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fo dario c afpA un anno dalla scomparsa e a venti dal Nobel Giuseppina Manin lo ricorda in un nuovo saggio
di Natalia Aspesi
«Chi sei?». «Sono Manin». «Ma non sei morta?». «No Dario, a dire il vero sei tu che sei morto!». «No no, ti sbagli. Morta sei tu, Morti siete voi. Io sono vivo. Vivissimo». Lo ha fatto davvero questo sogno Giuseppina Manin, svegliandosi angosciata, forse toccando ferro: e questo indimenticabile spavento lo racconta in apertura del suo nuovo libro, il quinto con protagonista l’attore scrittore etc. Una biografia, un romanzo, appunto un sogno? No, una “storia di Dario vera e immaginaria” come dice il sottotitolo: e infatti il titolo è Ho visto un Fo. Perché è vero, di Fo ce ne sono stati tanti, mutevoli e mutanti lungo i suoi 90 anni, e tutti ne han visto uno o molti, veri o inventati, amati o temuti. E, a un anno dalla sua morte, tutti quei Fo ognuno li ricorda a modo suo, per quello che hanno contato nella propria vita, in politica, nella risata, nel rifiuto, sul palcoscenico, nelle fabbriche, nel dolore, nei trionfi. Ma il tempo oggi è frettolosamente cattivo: seppellisce anche i ricordi di condivisione più luminosi o bui, vissuti in anni forse brutti ma vivi, sulla scia dell’impegno, delle risate, della generosità di Dario e Franca.
Di quel noi di chi ha avuto la fortuna irragionevole di viverli quegli anni, non è rimasto più niente. Il 29 maggio di sole del 2013, in una visione anni ’70 di bandiere rosse e Bella ciao, i milanesi avevano gettato rose rosse sul feretro di Franca Rame: ultimo capitolo, ultimo ricordo, ultimo addio, l’epilogo del Fo, della Storia dei suoi e nostri anni, di questo libro, quel 15 ottobre di un anno fa, sotto la pioggia, sotto centinaia di ombrelli, sul sagrato davanti al Duomo, il funerale laico, l’ultimo mistero buffo del nostro per ora, ultimo Nobel. Una immagine di quasi vent’anni fa, la sera del 10 dicembre 1997, nella Concert Hall di Stoccolma: “el fieu della Pina, il giullare che si fa beffe del potere, il sovversivo che si diverte a mettere i potenti in mutande, in piedi diritto davanti a un re. Uno vero, Carlo XVI Gustavo Bernadotte sovrano di Svezia”. Tutta la realtà immaginaria raccontata dall’autrice avviene in quei giorni trionfali, nella memoria e nelle premonizioni, un intreccio festoso tra quelle ore solenni e impacciate e il fluire di tutta la vita; a cominciare da quando la Pina lo ha messo al mondo il 24 marzo 1926 a Sangiano in Lomellina, sposa di Felice Fo capostazione girovago, attore dilettante e socialista duro, lungo tutta la lunga storia con quella bellissima ragazza bionda, miope, intelligente, paziente, indispensabile e solo talvolta renitente, la Franca, che gli regala nel 1955 il figlio Jacopo e pagherà sul suo corpo l’odio fascista per i Fo. Sul sontuoso palcoscenico del teatro di Stoccolma, pieno di severi signori in frac e decorazioni, Dario proclama la sua dotta tesi a fumetti, cioè illustrandola con 25 suoi disegni e che ha il titolo Contra Jogulatores Obloquentes, la legge con cui Federico II autorizzava il popolo a bastonare e pure ammazzare i giullari. Sull’ultimo foglio l’augusto premiato ha dipinto il volto di Franca in versione leonardesca; «Questo Nobel va anche a lei». Che però non è accanto a lui come forse meriterebbe, ma giù in platea, come una invitata qualunque, inquieta per l’inquietudine di Dario, a cui sotto la giacca è saltata una bretella e ci mancherebbe che gli cadessero i pantaloni davanti al re.
In Italia intanto c’è molto trambusto politico-culturale, racconta dettagliatamente e allegramente Manin; si è dimesso il premier Romano Prodi e dopo 22 anni, quando nel 1975 fu premiato Eugenio Mortale, il Nobel a chi va? A un giullare, a un pericolo pubblico, a uno che forse l’italiano non lo sa, che recita in una lingua incomprensibile, un suo grammelot, che però, non si sa come, tutti capiscono e ne ridono rumorosamente. A Milano la giunta di centrodestra è fuori di sé, il sindaco Albertini si nasconde a una sfilata di moda, e con Fo non si fa vivo neppure con una cartolina. La folla di nostri intellettuali che aspira irragionevolmente al Nobel (anche adesso, quell’Ishiguro è certo un usurpatore) parla di beffa. Il poeta Luzi, certo che per sue misteriose visioni il Nobel doveva essere suo, è furibondo, lo scrittore Giorgio Montefoschi dice era meglio Moira Orfei, Carmelo Bene è indignato; plaudono Giorgio Strehler, Umberto Eco e anche Franco Zeffirelli che considera Fo un genio. La notte in cui il novantenne Nobel lumbard del 1997 si spegne, un anno fa, il Nobel viene assegnato a Bob Dylan, anche lui un poeta speciale: anche questa volta proteste a non finire, però non solo nel piccolo club degli aspiranti italiani, ma in giro per il mondo. Gli scontenti ormai si moltiplicano ovunque e per tutto, noiosissimi.

LA REPUBBLICA

Foto © AFP

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