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di Giuseppe Lumia
Cosa nostra di Corleone ha subito dei colpi sistematici e profondi senza precedenti.
Le operazioni Grande Passo 1, 2, 3 e 4, coordinate dalla Procura antimafia di Palermo ed eseguite dall’Arma dei Carabinieri, hanno colpito ripetutamente i vertici di questo importante e strategico mandamento di Cosa nostra. La morte di Provenzano ha prodotto un’ulteriore fase di crisi e destabilizzazione. E anche lo scioglimento per mafia dell’amministrazione comunale è un altro fatto da prendere in considerazione.

Seguire le dinamiche interne a Cosa nostra non è facile. Abbiamo provato a ricostruire il contesto mafioso e cercato di individuare la possibile evoluzione di quella che innegabilmente è una crisi, un momento di passaggio.
L’ipotesi che avanziamo è che falliti i tentativi dei Lo Bue di mantenere in piedi i vecchi equilibri, falliti anche i vari tentativi della famiglia mafiosa dei Di Marco di scalare il vertice dell’organizzazione, così anche quello del nipote di Provenzano, Carmelo Gariffo, di costruire una nuova leadership i riflettori si devono accendere su un altro personaggio eccellente. Si tratta di Giovanni Grizaffi nipote di Totò Riina, designato nuovo leader del mandamento di Corleone. Il popolo di Cosa nostra attende la sua scarcerazione, come fosse un messia, per superare le difficoltà e riprendere l’antico ruolo che questo mandamento ha avuto negli equilibri regionali di Cosa nostra.
Naturalmente sullo sfondo si staglia il ruolo del figlio di Riina, il cui profilo e la cui leadership sono ormai chiari ed evidenti.

Abbiamo voluto tratteggiare il percorso di questo mandamento, l’attuale crisi e le possibili evoluzioni per provare a spostare la positiva azione dello Stato dall’”antimafia del giorno dopo” all’”antimafia del giorno prima”, per anticipare le mosse della mafia, colpire per tempo le nuove leadership e provare a costruire un percorso sano di crescita che Corleone ha già conosciuto a partire dal dopo stragi. Un percorso che deve essere ripreso coinvolgendo gli operatori agricoli, gli artigiani, i commercianti imprenditori che per la prima volta hanno avuto il coraggio di denunciare, il mondo dell’associazionismo, del volontariato, della scuola … . Sono loro un patrimonio straordinario capace di promuovere nel territorio quel rapporto tra legalità e sviluppo di cui Corleone ha bisogno.

Di seguito il testo della mia interrogazione al ministro dell’Interno.

Giuseppe Lumia

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Atto n. 3-03174

Pubblicato il 29 settembre 2016, nella seduta n. 690

LUMIA – Al Ministro dell’interno. –

Premesso che, per quanto risulta all’interrogante:

a Corleone (Palermo) si è rotto un equilibrio, proprio l’equilibrio che ha guidato “Cosa nostra” per decenni, costituito dalle 3 famiglie principali: i Riina, i Provenzano e i Bagarella e successivamente sul duopolio Riina-Provenzano;

un equilibrio andato ulteriormente in crisi con la morte di Provenzano e con le varie operazioni giudiziarie della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e dell’Arma dei Carabinieri “Grande Passo 1, 2, 3, 4”;

l’ipotesi possibile su cui riflettere è che a prendere il sopravvento all’interno del mandamento del corleonese sarà Giovanni Grizzaffi, nipote di Totò Riina, in raccordo diretto con Giuseppe Riina, pronto, con i dovuti passaggi e nei giusti tempi, a porsi alla guida di Cosa nostra del corleonese e dell’intera provincia di Palermo, in vista della sostituzione del capo dell’intera Cosa nostra che attualmente rimane Totò Riina;

provare a leggere come è andata in questo strategico territorio dentro le difficili e complesse dinamiche di Cosa nostra per comprendere le proiezioni future di questo mandamento-guida può spingere lo Stato e la parte sana del territorio corleonese dall’antimafia del “giorno dopo” all’antimafia del “giorno prima”: così colpire per tempo e provare a stroncare quelle che rimangono ancora tra le più importanti famiglie mafiose di Cosa nostra in Sicilia;

a partire dalla fine degli anni ’50, iniziarono le prime mosse di Totò Riina, di Bernardo Provenzano e di Leoluca Bagarella (che prese il posto di guida inizialmente svolto dal fratello Calogero, ucciso nella strage di viale Lazio del 1979), sotto la leadership di Luciano Liggio, colpendo e sostituendo un capo mafia di livello come il dottor Michele Navarra, ucciso nel 1958, e poi via via iniziando un’escalation di sangue, dominio e collusioni che li hanno portati alla vetta di Cosa nostra;

il mandamento di Corleone diventa così il mandamento principale di Cosa nostra siciliana, ben collegato con i mandamenti di Trapani, tanto che Riina decide di passare gran parte della sua latitanza proprio in quella provincia, costruendo un legame così stretto che la stessa Castelvetrano (Trapani) di Matteo Messina Denaro è stata definita “Corleone marina”, tenuto conto che vi hanno soggiornato Totò Riina stesso, la sua famiglia, i parenti di Provenzano e dei Brusca;

