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milita-alessandro"Avevo chiesto un milione di euro, loro volevano darmi la metà"
di Fulvio Bufi - 28 gennaio 2014

Napoli. Che la camorra casalese lo consideri un pericoloso nemico, il pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Alessandro Milita (in foto) lo sapeva già, e sapeva anche che un pentito aveva raccontato di aver ricevuto un’offerta di mezzo milione per ammazzarlo. Non gli era ancora capitato di sentirselo dire in pubblico, in un’aula di tribunale, e ieri invece gli è successo anche questo: durante il processo in corso a Santa Maria Capua Vetere nei confronti dell’ex parlamentare del Pdl Nicola Cosentino, accusato di concorso esterno in associazione camorristica. Quando è stato attivato il collegamento in videoconferenza con il collaboratore di giustizia Francesco Della Corte, uno che ha ammesso di aver fatto almeno una ventina di omicidi, tra le prime cose che il magistrato si è sentito raccontare è stata proprio la storia del suo mancato omicidio: «Non accettai perché volevo più soldi di quelli che mi erano stati proposti». L’offerta era di cinquecentomila euro, Della Corte invece voleva almeno un milione.
Secondo le sue rivelazioni, sarebbe stato un emissario dell’avvocato Cipriano Chianese a proporgli, verso la fine del 2005, l’incarico, spiegandogli che Chianese, evidentemente determinatissimo, si era rivolto anche ad altri pur di trovare un killer disponibile.
L’avvocato in questione è ritenuto uno dei colletti bianchi della camorra casalese. Uno che ha fatto affari con Licio Gelli, è stato candidato alla Camera (Politiche 1994) con Forza Italia, ma soprattutto si è arricchito con il traffico dei rifiuti, quelli che hanno avvelenato la Terra dei fuochi di cui tanto si parla oggi. Con il pm Milita, che indagava sulle sue attività, ce l’aveva perché sapeva bene quanto quello rappresentasse per lui un rischio. Milita è uno di quei magistrati che gli italiani non conoscono perché rifugge ogni ribalta in nome di una riservatezza di cui è gelosissimo, ma che i camorristi conoscono bene e soprattutto temono perché è un efficientissimo investigatore. E lo dimostrano i risultati raggiunti insieme con gli altri colleghi che fanno parte del pool della Dda impegnato contro i clan casalesi (arresti e condanne definitive di tutti i capi e beni per milioni e milioni di euro sequestrati e confiscati).
Chianese era certo che prima o poi sarebbero arrivati a lui. E lo diceva continuamente. Un altro pentito casalese, Salvatore Laiso, racconta di una riunione avvenuta tra il 2004 e il 2005 in cui l’avvocato «chiedeva al clan un aiuto, diceva che aveva la “legge ‘ncuollo ” (era pressato dalle indagini, ndr ) e chiedeva che fosse ucciso qualcuno (...) qualcuno importante, non un semplice poliziotto o carabiniere».
I fatti dimostrano che i timori di Cipriano Chianese erano fondati. Perché la trattativa con Della Corte si arenò in realtà non tanto per una questione di soldi come ora sintetizza il pentito (in un verbale del 7 luglio 2010 riferisce che l’emissario «mi disse che avrebbe parlato con Cipriano Chianese il quale mi avrebbe sicuramente dato il milione di euro»), ma perché nel giro di un paio di settimane Chianese fu arrestato. E sulla richiesta accolta dal gip che emise l’ordinanza di custodia cautelare c’era la firma di Milita.

Corriere della Sera del 28 gennaio 2014

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