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palazzo di giustizia bariGiudici Bari riducono pena dopo aver escluso premeditazione
Bari. Il boss del clan mafioso Di Cosola di Bari, Antonio Battista, non premeditò l'agguato nel quale, per errore, fu ucciso Giuseppe Mizzi, il 38enne vittima innocente di mafia, ferito a morte il 16 marzo 2011 a pochi passi dalla sua abitazione nel centro del rione Carbonara di Bari. Lo ha stabilito la Corte d'Assise d'Appello di Bari che ha ridotto dall'ergastolo a 20 anni di reclusione la pena inflitta nei confronti di Battista, ritenuto il mandante dell'omicidio.
Stando all'ipotesi accusatoria, sostenuta dal pm della Dda Federico Perrone Capano che ha chiesto di essere applicato anche al processo di secondo grado, il boss ordinò ai suoi di rispondere ad un agguato subito uccidendo un uomo, "il primo che trovate", del clan rivale Strisciuglio e quella sera, per errore, Emanuele Fiorentino e Edoardo Bove, spararono a Mizzi scambiandolo per uno spacciatore. I due esecutori materiali sono già stati condannati con sentenza ormai definitiva rispettivamente a 20 anni e a 13 anni e 4 mesi di reclusione.
I giudici hanno confermato i risarcimenti danni ai familiari di Mizzi, con provvisionali di 20mila euro per i genitori, 10mila per i fratelli, 50mila per moglie e figli. La posizione di Battista come mandante era stata inizialmente archiviata, fino alle dichiarazioni di sua moglie, Lucia Masella, che dopo essere diventata collaboratrice di giustizia, aveva accusato il marito aiutando gli inquirenti della Dda a riaprire il caso. A processo c'erano anche altri 54 imputati, tra i quali l'ex capo clan Antonio Di Cosola (deceduto lo scorso 31 agosto) e numerosi affiliati all'organizzazione criminale, accusati di reati di associazione mafiosa, droga, armi ed estorsioni. Per l'ex boss Di Cosola è stato dichiarato il non diversi procedere per morte del reo, gli altri 53 imputati è stata disposta una assoluzione e confermate tutte le condanne con lievi riduzioni di pena fino a 15 anni di reclusione. Gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli di numerose estorsioni a costruttori edili ai quali il clan avrebbe imposto l'acquisto di cemento scadente da un'azienda amica (di qui il nome dell'operazione "Pilastro"), oltre a pretendere 100 euro per ogni slot machine che obbligava bar e sale giochi ad installare. Nel processo erano costituite parti civili tre aziende alle quali gli imputati dovranno risarcire i danni causati, con quantificazione da definirsi in sede civile.

ANSA