lo stesso sistema di alleanze realizzato con i mandamenti di Trapani è stato utilizzato con i mandamenti dell’agrigentino, del nisseno, del messinese, del catanese e dell’intera provincia e città di Palermo;

dopo le stragi del 1992 e del 1993 e la cattura di Totò Riina, del gennaio 1993, le mogli e i figli delle famiglie di Riina e Provenzano decisero di ritornare a stabilirsi definitivamente a Corleone, ritenuta capace di proteggerli e di garantire loro una vita agiata e sicura. Il mandamento viene affidato alla famiglia dei Lo Bue, prima a Calogero Giuseppe, detto Pino, e dopo il suo arresto a Rosario Salvatore, detto Saro. I Lo Bue riuscirono a gestire per anni un delicato equilibrio e a garantire una pax mafiosa in tutto il corleonese, nonostante le notevoli differenze di linea strategica emerse chiaramente tra Riina e Provenzano, ma mai giunte a livello di una clamorosa rottura;

i Lo Bue con la cattura di Provenzano, proprio a Corleone, nella località Montagna dei cavalli, sono andati progressivamente in crisi sia perché colpiti duramente dall’azione repressiva dello Stato sia perché il figlio di Rosario Lo Bue, Leoluca (arrestato in questi giorni nell’ambito dell’operazione “Grande Passo 4”), coadiuvato dal fratello Giuseppe, non riesce a garantire una leadership di uguale spessore e abilità del padre e dello zio;

in questa fase è entrato in gioco Carmelo Gariffo, nipote di Provenzano, che poteva e voleva assurgere a ruolo di leader, usando il prestigioso blasone dello zio, sfruttando le difficoltà dei Lo Bue a mantenere il comando, giocando sulle ambizioni della rampante famiglia mafiosa dei Di Marco, sfruttando il fatto che gli uomini di Riina e la sua più stretta cerchia si trovassero agli arresti o con maggiore difficoltà di movimento per via dei riflettori accesi, e soprattutto stimolando la domanda di stabilità e di ordine che nel frattempo emergeva a Corleone e in tutto il corleonese. Un progetto fragile, dai “piedi d’argilla”, che non è riuscito a decollare sia perché la famiglia dei Provenzano è in declino, sia perché lui stesso dopo la scarcerazione del 10 ottobre 2013, è stato di nuovo raggiunto dall’azione repressiva dello Stato e riportato in carcere sempre con l’operazione “Grande Passo 4”;

nello stesso tempo, la morte di Provenzano ha aperto nuovi scenari che portano ad una possibile leadership di Giovanni Grizzaffi, nipote di Riina, prossimo alla scarcerazione per decorrenza dei termini, uomo forte di Cosa nostra già da anni e ritenuto dalle famiglie mafiose un leader capace di dare fiato e prestigio a Cosa nostra corleonese. È da considerare che, in questi 20 anni, anche quando i Lo Bue mantenevano la titolarità del mandamento, sono stati sempre accompagnati nelle loro azioni da un triunvirato di peso e spessore composto da Carmelo Gariffo, in rappresentanza della famiglia Provenzano, nella qualità di nipote, Marino Giovanni, in rappresentanza dell’antica famiglia, mai del tutto sopita, dei Liggio, e proprio da Giovanni Grizzaffi ritenuto il vero leader in nome della potentissima e ben radicata famiglia Riina;

Giovanni Grizzaffi, infatti, in questo triunvirato ha sempre spiccato per qualità organizzative, attitudine al comando e alla violenza, potendo sempre contare sul pieno sostegno dei fratelli Francesco e Mario, già detenuti e poi scarcerati per fine pena e oggi ben presenti e radicati sul territorio;

in questa dinamica di declino della famiglia Lo Bue ha cercato di inserirsi, come già anticipato, Antonino Di Marco, strettamente collegato alle famiglie mafiose dei comuni di Palazzo Adriano e Chiusa Sclafani, dipendente comunale a Corleone e in ottimi rapporti con Giovanni Grizzaffi;

Antonino Di Marco, sostenuto da Francesco Paolo Scianni, detto Franco, e Bernardo Saporito, detto Dino, ha pensato bene di avviare un sistema di alleanze per farsi strada ai vertici del mandamento corleonese;

Di Marco viene incaricato all’inizio dallo stesso Rosario Lo Bue di svolgere la funzione delicata e di fiducia di suo portavoce e uomo di collegamento tra le famiglie mafiose del corleonese e lo stesso Lo Bue;

Di Marco sapeva bene che un ruolo di transizione poteva svolgerlo Carmelo Gariffo, nipote di Provenzano ritornato nel frattempo in libertà. Ha provato pertanto a stringere con lui un’alleanza per convincerlo a sostituire Rosario Lo Bue, consapevole comunque che alla fine lo stesso Carmelo Gariffo non avrebbe potuto mantenere la leadership a lungo visto il progressivo indebolimento della famiglia Provenzano per via della malattia e della prevedibile morte del capo boss Binnu Provenzano e della nota incertezza dei figli di quest’ultimo ad entrare in gioco a livello militare-organizzativo di Cosa nostra, preferendo magari altri livelli che andrebbero ampiamente verificati e scrutati;

