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carcere-41bisdi Emiliano Federico Caruso - 2 maggio 2013
Fino al 1992 il carcere rappresentava, per un mafioso, un semplice "incidente di percorso" durante il quale il boss, da dietro le sbarre, avrebbe comunque continuato a guidare le redini del suo clan. Una visita di un parente o di un affiliato poteva essere occasione per spedire all'esterno del carcere i famosi pizzini (piccoli biglietti ripiegati più volte e passati di mano in mano, contenenti ordini e direttive del boss al picciotto di turno) e di denaro da parte dei fedelissimi, che permetteva al boss detenuto di intrecciare una rete di corruzione e potere anche all'interno del carcere. Informazioni, ordini, materiale, tutto poteva essere passato tra la cella del boss e il mondo esterno. Fino alla comparsa del  41-bis. In verità un principio di questo disegno di legge lo avevamo già nel 1975, quando venne attivato uno speciale regime di detenzione, la legge n. 354, in risposta ai crimini di terrorismo degli anni di piombo. Nel 1986, a tre anni di distanza dalla fine della seconda guerra di mafia (iniziata nell'aprile 1981 con l'omicidio di Stefano Bontate, già capo della cosca di santa Maria del Gesù), quel decreto degli anni '70 divenne la legge Gozzini n.663, in cui venne introdotto il 41-bis, che prevede forti limitazioni alla vita carceraria ed è applicato solo in caso rivolta di detenuti, detenzione di terroristi e di individui particolarmente pericolosi, detenuti che in qualche modo turbano l'ordine carcerario e in altri gravi casi. In seguito alle stragi di Capaci, dove il 23 maggio 1992 persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e la relativa scorta, e di via d'Amelio, dove venne ucciso Paolo Borsellino insieme alla scorta, al 41-bis venne aggiunto un comma 306, decreto antimafia Martelli-Scotti (già allora in Italia ci si svegliava solo dopo che qualcuno ci avesse rimesso la vita) dai nomi di Claudio Martelli e Vincenzo Scotti, in quell'anno ministro della giustizia il primo, ministro degli interni il secondo, che estendeva il carcere duro anche a individui collegati a organizzazioni mafiose. "Il 41-bis" ha spiegato il magistrato Sebastiano Ardita "nasce come strumento per impedire le comunicazioni con l'esterno", e infatti le limitazioni applicate dal decreto sono piuttosto severe. Rarissime le eccezioni: Raffaele Cutolo, pezzo grosso della Nuova Camorra Organizzata, condannato a 4 ergastoli e da anni in regime 41-bis, ha avuto nel 2007 una figlia dalla moglie Immacolata Iacone, grazie alla fecondazione assistita e solo dopo anni di richieste al ministero della Giustizia. Ai detenuti in regime di 41-bis sono vietati i colloqui con persone che non siano familiari o conviventi (a meno che anche essi non facciano parte di clan o cosche mafiose), salvo rare eccezioni decise dall'autorità giudiziaria, e comunque tali restrizioni non vengono applicate in caso di colloqui con avvocati difensori, e sempre al giudice, inoltre, spetta la facoltà di far videoregistrare i colloqui. Ma si teme che qualcuno possa comunque diventare un veicolo inconsapevole di informazioni per il detenuto: Vincenzo "Stellina" Stranieri, in carcere dal 1984 e boss tra i più rispettati della sacra Corona Unita (ormai considerata una quarta mafia dopo Cosa Nostra, 'ndrangheta e camorra) si vide prorogare il 41-bis in seguito al sospetto di aver passato informazioni all'esterno tramite il giornalista Nazareno Dinoi, che sulla permanenza di Stranieri nel carcere duro scrisse un libro, e questo nonostante i due non si siano mai incontrati dal vivo. Ma la prudenza in questi casi non è mai troppa: l'ordine di eliminare Francesco Nangano, ucciso a febbraio di quest'anno, sembra sia partito da Nino Sacco direttamente dal carcere, dove l'esponente del clan di Brancaccio è detenuto dal 2011. Solo dopo sei mesi di 41-bis, inoltre, al detenuto è consentita una sola telefonata al mese, registrata e della durata massima di dieci minuti. e comunque non verso telefoni fissi o cellulari: i congiunti del detenuto devono recarsi al carcere della città, e da lì collegarsi con il penitenziario dove si trova il detenuto. Viene inoltre limitata l'ora d'aria, in compagnia di non più di quattro altri detenuti (ovviamente che non facciano parte a loro volta di organizzazioni mafiose), ma più spesso qui il detenuto è solo. Ovviamente in cella sono eliminate Tv, radio, fornelli da cucina, oltre a qualsiasi oggetto offensivo. Applicata anche una forte censura e limitazione della corrispondenza, salvo quella ricevuta da autorità parlamentari o di giustizia, e gli oggetti che possono essere ricevuti dall'esterno sono severamente controllati e limitati: proibito, ad esempio, qualsiasi genere di apparecchiatura elettronica e persino libri dalla copertina rigida. I detenuti del 41-bis sono controllati inoltre da un reparto speciale della polizia penitenziaria: il GOM (Gruppo Operativo Mobile), agenti che si occupano della custodia e del trasferimento di detenuti 41-bis, ma anche della protezione di collaboratori di giustizia, della scorta di magistrati minacciati, oltre che di situazioni di elevata pericolosità in carcere. Un'eventuale buona condotta poi, che nei regimi carcerari classici permette spesso di ottenere una detenzione domiciliare, un lavoretto carcerario o altri "premi", nel regime di carcere duro non porta a nessun miglioramento nelle condizioni dei detenuti.  Il 41-bis a volte si è prestato ad abusi e leggerezze nella sua applicazione (come molte altre leggi) e viene considerato da alcuni il lato più duro e disumano del regime carcerario italiano, ma costituisce un utile deterrente per i mafiosi, al punto che la domanda del suo annullamento venne inclusa nel famoso papello di Salvatore "Totò" Riina, un foglio con 12 deliranti richieste con il quale il boss di Cosa Nostra, tra i più pericolosi di sempre insieme a Bernardo Provenzano, tentò di ricattare lo Stato e la Giustizia. Ancora oggi il regime di carcere duro desta scalpore: in tempi recenti Rosalba di Gregorio e Franco Marasà, avvocati difensori di Bernardo Provenzano, hanno chiesto la sospensione del 41-bis nei confronti del boss, giustificandola con le sue gravi condizioni psicologiche (ha persino tentato di suicidarsi il 10 maggio del 2012, infilando la testa in un sacco di plastica, ma molti pensano a una messinscena), di salute, tra le altre il parkinson e un tumore alla prostata, e con la dichiarazione che, secondo loro, sarebbe ormai venuta meno la pericolosità di un individuo il quale, lo ricordiamo, fu rappresentante della commissione dei corleonesi insieme a Totò Riina, gli succedette nel 1993 come capo assoluto di Cosa Nostra, e venne catturato solo nel 2006 dopo ben 43 anni di latitanza. Il regime di carcere duro, al di là delle critiche che potrebbe suscitare, rappresenta una degli strumenti più validi per contrastare la mafia, insieme al 416-bis, il reato di associazione mafiosa. La mafia è un male che trae la maggior parte del suo potere dalla sua abilità di agire nell'ombra, e può essere combattuta solo con l'informazione, con la conoscenza dei suoi meccanismi, il rigoroso lavoro di magistrati, giornalisti, forze dell'ordine, con la consapevolezza della gente e con l'applicazione di leggi dedicate ed efficaci.