Estorsioni violente, teste di maiale recapitate a casa delle vittime e – soprattutto – nessuna denuncia. Tutti zitti, tutti terrorizzati. Omertà. Si è chiusa con 26 condanne fino a 14 anni di carcere il primo grado del processo Big Bang contro la famiglia al vertice della ‘ndrangheta torinese: i Crea. Complessivamente sono stati comminate condanne per 140 anni di carcere.
Adolfo Crea, 45 anni ha subito una condanna a 10 anni e 4 mesi di carcere. Più alta ancora quella comminata al fratello Aldo Cosimo Crea, 43 anni compiuti da meno di due settimane. La Corte lo ha condannato a 14 anni e 10 mesi. Nove anni e sei mesi a Luigi Crea figlio di Adolfo.
Storie di fratelli e figli e parenti emigrati da Stilo, paese della costa Jonica al confine tra la provincia di Reggio Calabria e Catanzaro nel 2000 per sfuggire a una sanguinosa faida tra famiglie, si sono imposti sulla scena criminale di Torino a suon di bombe. Già fotografati come vertici dell’associazione nella maxi operazione Minotauro, sono finiti di nuovo in carcere a gennaio 2015. I carabinieri del Nucleo investigativo di Torino li hanno arrestati dopo un anno di indagini serrate. Che hanno dimostrato l’assoluta leadership dei Crea nel mondo della mafia calabrese dislocata in città, ma anche l’assoluto stato di timore delle vittime che non hanno. Tranne che in un caso mai denunciato i loro estortori. Si tratta perlopiù di piccoli imprenditori e commercianti, ma figurano anche alcuni macchiati da precedenti penali. Nella lunga sfilza di contestazioni ci sono anche episodi di usura, di gestione di bische clandestine e traffici di droga.
Nelle more dell’indagine dalla quale è scaturita la sentenza di oggi la Dda ha potuto contare anche su un pentito, un collaboratore di giustizia: si chiama Max Ungaro, ex lavandaio alla Gran Madre. L’uomo ha praticamente confermato le accuse mosse dalla procura a molti imputati, soprattutto ai Crea.
lastampa.it
'Ndrangheta, 26 condanne al processo Big Bang
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