Antonino Di Marco ha tentato anche di creare una forte alleanza con le famiglie mafiose di Chiusa Sclafani e Palazzo Adriano inserendosi nelle dinamiche instabili che si diffondevano su tutto il mandamento;

a Chiusa Sclafani agisce il vecchio capo boss Gaspare Geraci. Quest’ultimo e Rosario Lo Bue decidono di affidare il vertice di questa importante famiglia a Vincenzo Pellitteri, nonostante scalpitano il figlio dello stesso Gaspare Geraci, Francesco, e suo nipote, che di nome fa sempre Francesco. Per tale scelta va in sofferenza anche Pietro Vaccaro, un altro componente della famiglia di Chiusa Sclafani che pensa di ritagliarsi un ruolo al vertice. In sostanza, anche a Chiusa Sclafani non si riesce a trovare soluzioni stabili e condivise ed emerge una domanda d’ordine e una leadership nel mandamento capace di sopire i conflitti;

stessa dinamica avviene a Palazzo Adriano dove agisce come capo famiglia Pietro Paolo Masaracchia, soprannominato “il killer” e coadiuvato da Nicola Parrino, Pasqualino e Franco D’Ugo. Masaracchia dopo l’arresto del 2014 viene sostituito da Vito Biagio Filippello. Anche Masaracchia non riesce a dominare in questa altrettanto importante famiglia mafiosa;

stesso problema a Prizzi, dove, dopo l’arresto del prestigioso boss Masino Cannella, e la morte dei due fratelli, non riescono ad emergere e rendersi affidabili Antonio Amato e i fratelli Girgenti, Matteo e Paolo. Stesse condizioni si hanno a Roccamena dopo la morte del boss Bartolomeo Cascio e a Campofiorito dopo l’arresto del potente boss Pino Lipari;

la crisi pertanto non è più latente, ma esplicita. I Lo Bue sono in enorme difficoltà. La scalata al vertice di Carmelo Gariffo viene stroncata per ora dall’azione dello Stato, pertanto è opportuno puntare tutte le attenzioni su Giovanni Grizzaffi e Salvuccio Riina. Quest’ultimo, già in modo plateale, durante un’intervista in una nota trasmissione televisiva ha saputo lanciare 3 chiari messaggi: la famiglia Riina non molla e nonostante la giovane età egli stesso si propone alla guida; la famiglia Riina avrà un ruolo nel futuro assetto di Cosa nostra; l’organizzazione si modernizza, ma non perde la sua radice tradizionale e i suoi antichi nemici e mantiene un atteggiamento collusivo con le parti compromesse dell’economia e della politica pronti ad agire con la violenza, quando è necessario, ma anche con l’antica arte degli accordi e degli scambi di potere e favori;

in questa fase di crisi e di passaggio della leadership della mafia del corleonese e con lo scioglimento del Consiglio comunale di Corleone, lo Stato deve essere capace di prevenire, colpire nuovamente la possibile riorganizzazione di Cosa nostra, promuovere un sano sviluppo del territorio ed impedire che nel territorio la mafia artatamente utilizzi la manovalanza per furti nelle campagne che stanno creando particolare allarme e insicurezza tra i cittadini e gli operatori dell’importante e vasto mondo dell’agricoltura,

si chiede di sapere:

quale azione di propria competenza il Ministro in indirizzo intenda intraprendere per continuare l’azione repressiva e bloccare sul nascere una nuova evoluzione del mandamento di Corleone, che riporterebbe questo territorio sotto il giogo di Cosa nostra, piuttosto che continuare un cammino di legalità e sviluppo intrapreso a partire dai primi anni ’90, che adesso vede una battuta d’arresto con lo scioglimento per infiltrazione mafiosa dell’amministrazione comunale;

quale attività di prevenzione intenda intraprendere dal punto di vista del controllo del territorio, per impedire che le aziende agricole siano sottoposte a furti e rapine volute e autorizzate da Cosa nostra, al fine di favorire una domanda d’ordine che faciliti il compito di ripresa della sua forza autoritaria ed estorsiva, e per dare fiducia e sostegno agli agricoltori e agli allevatori che hanno avuto la forza e il coraggio di rivolgersi allo Stato e alle forze dell’ordine, al fine di avere garantita la dovuta sicurezza;

qual iniziative intenda promuovere per favorire lo sviluppo del territorio, che rimane la via maestra nel rapporto con la legalità, per costruire una salda cultura antimafia a sostegno delle iniziative positive sempre intraprese dal mondo della scuola e dall’attività incessante svolta dal mondo dell’associazionismo e del volontariato e dagli operatori economici onesti impegnati nei vari settori produttivi.

giuseppelumia.it

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