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battaglia letizia c ragazzo pistoladi Dario Del Porto
La sua giornata è iniziata molto presto come sempre. Prima delle 8 aveva già raggiunto l’ufficio con la sua moto, poi è andato in udienza. Quindi è tornato in ufficio, nella stanza al settimo piano della Procura. «Non mi sognerei, neppure lontanamente, di cambiare le mie abitudini di vita per un episodio al quale, dal mio punto di vista, non va dato alcun peso», dice il pm Henry John Woodcock all’indomani delle minacce ricevute in aula da alcuni imputati del processo sulla paranza dei bambini di Forcella. Insulti e intimidazioni volati mentre il giudice Paola Piccirillo leggeva la sentenza di condanna per quindici imputati del processo sul gruppo Sibillo, una delle fazioni che si era messa in testa di mettere le mani su Forcella e sul centro storico.
«Quando osservo questi ragazzi - ragiona il magistrato - avverto la dolorosa sensazione che siano, inesorabilmente, sospinti verso il carcere o verso una morte violenta. Per questo ho sempre sostenuto, anche nelle requisitorie, che è giusto fare di tutto affinché costoro possano, una volta scontata la pena, avere almeno una seconda opportunità. Sempre per questa ragione, ho chiesto nel loro confronti le condanne che ritengo adeguate da un lato a sanzionare i reati commessi, dall’altro a non precludere la possibilità di provare a ricostruirsi una vita».
Quella della "paranza dei bambini", sottolinea il magistrato, «è certamente mafia secondo quello che prescrive il codice. Ma se guardiamo a fondo, dal punto di vista sociale, non è vera camorra intesa in senso tradizionale. Sono bande giovanili che si ritrovano prigioniere di un ingranaggio infernale di cui sono, alla fine, a loro volta soprattutto vittime; l’importante - sottolinea il pm Woodcock - è non rimanere vittime anche tutti noi, rappresentanti delle Istituzioni, (magari altrettanto inconsapevolmente) dello stesso meccanismo perverso e talvolta autoreferenziale che rischia di far comodo a tanti per far credere che sia questa la vera camorra, e che questa sia la vera sfida alle istituzioni, mentre altra è la vera partita che si gioca, silenziosamente, altrove». Un paio di mesi fa, dopo aver assistito dalla proiezione del docufilm Robinù, il magistrato aveva invitato la borghesia napoletana «a uscire dal suo isolamento» proprio per affrontare una volta per tutte questo fenomeno. «Oggi, ancora più di ieri, resto convinto che il fenomeno vada affrontato fuori dalle aule di giustizia e dalle celle dei penitenziari. Questi ragazzi commettono reati, e per questo vanno processati. Ma tocca alle istituzioni dare risposte al loro disagio e a quello dei quartieri, spesso periferici ma, come nel caso di Forcella, anche centralissimi e pieni di storia. Purtroppo questa città è da sempre attraversata da energie contrapposte che si alimentano della sua straordinaria ed unica vivacità».
Già, ma le minacce di giovedì? «Ripeto quel che ho detto subito dopo l’udienza: si tratta della comprensibile reazione di chi ha appena riportato una severa condanna. Il carcere e la limitazione della libertà rappresenta un momento di sofferenza e questo può, appunto comprensibilmente, alimentare certi sentimenti e l’esternazione degli stessi». Intanto oggi si presenta il libro di Saviano. Lo scrittore, come il pm Woodcock, è d’accordo a una legalizzazione delle droghe leggere: «In questo modo si toglierebbero alla crimimalita enormi fonti di guadagno - ricorda il magistrato - e si eviterebbero tanti omicidi. Potrebbe essere un primo passo per restituire il futuro a questi ragazzi».
(12 novembre 2016)

La Repubblica

Foto © Letizia Battaglia

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