Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.
ahmadinejad-presidente-iran-webdi Simone Santini - 5 aprile 2012
Fu leggendo una intervista dell'allora primo ministro di Israele, Ariel Sharon, su "The Times" nel novembre 2002, che compresi per la prima volta con estrema chiarezza come l'Iran rappresentasse il punto di rottura di tutto il sistema geopolitico dell'era contemporanea. In quel momento il dibattito sulla politica internazionale era tutto incentrato sulla possibilità o meno di un attacco degli Stati Uniti, guidati dai neocon nell'Amministrazione Bush, contro l'Iraq. L'11 settembre era ancora un ricordo vivido e drammatico, e le forze statunitensi avevano spazzato via, con apparente facilità, il regime talebano in Afghanistan.

Sharon, in quell'intervento, fu chiaro: gli Usa avrebbero dovuto attaccare l'Iraq, ma non perché questo paese rappresentasse ormai una minaccia, ma quale tappa necessaria per arrivare al vero nemico, l'Iran. «L'Iran fa di tutto per entrare in possesso di armi di distruzione di massa e di missili balistici», affermò in quell'occasione Sharon, «questo è un pericolo per il Medio Oriente, per Israele e per l'Europa. L'Iran è dietro al terrore in ogni parte del mondo».
Sharon dettava con precisione al gendarme americano l'agenda da seguire. Nei corridoi del potere di Washington cominciò a circolare un ruvido e lugubre motto: «Tutti sono capaci di andare a Baghdad, i veri uomini vanno a Teheran!». Le cose, come noto, non andarono esattamente come quella dirigenza si aspettava.
A quasi dieci anni di distanza, si torna sempre più spesso ad evocare la possibilità di un conflitto tra Occidente e Iran. Questa eventualità, in realtà, non è mai del tutto tramontata in questi anni. Ora, però, sembra di essere entrati in una fase cruciale, in cui le dinamiche internazionali non potranno procedere ancora per troppo tempo senza un chiarimento, in un senso o nell'altro. Nel termine di 12-18 mesi sapremo certamente se una guerra di ampie proporzioni scoppierà ancora, o sarà scoppiata, in Medio Oriente.
Tutte le indicazioni che in questi anni avrebbero motivato una guerra all'Iran non solo sono rimaste in piedi, si sono aggravate. Ma non quelle ufficiali: l'Iran vuole la bomba atomica; l'Iran minaccia Israele di distruzione e più in generale perturba l'equilibrio internazionale; l'Iran sostiene il terrorismo; bensì le autentiche e ben più potenti dinamiche politiche e di potere, a livello regionale e globale.
Tra il 2008 e il 2010, mentre l'Occidente si dibatteva in convulse crisi economico-finanziarie, la Turchia sembrava abbandonare il suo consolidato alveo geopolitico. La freddezza dell'Europa per un suo ingresso a pieno titolo nel Vecchio Continente, la guerra in Iraq che aveva di fatto reso il nord curdo del paese una regione autonoma, rinfocolando le aspirazioni per un Kurdistan indipendente, le molteplici tensioni con Israele (gli strascichi del caso Ergenekon, le contese per i giacimenti di gas nel Mediterraneo del sud-est, gli scontri sulla Palestina sfociati nella crisi della Freedom Flottilla), indussero il neo-ottomanesimo di Erdogan ad aprirsi verso Oriente.
Come illustrò molto lucidamente il presidente siriano Bashar Assad, in una intervista a "La Repubblica" del maggio 2010: «La Siria, l'Iran, la Turchia. Ma anche la Russia. Sono tutti Paesi che stanno collegandosi l'un l'altro, anche fisicamente, attraverso gasdotti e oleodotti, ferrovie, reti stradali, sistemi per la conduzione dell'energia elettrica. Un unico, grande perimetro unisce cinque mari: il Mediterraneo, il Mar Caspio, il Mar Nero, il Golfo Arabo e il Mar Rosso. Stiamo parlando del centro del mondo. Da Sud a Nord, da Est a Ovest, chiunque si muova, deve percorrere questa regione».
Un nuovo asse dei Paesi in via di sviluppo in Medio Oriente, se portato a compimento, minacciava di ridurre in un angolo la potenza egemone Israele, l'avamposto dell'Occidente in questa regione strategica per gli equilibri mondiali. Al tempo stesso l'ascesa dell'Iran sciita era vista con preoccupazione ed allarme dalle petro-monarchie sunnite del Golfo, storiche avversarie della Persia e con al loro interno delle turbolente minoranze sciite.
