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regeni giulio 610Vertice a Roma: il ruolo dell’ambasciatore Cantini sulle richieste della Procura
di Giovanni Bianconi
Le ultime carte giudiziarie arrivate dall’Egitto sul caso Regeni sono una dozzina di pagine di verbali pressoché inutili alle indagini, che non consentono alcun avanzamento nella ricerca della verità sul sequestro e l’omicidio del giovane ricercatore friulano, torturato e assassinato all’inizio del 2016. Si tratta delle domande poste agli uomini della Sicurezza del Cairo che - come accertato da inquirenti e investigatori italiani - ebbero certamente a che fare con Giulio prima del rapimento, e poi con il depistaggio messo in scena due mesi dopo il ritrovamento del cadavere. I poliziotti continuano a negare ogni coinvolgimento, ma il problema è che negli interrogatori non c’è traccia delle contestazione possibili grazie agli elementi che rendono inverosimili o poco plausibili le loro risposte. In sostanza i magistrati egiziani si sono limitati a prendere atto dei ripetuti «no» dei sospettati.

Se il nuovo ambasciatore italiano al Cairo, Gianpaolo Cantini, riuscisse a ottenere per via diplomatica ciò che finora la Procura di Roma non ha ottenuto sul piano della collaborazione giudiziaria attraverso la rogatoria: la partecipazione dei pubblici ministeri italiani agli interrogatori degli agenti e degli ufficiali egiziani, potendo ribattere alle negazioni con gli indizi che le contraddicono, quello sì potrebbe rivelarsi un passo avanti concreto. L’invio degli atti avvenuto il 14 agosto scorso, infatti, lo è stato sul piano della «collaborazione» tra i due uffici inquirenti, come affermato all’epoca dai magistrati, non sull’accertamento dei fatti.

Questo hanno appreso ieri Paola e Claudio Regeni, genitori di Giulio, nell’incontro con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e con il sostituto Sergio Colaiocco. I quali hanno rinnovato il loro impegno per scoprire chi, come e perché ha deciso di sequestrare, torturare e uccidere il ricercatore universitario che lavorava al Cairo, ribadendo però le limitazioni di un’inchiesta del tutto anomala, condotta in un Paese straniero da un’autorità giudiziaria straniera secondo le regole processuali di quel Paese, su cui gli inquirenti romani possono svolgere un ruolo di stimolo e di sorveglianza, ma senza poter incidere concretamente sulle mosse dei titolari delle indagini.

Di qui l’auspicata sponda diplomatica alle mosse della Procura, sulla quale dovrebbe impegnarsi l’ambasciatore che il governo ha deciso di rispedire al Cairo dopo l’ultimo contatto tra i capi dei rispettivi uffici giudiziari, che tante polemiche ha suscitato. E che ha provocato l’indignazione dei Regeni, convinti che si sia trattato di un cedimento in cui la ragion di Stato e i principi della realpolitik hanno sopravanzato la domanda di giustizia e il rispetto dei diritti umani. Ora si tenta trasformare quella decisione contestata in un’opportunità, e il nuovo rappresentante diplomatico potrebbe impegnarsi anche affinché il fascicolo dell’indagine egiziana venga consegnato ai rappresentanti della parte offesa, cioè i legali dei familiari di Giulio. La richiesta fu avanzata dall’avvocato dei Regeni, Alessandra Ballerini, al procuratore della Repubblica araba Nabil Ahmed Sadek, nell’incontro avvenuto nel dicembre scorso, ma da allora non se n’è saputo più nulla.

Ieri l’ambasciatore Cantini è stato ricevuto dalla presidente della Camera Laura Boldrini, che l’ha invitato a «percorrere tutte le strade possibili» per fare luce sulla morte di Giulio: «Sono fiduciosa che lei riuscirà a portare avanti questo delicatissimo dossier con tutta la determinazione del caso». Il segretario del Pd Renzi pretende «assoluta chiarezza» anche dall’università di Cambridge per la quale lavorava Regeni.

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