Roma. "Se il nuovo Codice Antimafia fosse stato legge, questa assurdità non sarebbe stata possibile, invece il testo e' fermo in Senato dal novembre 2015": lo dice il deputato del Pd Davide Mattiello, relatore alla Camera della riforma del Codice Antimafia, sulla vicenda della Calcestruzzi Belice di Montevago, società confiscata alla mafia e dichiarata fallita nei giorni scorsi dal tribunale di Sciacca per un debito di 30 mila euro. Mattiello torna a chiedere al Senato l'approvazione della riforma sui beni confiscati, che ha già avuto il sì della Camera. "Questa vicenda - spiega - va chiarita: perche' una azienda confiscata da anni, era ancora direttamente amministrata dalla Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati? Cosa ha fatto l'Agenzia per ricollocare sul mercato questa azienda, tutelando i livelli occupazionali? Come e' possibile che l'Eni abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30 mila euro?". "In altre parole: un pezzo dello Stato - prosegue Mattiello - avrebbe chiesto (e ottenuto!) il fallimento di un altro pezzo di Stato per 30.000 euro senza tenere in alcun conto ne' il devastante valore simbolico ne' il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di una azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà la partita contro la mafia" conclude.
ANSA
Cgil a Grasso e Boldrini, subito riforma beni confiscati
Lavoratori Calcestruzzi Belice non licenziati se fosse approvata
Roma. Cgil nazionale e Fillea Cgil hanno inviato una lettera al presidente del Senato Pietro Grasso, alla presidente della Camera Laura Boldrini e alla presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi, per metterli a conoscenza della vicenda riguardante il licenziamento dei lavoratori della società Calcestruzzi Belice di Montevago (Agrigento), confiscata e gestita dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Confederazione e categoria tornano a chiedere al Parlamento di accelerare l'iter per la definitiva approvazione della riforma del Codice Antimafia. La missiva di questa mattina segue quella inviata ieri al viceministro degli Interni, Filippo Bubbico e al direttore Generale dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrai e confiscati, Umberto Postiglione, in cui sono stati messi in evidenza "i paradossi e le leggerezze" che hanno portato all'invio, nella giornata di ieri, delle lettere di licenziamento per i lavoratori. "Essendo l'azienda sana da un punto di vista produttivo ed economico - spiegano Cgil e Fillea - arrivare a dichiararla fallita per un debito contratto con Eni ben prima della confisca e di modesta entità (30mila euro), rappresenta un fatto insopportabile di mala gestione e di scarsa attenzione da parte degli organismi e dei soggetti preposti che ricade interamente sui lavoratori e impedisce ad un'azienda confiscata di consolidare la strada intrapresa di progetto legale". "Simili storture - si denuncia nella lettera - si sarebbero potute evitare se la riforma del Codice Antimafia, già approvata alla Camera e ferma purtroppo da lungo tempo al Senato, avesse avuto l'approvazione definitiva". "Quel testo di riforma - sottolineano - è il frutto di una lunga stagione di discussione e prende le mosse da una proposta di legge di iniziativa popolare presentata nel 2012, arricchita e ampliata successivamente da altre proposte avanzate dall'On. Bindi, che ha raccolto il lavoro unanime della Commissione Parlamentare Antimafia e dal Ministro Orlando". "Questo del riutilizzo delle aziende confiscate rappresenta uno dei capisaldi nella lotta al potere mafioso", sostengono Cgil e Fillea, che chiedono di "fare il possibile per impedire una pericolosa debacle e di accelerare l'approvazione della riforma”.
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