Il confronto tra sunnismo e sciismo politico è in pieno svolgimento. L'Iran, oltre che essere storico alleato della Siria, era stato fino a quel punto sponsor delle organizzazioni Hezbollah in Libano e Hamas in Palestina, stava estendendo la sua influenza in Iraq e sosteneva componenti radicali nello Yemen, stava quindi cercando di stringere alleanze strategiche con Afghanistan, Pakistan, e, come si diceva, Turchia. La Primavera araba del 2011 ha rimescolato non poco questi scenari. Soprattutto la crisi siriana ha destabilizzato Damasco e neutralizzato (il tempo dirà fino a che punto) una possibile risposta militare del paese a fianco dell'Iran o di supporto ad Hezbollah in caso di crisi bellica. La dirigenza in esilio di Hamas ha abbandonato la Siria per porsi sotto la protezione di Qatar e Giordania. I rapporti tra Ankara e Damasco sono tornati tesi e addirittura, in taluni momenti, si è temuto un confronto armato. L'Iran appare sostanzialmente solo nell'affrontare i nemici che circondano da ogni lato i suoi confini.
Sullo scenario geopolitico, l'Iran è rimasto l'unica falla per i progetti imperiali che mirano al totale controllo delle riserve e dei corridoi energetici di Medio Oriente e Asia centrale. Teheran, oltre che essere in sé un "forziere" di idrocarburi, è la porta di ingresso, necessaria e sufficiente, per la Cina verso il Caspio. Pechino si serve per il 20% del suo petrolio solo dall'Iran.
La "Terra di mezzo" si trova nel suo momento di massima espansione. All'inizio del secolo gli analisti americani vedevano il 2015 come data di riferimento oltre la quale la locomotiva cinese, coi suoi impressionanti ritmi di crescita, poteva diventare "fuori controllo" rispetto l'egemonia imperiale statunitense.
Le dinamiche portano verso un globale "conflitto inevitabile"? Non è detto. Henry Kissinger, uno dei decani della strategia imperiale statunitense, vede anche un'altra possibilità che ha illustrato nel suo ultimo saggio in uscita, "The future of U.S. Chinese relations": la guerra potrebbe scoppiare «ma sarà una scelta, non una necessità». Oltre l'opzione delle armi c'è quella dell'integrazione, la creazione di una «Comunità del Pacifico» che andrebbe in qualche modo a sostituire, in maniera epocale, la comunità del secolo Atlantico, quella del trascorso XX secolo.
Il baricentro del potere mondiale potrebbe spostarsi da Occidente ad Oriente, ma gli Stati Uniti resterebbero, almeno per una lunga fase, alla guida di questo colosso a due gambe, grazie al loro ancora enorme strapotere militare e tecnologico.
La Cina potrebbe mai accettare questa prospettiva, diventare il socio di minoranza dell'Impero? In realtà, Pechino potrebbe non avere scelta: se gli Usa controlleranno tutti gli approvvigionamenti energetici del Medio Oriente, l'unica possibilità sarà cercare un accordo con gli Stati Uniti se si esclude una prova di forza. Inoltre, la situazione interna non consente sfide troppo azzardate: disoccupazione, inflazione, bolle immobiliari, tensioni sociali, suggeriscono alla dirigenza di Pechino una politica prudente e di mediazione. Xi Jinping, il nuovo giovane leader cinese in procinto di diventare presidente, dal prossimo anno, è avvertito. Se gli Stati Uniti riusciranno a "normalizzare" l'Iran, potranno controllare la Cina e avere un altro "secolo americano", non più sull'Atlantico ma sul Pacifico.
Ecco, che, dunque, la prospettiva di guerra all'Iran si nutre di tutti questi fattori, di queste potenti forze, lo "spirito della storia" è in pieno movimento.
Queste prospettive ho cercato di illustrare nel mio saggio "Iran 2012", oltre che analizzare la tematica del nucleare iraniano ed illustrare le dinamiche di potere in atto a Teheran. Come ho scritto nell'introduzione: «Il filo rosso che percorre tutta l'opera è il tentativo di ricostruire, aldilà delle manipolazioni e fraintendimenti operati dalla pubblicistica mondiale, tutti i possibili contorni dell'intricata crisi iraniana, in alcuni casi sfatando miti e svelando inganni, sperando di offrire, ai pacifisti introvabili, uno strumento di analisi e comprensione. Un tentativo di verità. E libertà».

Simone Santini, "IRAN 2012 - L'imperialismo verso la prossima guerra? Scenari, cronache, retroscena", prefazione di Giulietto Chiesa, Edizioni all'insegna del Veltro (Parma, 2012)

Tratto da NOMOS - Bollettino di studi e analisi, edito da "Millennivm"
http://www.millennivm.org/nomos/numero-III.html

Tratto da: clarissa.it

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos