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Da Gabriele Chelazzi ad Ubaldo Nannucci*
16 aprile 2003. Dall'ispettore Benelli raccolgo l'anticipazione del Suo intendimento di indire un incontro per valutare gli sviluppi e le prospettive del lavoro concernente l'oggetto (le stragi di Milano, Firenze e Roma del maggio '93, ndr). Non nascondo che la notizia, a prescindere dall'irritualità con la quale vengo messo al corrente del Suo intendimento, mi fa piacere e, ammesso che abbia importanza, mi trova pienamente consenziente. Come lo ho segnalato anche in passato, e anche per iscritto, è con estremo disagio (per non adoprare un termine meno eufemistico) che da circa 2 anni mi trovo a lavorare da solo su una vicenda come quella in questione, vicenda che, come nessuno può dimenticare, ha dato luogo a un procedimento iscritto nel giugno 2002 dal procuratore della Repubblica di Firenze, e ha a che fare con «qualcosa» come 7 fatti di strage commessi dalla più pericolosa organizzazione criminale europea nell'arco di 11 mesi nel territorio italiano. Sempre eufemisticamente, non credo che sia mai accaduto che un magistrato sia stato «costretto» a lavorare da solo (con tutti i rischi del caso, da quello di sbagliare a quello di esporre «la pelle» a eventualità non propriamente gratificanti) su una vicenda di questa portata. La, peraltro dovuta e a onta di ciò negata nella generale indifferenza, collaborazione che doveva essere assicurata dai magistrati coassegnatari e/o comunque interessati al procedimento si è saltuariamente manifestata non già nell'affrontare con qualche cognizione di causa (e degli atti) i vari passaggi dell'indagine, bensì in singolari ed inconsuete partecipazioni ex post a «dibattiti» nei quali si sono mescolate in percentuali variabili approssimazione di conoscenze, superficialità di valutazione e scetticismo.
Il tutto, torno a dirlo, con riferimento ad una vicenda giudiziaria che si occupa di sette fatti di strage, che periodicamente è alla ribalta dei mezzi di informazione e/o di qualche pubblicazione più o meno acculturata, della quale si occupa una commissione di inchiesta parlamentare. A proposito poi dello scetticismo, non nego che ripetutamente mi è parso di cogliervi addirittura un retropensiero secondo il quale il mio impegno in questo lavoro al contempo dipenderebbe da un mio capriccioso accanimento e da un «mandato» altrettanto capriccioso conferitomi dalle ambizioni di terzi. Il che, se fosse vero, sarebbe davvero disgustoso sia perché non è mio costume essere mandatario di alcuno sia perché offende l'equilibrio ed il senso della misura con il quale ho fatto il mio lavoro fino ai miei attuali 59 anni. Così come mi ha ripetutamente offeso che i «dibattiti» sul lavoro svolto siano stati fatti sulla base di una cognizione degli atti che c'è stata solo quando è stata da me provocata o ardentemente «richiesta» e che, in ogni caso non è mai andata oltre la lettura di qualche verbale riassuntivo: mai un'iniziativa spontanea per una riflessione documentata e seria, per una elaborazione attenta e ragionata di quello che andava fatto, per individuare i possibili errori di prospettiva o operativi nei quali «si» era incorsi: come se la coassegnazione non equivalesse ad assumere, nei confronti dell'ufficio e del procedimento, una responsabilità decisionale e operativa diretta, bensì fosse il lasciapassare per sbirciare a piacimento negli atti e spezzare di tanto in tanto il proprio «pane della verità» per abbassare la quota di errori del lavoro altrui. È con queste disorientate e amareggiate riflessioni che apprendo del Suo intendimento di indire l'incontro preannunciatomi dall'ottimo Ispettore Benelli. Le quali riflessioni, è mio dovere farlo presente, per niente riguardano la persona del Procuratore Aggiunto Francesco Fleury con il quale ho avuto ripetutamente scambi non frettolosi e mai superficiali di opinioni, con il quale è stato possibile, grazie alla sua disponibilità e alla sua piena consapevolezza della «delicatezza» del lavoro, valutare e compiere congiuntamente atti di indagine, prefigurare sequenze investigative da praticare, formulare e valutare ipotesi di lavoro dal quale ho avuto, anche in questi due anni, sostegno sul piano personale, e, come sempre, indicazioni che, anche se non condivise, mi sono giunte sempre all'insegna di una piena e «avvertita» condivisione delle gravosissime responsabilità connesse al dovere di indagare su una vicenda di gravità senza precedenti.

Gabriele Chelazzi

fonte: ilgiornale.it

Tratto da: 19luglio1992.com

*Procuratore Capo di Firenze dal 2002 al 2008

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