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carabinieri op contro ndranghetaLa decisione per “spezzare il ciclo che trasmette ai più giovani l’appartenenza ai clan” A Reggio Calabria in quattro anni allontanati 30 minori appartenenti a famiglie mafiose
di Gaetano Mazzuca
Antonio, il nome è di fantasia, ha appena 15 anni. Da mercoledì sera non dorme più nella sua casa in un paesino della Piana di Gioia Tauro. Fino al compimento dei 18 anni vivrà in una struttura comunitaria lontano dalla sua famiglia e dalla Calabria. Lo ha deciso il Tribunale dei minori di Reggio Calabria che ha disposto la decadenza della potestà genitoriale. Il quindicenne, infatti, è figlio di un boss della ‘ndrangheta calabrese. Un personaggio di primo piano nello scacchiere della criminalità organizzata, un capo bastone in grado di condizionare pesantemente ogni attività, non solo economica ma anche amministrativa, nella Piana di Gioia Tauro.

Antonio era praticamente un bambino quando il padre iniziò la latitanza che si è conclusa solo qualche mese fa. Un criminale ricercato per anni, così pericoloso che il suo nome figurava nella lista del ministero dell’Interno. Lo hanno trovato nascosto in un bunker nelle campagne non lontano dal suo paese e adesso si trova in un carcere di massima sicurezza.

Nel frattempo il figlio 15enne è finito all’attenzione della Procura per i minorenni di Reggio Calabria per uno di quei reati definiti «spia», sintomatici di un indottrinamento mafioso. Finire in carcere, nella migliore delle ipotesi, sarebbe stato il «destino ineluttabile» di Antonio. Da qui sono iniziati gli accertamenti degli inquirenti che hanno portato al provvedimento di allontanamento del quindicenne per la «prioritaria esigenza di offrire al minore un modello educativo alternativo, diverso da quello fino al momento proposto dagli stretti familiari, ispirato ai sub-valori della cultura ’ndranghetista».  

Una misura che il Tribunale calabrese, l’unico in Italia, usa ormai da quattro anni e ha riguardato trenta ragazzi nati in famiglie mafiose e che mira a spezzare il ciclo che trasmette di padre in figlio l’appartenenza ai clan.

A eseguire la decisione dei giudici sono stati gli agenti della polizia della Questura di Reggio Calabria guidata da Raffaele Grassi. La mattina del 30 marzo si sono presentati a casa del boss. Un’operazione complessa a cui hanno preso parte anche gli operatori dell’ufficio servizi sociali per i minori del ministero della Giustizia. Tutto si sarebbe svolto senza tensioni. L’adolescente è stato quindi trasferito in una struttura fuori regione dove «sarà affidato – assicurano dalla questura reggina - alle cure e alle attenzioni di operatori professionalmente qualificati a trattare problematiche simili a quelle riscontrate nel giovane».

Ci resterà per i prossimi tre anni, fino a quando compirà di 18 anni, e potrà riprendere il percorso scolastico. Antonio adesso ha l’opportunità di crearsi una nuova vita in cui il carcere o la morte violenta non siano le uniche alternative possibili.

«La speranza – ci dice il questore Grassi – è che adesso il minore abbia la possibilità di scoprire una realtà diversa rispetto a quella in cui è vissuto fino adesso, che abbia occhi nuovi per scorgere gli altri colori del mondo».

lastampa.it

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