (turchi? ndr) possono operare in modo sicuro. Inoltre, il ritiro dall'Iraq degli Stati Uniti non ha cancellato le lezioni apprese su cosa può accadere rovesciando la leadership di un paese. In questo modo (come in Iraq, ndr), si garantisce in modo efficace la gestione del caos successivo alla forza estera presente per gestire il vuoto di potere. Questo rende l'opzione di un intervento americano impensabile per alcuni (ma non tutti) politici». Insomma, cacciare Assad creando un vuoto di potere alle sue spalle è troppo oneroso. E di ribelli affidabili e vicini agli interessi occidentali (e israeliani) se ne vedono pochi anche sul campo di battaglia di Aleppo.
Attacco israeliano.
Ed ecco le conclusioni dell'analista: «Presi insieme, tutti questi fatti impongono un serio esame sulla possibilità di un attacco israeliano. Il governo israeliano non ha certo bisogno di alcun aggiornamento sulla situazione nella vicina Siria. Una sorveglianza costante della crisi è rilevante per la gestione di molteplici minacce alla sicurezza dello Stato ebraico. Hezbollah, l'organizzazione sciita militante con base in Libano, è ampiamente considerata come forza gestita dall'Iran alle frontiere d'Israele. Trasferimento dell'arsenale del presidente Assad agli Hezbollah, in particolare armi portatili anti-aeree, è una chiara linea rossa per gli israeliani ed è una situazione che probabilmente cercano di prevenire». Raccontate così sembrano decisioni già prese.
Di sponda verso l'Iran.
«Le tensioni tra Iran e Israele sono al centro di gran parte della discussione sugli sviluppi della situazione in Medio Oriente, dal risveglio arabo alla guerra civile siriana. Anche se i dettagli sono ancora puntati sull'ultimo attacco a turisti israeliani in Bulgaria, Hezbollah e (per estensione) l'Iran sono diventati i principali sospettati. Nel contesto di altri presunti complotti iraniani contro obiettivi israeliani all'estero, l'inclinazione di Israele a colpire gli interessi iraniani è notevole. La minaccia immediata del flusso di armi a Hezbollah e l'obiettivo più strategico di indebolire un alleato iraniano, fa dell'attacco contro le armi del presidente Assad una opportuna e calcolata opzione per Israele». Ragionamento lineare molto simile ad un suggerimento. O a notizie possedute.
Armi chimiche e non solo.
«Naturalmente, gli israeliani hanno avuto esperienza recente di attacchi aerei su obiettivi siriani, oltre alla fiducia di un successo militare in caso di attacco che si svolgesse in un prossimo futuro. Tale attacco è probabile che avrebbe come bersagli le scorte siriane di armi chimiche ("mustard gas, sarin, and cyanide"). La decisione del presidente Assad di spostare le sue armi chimiche potrebbe costringere gli aerei di attacco ad avventurarsi in profondità nel territorio siriano e nell'area di copertura delle postazioni anti-aeree siriane. In un tale scenario, l'eliminazione delle scorte di armi chimiche richiede la neutralizzazione di batterie antiaeree e della forza aerea siriana». Bersaglio le armi chimiche, effetto collaterale la distruzione delle capacità di difesa antiaerea siriana.
Non "se", ma "quando".
«Gli effetti di gravi danni alle capacità aeree siriane e la perdita delle armi chimiche impedirebbero al regime di Assad di mantenere l'attuale rapporto di forza contro l'opposizione o di intensificare la sua repressione per rimanere al potere. Strategicamente, così facendo, Israele indebolirebbe le capacità del più stretto alleato dell'Iran. Dal punto di vista tattico, gli israeliani avrebbero la possibilità di colpire qualcosa di origine persiana (senza ancora entrare in guerra diretta contro Teheran, ndr). Se l'intervento di Israele in Siria è da attuare». Per fortuna un dubbio, di pura forma accademica, in un contesto di considerazioni-informazioni che lo fanno somigliare molto ad un piano pronto a scattare. D'istinto la domanda, più che "se accadrà", diventa "quando accadrà".

Tratto da: globalist.it

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