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Egregio Dottor Bordin,

Le scrivo a nome e per conto della Fondazione La città invisibile di Catania, ente no profit, ideatore del Premio “Madri della Costituzione”, del quale si è occupato in un suo recente articolo pubblicato sul giornale "Il Foglio" (alle ore 6 del mattino, giorno 6 febbraio scorso).

Intanto, lasci che la ringrazi per aver dato pubblicità al Premio assegnato alla Signora Anna Galatolo. Il fatto stesso di averne parlato, ha contribuito a creare attenzione mediatica sulle ragioni del Premio, aiutandoci a coronare il nostro obbiettivo di informazione.

Le scrivo per segnalarle alcune imprecisioni/errori contenuti nel suo articolo, che la prego di correggere.

Primo: il nostro ente non è un’associazione, ma una fondazione, cioè una persona giuridica iscritta all’albo della Prefettura di Catania. La distinzione può sembrare di poco conto, ma al di là della forma, ha un suo significato (la invito ad approfondirne la distinzione nei testi di diritto). La fondazione è, inoltre, un ente privato, che gode di assoluta autonomia, nei limiti previsti dal suo Statuto e dalla legge. E’ pertanto autonoma la scelta e l’orientamento delle attività stesse messe in pratica in ossequio alle finalità statutarie che sono, cito testualmente, “culturali, formative, di ricerca, sociali e umanitarie” … “in attuazione del modulo culturale rappresentato da sapere e legalità". Rientra a pieno titolo quindi negli obbiettivi della fondazione quello che lei, in modo improprio, ha definito “elevare a Madre della Costituzione” una personalità di acclarato valore etico, sociale e culturale come la Signora Galatolo. Dico “improprio” e aggiungerei errato, poiché (che lei sia d’accordo o meno, a nostro avviso e secondo la porzione di società civile da noi rappresentata, composta da volontari, genitori, giovani e docenti, è così) non si tratta di “far passare dal basso verso l’alto”, di far ascendere la Signora Galatolo ai principi incarnati dalle madri costituenti, ma di dare giusto riconoscimento, di portare alla luce un valore già esistente, che essa personifica: il valore di un sacrificio lungo 30 anni, 30 anni di vita sotto scorta perché coniuge o familiare di una persona minacciata solo perché compie il proprio dovere di servitore dello Stato.

Secondo: Il nostro ente non è finanziato da nessun ente pubblico, né statale né regionale. Anche questo è un aspetto fondamentale su cui lei si è sbagliato. Non siamo ahinoi fortunati (l'aggettivo è ironico) come il giornale “Il Foglio” che in 17 anni (fonte: Il Fatto quotidiano, 12 febbraio 2015) ha percepito 50 milioni 899 mila 407 euro di finanziamenti pubblici. Nel ricordare questo non trascurabile particolare, non siamo invidiosi, caro dottor Bordin. Non invidiamo infatti chi, percependo ogni anno tali cifre, dovrebbe sentire il pressante dovere morale di verificare le proprie notizie, in un’opera di instancabile, auspicabile ricerca della verità dei fatti. Cosa che non sembra sia stata fatta nel nostro caso. Certamente in buona fede. Vista la totale “disaffezione” del suo giornale verso i riferimenti di cui ha trattato.

Terzo: Il premio alla moglie del PM Di Matteo non ha attinenza con l’esito del Processo sulla Trattativa Stato-Mafia. Interessante è notare come la stampa “nazionale” che gode di finanziamenti pubblici e che dovrebbe sentire l’obbligo morale di rispondere alle attese pubbliche di ricevere informazione libera, accurata e intellettualmente onesta, sia capace di battere un colpo su tale processo solo qualora appunto vi sia da infliggere colpi ai magistrati, scusi il bisticcio di parole. A proposito, visto che sembra li abbia dimenticati citandoli genericamente come “gli altri tre colleghi”, certa di farle cosa gradita, le ricordo i nomi degli altri magistrati che con il PM Di Matteo fanno parte del pool che ha formulato le accuse agli imputati del processo: Vittorio Teresi, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.  Che mai significa la domanda finale con la quale chiude il suo articolo: se poi li assolvono? Anche se assolvessero gli imputati del Processo di cui fa cenno, giustiziandolo come “controverso”, resta il fatto che nessuno ridarà indietro alla signora Anna Di Matteo, al marito e ai figli, la libertà che da anni non si possono permettere, nessuno ridarà loro il piacere e la serenità di una famiglia minacciata dalla mafia. Il Processo su quella che lei definisce “presunta” Trattativa (dimenticando che già una sentenza del Tribunale di Firenze ha stabilito che tale trattativa è meno presunta di quanto lei non voglia ammettere), non c’entra nulla con il Premio, poiché il Premio “Madri della Costituzione” non dipende dall’esito del Processo.

Possibile che in questo Paese non vi sia ancora la maturità di uomini come lei di accogliere un riconoscimento al di fuori di una chiave di lettura “maschile”, che riduce il valore dell’operato delle donne a mero tassello di un puzzle raffigurante i propri sogni o i forse i propri incubi? Possibile che in questo Paese conti di più lo "schierarsi contro" a dispetto del rispetto della dignità delle persone, in particolare delle donne migliori della nostra società?

Da ultimo le rivolgo un’esortazione: abbia maggior fiducia nelle istanze della società civile. Specie in quella totalmente autonoma, apartitica e dedita al bene comune come quella rappresentata dalla nostra Fondazione Città invisibile.

Distinti saluti

dott. ssa Alfia Milazzo cav. OMRI
presidente Fondazione La città invisibile

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