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iaquinta vincenzo c ansaDurante il processo "Aemilia" sulle infiltrazioni al nord. Il presidente del tribunale: "Non minacci in aula"
Reggio Emilia. "Questo signore lo conosco di vista. Non ho idea di cosa stia parlando, ma non si permetta di infangare la carriera di mio figlio che è stato campione del mondo". A dirlo, oggi in aula a Reggio Emilia durante il processo Aemilia contro la 'ndrangheta, è Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore Vincenzo, che ha voluto rilasciare dichiarazioni spontanee su quanto affermato dal collaboratore di giustizia Salvatore Muto.

Parole non gradite al presidente della corte Francesco Maria Caruso, che ha redarguito l'imputato: "Non minacci in aula". Il siparietto si è svolto al termine del contro-esame da parte dell'avvocato Carlo Taormina - difensore dei due Iaquinta - del pentito. Muto è stato "torchiato" sulle aziende che Giuseppe Iaquinta, imprenditore, avrebbe utilizzato per favorire la falsa fatturazione della cosca, senza saper però indicare nomi specifici.

Taormina ha anche insistito sulle presunte pressioni della 'ndrangheta sulle società calcistiche di Juventus e Udinese per far giocare l'ex campione del mondo, che con quelle squadre (prima nel 2005 e poi nel 2012) rimaneva in panchina. Al collaboratore di giustizia è stato anche chiesto se sia a conoscenza di rapporti fra Pasquale Brescia e la moglie del sindaco Luca Vecchi, Maria Sergio. Muto ha risposto di no. Brescia è l'autore della lettera dal carcere inviata al primo cittadino di Reggio, che secondo il pentito Antonio Valerio aveva lo scopo di mettere pressione sul sindaco, facendo leva sui rapporti di parentela di sua moglie.

bologna.repubblica.it

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