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LECCO. Un settore che pare non conoscere crisi, capace di creare posti di lavoro e ricchezza, eppure il commercio internazionale delle armi ci pone di fronte ad importanti interrogativi etici: è il tema che è stato al centro della discussione della serata di venerdì, con Qui Lecco Libera, che ha preso spunto dalle ultime novità in casa Fiocchi Munizioni per un approfondimento.

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“L’azienda lecchese, per la prima volta dopo 141 anni di storia, cede parte delle sue quote ad un fondo di investimenti, questa notizia comporta forti novità nel nostro territorio che interessano soprattutto i lavoratori e le lavoratrici – ha ricordato Corrado Conti – vogliamo parlare di questo ma anche conoscere di più della produzione e delle commercio delle armi e delle leggi che lo riguardano”.

Tre relatori e tre contributi differenti, quello giornalistico di Duccio Facchini, quello sindacale di Mauro Castelli, rappresentante della Fiom Cgil, e quello  del sociologo Giorgio Beretta, esponente della Rete Italiana per il Disarmo.

Da sinistra il sindacalista Mauro Castelli,
il giornalista Duccio Facchini, il sociologo Giovanni Beretta


Invitato alla serata anche il presidente Stefano Fiocchi, “che, con cortesia, ha declinato l’invito, la sua risposta è stata comunque un segno di attenzione all’iniziativa” ha sottolineato Facchini che ha realizzato un’analisi economica partendo dai bilanci dell’azienda lecchese, votata da sempre all’export: “Già nel 1992, nel primo bilancio presentato, il 53% dei ricavi della Fiocchi Munizioni proveniva dalle vendite all’estero, il 57% delle forniture riguardava il comparto industria e difesa, il 43% caccia e tiro”.

Una percentuale, quella di prodotto destinata per uso non sportivo che è cresciuta raggiungendo il 73% della produzione totale nel 2016, anno nel quale la società lecchese tocca il fatturato di 143 milioni di euro, di cui solo 37 milioni realizzati in Italia, riferisce Facchini illustrando i dati camerali.

Dove vende la Fiocchi? “Principalmente nel Nord America, 59 milioni euro di fatturato nel 2016 – prosegue Facchini – segue la Germania, il Regno Unito, la Francia, l’Albania, l’Indonesia, il Belgio, la Svizzera e la Giordania”. Nel 2017 le vendite negli Stati Uniti hanno conosciuto un calo di circa il 26% rispetto all’anno precedente, in soldi circa 8 milioni di euro, “al contrario – sottolinea Facchini – ha visto crescere notevolmente le vendite in paesi come l’Oman e il Pakistan”

Le esportazioni della Fiocchi nei paesi del Medio Oriente


Proprio il decremento del volume di affari sul mercato a stelle e strisce rischia di incidere sull’attuale organico della fabbrica di Belledo, dove oggi sono occupati oltre seicento lavoratori:

“La Fiocchi Munizioni non ricorre alle agenzie interinali, unica sul territorio – spiega Castelli sindacalista della Fiom – al contrario si serve di contratti a tempo determinato e ogni anno circa 30/40 di questi contratti vengono trasformati in tempo indeterminato. A dicembre scadono 140 contratti e il loro rinnovo dipenderà dall’andamento mercato e dagli ordini. Per la prima volta, poi, quest’anno l’azienda chiuderà per le festività natalizie dal 15 dicembre”.

Esportazioni di armi dalla Provincia di Lecco


Riguardo alla vendita delle quote al fondo Charme, che fa capo a Montezemolo e figlio, “il peggioramento degli affari in America, perché con l’elezione di Trump gli americani avvertono il rischio di limiti alla vendita e non fanno scorte, avrebbe complicato la trattativa, che dovrebbe concludersi entro fine anno – riferisce il sindacalista – L’azionariato della Giulio Fiocchi è fatto di 48 soci, ognuno dei familiari ha una quota e se la necessità è quella di investire avrebbe potuto non essere semplice trovarsi tutti d’accordo. Il loro progetto è quello di andare in borsa, sicuramente non in Italia, più facile negli Stati Uniti o nel Regno Unito. Il presidente ci ha spiegato che questo fondo acquisisce aziende che vanno bene e le accompagna verso la quotazione in borsa. Ci ha rassicurato che non si tratta di un’operazione speculativa. Inoltre l’azienda cerca nuovi spazi per crescere, tanto che ha acquisito un fabbricato a Lomagna da adibire a magazzino e creare maggiore spazi nell’attuale capannone per la produzione”.

Castelli ha sottolineato anche gli sforzi fatti dall’impresa per aumentare la sicurezza interna alla fabbrica: “Dal 1990 non si sono più verificati incidenti mortali, l’ultima vittima è stata una delegata della Fiom. Ha investito in nuovi macchinari e negli ultimi 25 anni non si sono verificati altri casi come quello. Come cittadino posso essere contrario alla vendita di armi, ma da sindacalista dico che è un’azienda che continua ad investire ed assumere, paga gli stipendi, ha relazioni sindacali corrette. Vogliamo chiuderla? Parliamone”.

E’ questo il nocciolo della questione, ma Giorgio Beretta ci invita a guardare oltre: “Può esserci un passo verso il disarmo, in modo sostenibile e senza che siano i lavoratori, ultima ruota del carro, a pagare le conseguenze”.

Il sociologo ricorda la visita di Gheddafi in Italia, accolto al suo arrivo da Silvio Berlusconi, e l’accordo siglato lo stesso giorno per esportare 11 mila pistole e fucili della Beretta destinate alla Guardia di pubblica sicurezza libica. “Negoziamo per le armi, quando potremmo invece potremmo accordarci per costruire ospedali, scuole, strutture pubbliche in quei paesi. Fornire armi è un’altra questione”.

La cronaca della ribellione in Libia ci racconta che fine hanno fatto quelle armi: “Gli insorti hanno fatto irruzione nel quartier generale di Gheddafi e lì hanno trovato scatole intatte e foderi di migliaia di pistole e fucili tutti marca Beretta – prosegue il sociologo leggendo uno stralcio dell’articolo di un quotidiano nazionale – Lo stesso accadde nei palazzi di Saddam quando arrivarono gli americani. Armi inviate dall’Italia regolarmente sono state tutte depredate e finite nel mercato nero. Chi alimenta quindi il terrorismo internazionale? Forse una riflessione dobbiamo farla tutti. Non possiamo lamentarci del terrorismo e poi continuare a vedere armi al primo dittatore di turno”.

A livello nazionale, Lecco rappresenta il 7% del totale delle esportazioni di armi prodotte in Italia, il primato va a Brescia con il 25,7%.

“Oggi mercato delle armi è drogato, qualsiasi altro mercato dipende da qualità e prezzo per vendere all’estero, quello delle armi funziona perché c’è un sostegno politico, quando so che quel governo o paese garantirà il sostegno – dice Giovanni Beretta – tutte aziende puntano all’esportazione, non si produce armi per la difesa del proprio Stato ma per venderle all’estero. L’arma diventa un modo di proiettare la politica estera in competizione con gli altri stati europei. Che industria della difesa abbiamo in mente? Sostenibile per i nostri bisogni o vendere all’estero aumentando tensioni e conflitti?”.

lecconotizie.com

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