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fini giancarlo tullianidi Giovanni Bianconi
Si svela la provenienza dei soldi utilizzati da Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini, per l’acquisto della casa di Montecarlo: per l’accusa, gli stessi riciclati dal «re dei videopoker» Francesco Corallo.

ROMA. Ci sono tasse non pagate e somme sottratte allo Stato per circa 200 milioni di euro. E c’è la famosa casa di Montecarlo acquistata da Giancarlo Tulliani, cognato di Gianfranco Fini, di cui ora si svela la provenienza dei soldi utilizzati per l’acquisto: gli stessi riciclati dal «re dei video poker» Francesco Corallo, almeno secondo l’accusa. Ma non solo. Ci sono presunte tangenti per comprare leggi fatte su misura, in modo da favorire la concessione delle licenze con annessi guadagni, al punto che dopo l’approvazione di una di queste, un socio olandese di Corallo gli scrive: «Hai appena avuto la licenza per stampare denaro, congratulazioni amico mio...».

Sostiene il giudice Simonetta D’Alessandro nell’ordine d’arresto: «Si evidenzia un’interlocuzione, connotata anche da erogazioni di denaro, con esponenti politici» che assume il carattere di «nitida interferenza in scelte di governo, cui hanno fatto da correttivo le disposizioni contenute nella legge di Stabilità del 2010».

Una di queste «erogazioni» sarebbe un versamento di due milioni e 400 mila euro effettuato il 24 novembre 2009 sul conto corrente di una banca di Bruxelles a disposizione di Sergio Tulliani, il padre di Elisabetta, compagna dell’ex presidente della Camera Gianfranco Fini; il gruppo dell’imprenditore Francesco Corallo lo aveva assunto come consulente immobiliare, con un contratto considerato fittizio, giacché Tulliani è un impiegato dell’Enel in pensione e nelle sue dichiarazioni dei redditi non figurano quelle entrate. La vera causale, nella ricostruzione degli inquirenti, è indicata nell’archivio informatico di Corallo, sequestrato in una perquisizione di due anni fa, scritta in inglese: «liquidation foreign assets - decree 70/2009 2,4 milioni di euro», liquidazione attività estere - decreto 78/2009 2,4 milioni di euro. Quel provvedimento, accusa il giudice, «ha offerto grossi vantaggi a Corallo», consentendogli di offrire le licenze dei videoterminali come garanzia di un finanziamento per il loro acquisto.

La trama è venuta alla luce nell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Roma Michele Prestipino e dal sostituto Barbara Sargenti, insieme agli investigatori dello Scico della Guardia di Finanza, che ieri ha portato alla cattura di Francesco Corallo, principale concessionario dei videogiochi legali in Italia, e quattro suoi soci o collaboratori tra i quali spicca Amedeo Laboccetta, ex deputato del Popolo della libertà tra il 2008 e il 2013, membro delle commissioni Finanze e Bilancio. I due Tulliani, Sergio e Giancarlo, sono indagati per riciclaggio. Un’indagine dai contorni internazionali, che tocca anche Olanda, Gran Bretagna, Francia, Canada, svolta utilizzando per la prima volta le squadre investigative comuni tra i diversi Paesi, e che per la prima volta ha portato al blocco di beni all’estero (anche ai Caraibi, nelle Antille olandesi, dov’è stato arrestato Corallo) tra cui due ville e un casinò.

La presunta associazione per delinquere transnazionale poteva contare sui soldi accumulati con il mancato pagamento delle cifre dovute all’Erario, nascoste su conti intestati a società definite «gusci vuoti» con sede nei paradisi fiscali, nonché su appoggi istituzionali. Garantiti dalla «capacità di coinvolgere in fatti di riciclaggio soggetti legati a personalità politiche» che il giudice identifica in Marco Milanese, ex deputato vicino all’ex ministro dell’Economia Tremonti nei governi Berlusconi, e nei Tulliani; e poi Laboccetta, «figura con incarichi strategici in quella stessa maggioranza di governo».

In questo quadro s’inserisce il finanziamento dell’acquisto della casa di Montecarlo, arrivato dalla Corporate Agents, la fiduciaria che controllava le società del Gruppo Corallo: un milione e mezzo di euro trasferiti nel 2008 ad altre società riconducibili a Giancarlo Tulliani e, in un caso, anche alla sorella Elisabetta. Con una parte di quei soldi, 327 mila euro (rintracciati al centesimo dalle Fiamme gialle, comprensivi di parcelle e spese connesse) l’11 luglio 2008 fu comprato l’appartamento di boulevard Princesse Charlotte 14, nel Principato di Monaco, ereditato da An; la stessa casa è stata rivenduta nel 2015 per un milione e 360 mila dollari.

Il Corriere della Sera

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