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Partito a 18 anni ora è nel ghota dell'economia
di Giulia Veltri
Patrizio Pagano è considerato uno degli italiani più importanti a Washington. La sua storia ripercorsa in un'intervista sin dalla sua partenza dal Catanzarese
Catanzaro. È stato definito uno degli italiani più potenti di Washington, i suoi uffici di direttore esecutivo della World bank stanno a pochi passi dalla Casa Bianca e dal suo tetto del mondo, Patrizio Pagano, non smette mai di lanciare uno sguardo al di là dell’oceano e pensare alla sua Calabria e alla sua città natale, Soverato.

Storia di un calabrese di successo, da tempo ormai lontano dalla sua terra d’origine ma sempre legato alle sue radici. Pagano, dopo una importante esperienza all’interno della Banca d’Italia, oggi è uno dei 25 manager della Banca mondiale:fa parte del gotha dell’economia internazionale ed è tra coloro che guida e orienta le decisioni di una delle istituzioni finanziarie più affidabili al mondo che ha più di 16mila dipendenti in tutto il pianeta.

Ci racconta la sua storia di successo?
«Sono andato via dalla Calabria come tanti a 18 anni. Sono partito alla volta di Milano, dove mi sono laureato in economia alla Bocconi. Ho lavorato per un periodo a Londra, poi ho svolto un dottorato di ricerca all’università di Pavia e subito dopo ho insegnato per un periodo alla Bocconi. Ho vinto un concorso e sono entrato alla Banca d’Italia e dopo un’esperienza di un anno in California, all’università di Berkeley, mi è arrivata questa importante occasione all’interno della World bank. Ormai da più di un anno e mezzo sono direttore esecutivo per l'Italia, l'Albania, la Grecia, Malta, il Portogallo, San Marino e Timor-Leste».

In cosa consiste esattamente il suo lavoro?
«La missione dell’istituto di Washington si è nel tempo sempre più focalizzata sul tentativo di raggiungere un obiettivo molto ambizioso: quello di contribuire a ridurre la percentuale di poveri nel mondo al 3 per cento entro il 2030. La Banca mondiale fa parte del World bank group, che include varie istituzioni che prestano servizi sia ai governi che ai settori privati dei paesi poveri del mondo. Il nostro compito è elaborare progetti che siano in grado di sostenere economie fragili e povere, attraverso prestiti a tasso zero o a tassi particolarmente agevolati oppure finanziamenti a fondo perduto».

Qual è il ruolo dell’Italia all’interno della banca?
«L’Italia è uno dei principali investitori, non ai livelli di paesi economicamente molto forti come gli Stati Uniti, ma attualmente detiene il 2% delle azioni della banca. Essendo considerata una delle nazioni più ricche al mondo – fa parte del G8 – non può essere destinataria di alcun progetto di sostegno».

Se proiettato alle sue origini, come ci si sente ad essere una delle persone più importanti d’America?
«Non credo proprio di essere importante, né potente. Questi aggettivi non mi si addicono. Sono semplicemente un tecnico, che cerca di dare il suo contributo all’istituzione a cui appartiene, elaborando progetti in grado di combattere la povertà per i paesi più emarginati e fragili».

Qual è il suo rapporto con la Calabria? Ritorna, ha una frequentazione costante?
«Direi proprio di sì. A Soverato vivono i miei genitori e tutta la mia famiglia. Mia moglie è calabrese e d’estate non mancano mai i nostri soggiorni in Calabria, per quanto – dagli Stati Uniti e con figli in età scolare – i viaggi verso l’Italia diventano sempre più complicati e concentrati nel periodo estivo».

Che giudizio ha della Calabria? Cosa vede dal suo osservatorio di calabrese di successo nei suoi rientri? E prenderebbe mai in considerazione l’idea di lavorare in Calabria?
«Il mio lavoro mi insegna che non esistono formule magiche per modificare i destini di un territorio, né esistono soluzioni a breve termine. Servono veri e propri cicli storici per incidere sulla qualità della vita e per quanto riguarda la Calabria, e il Sud Italia in generale, anni di meridionalismo non sono approdati ad alcuna risposta definitiva sul perché questa area geografica non riesca a stare al passo delle latitudini settentrionali. Posso, però, sicuramente dire che consistenti e massicci investimenti sul capitale umano potrebbero essere di grande aiuto. Così come andrebbero messe a frutto le importanti esperienze che imprenditori calabresi hanno maturato all’estero e che potrebbero essere replicate nella nostra regione. C’è, poi, un fattore che può dare una spinta propulsiva all’economia: ovvero il patrimonio naturale e la posizione geografica. Quanto a me, non escludo nulla nella vita. Non ho il mito degli Stati Uniti, non è vero che in America tutto è meglio: certo in questa fase della mia storia professionale la mia postazione è qui ma in futuro non saprei».

Cosa si sente di consigliare a un giovane calabrese che ha appena terminato gli studi e si pone la domanda delle domande: restare o andare?
«Dobbiamo essere cittadini del mondo: adesso il mercato del lavoro richiede disponibilità a muoversi. Per cui, senza dubbio consiglio a un giovane calabrese di non perdere l’opportunità di fare un’esperienza lontano da casa, all’interno dell’Unione europea ma non solo. Oggi i confini si sono molto accorciati. Una cosa su tutto, a mio giudizio, è importante: ognuno dovrebbe essere d’esempio per gli altri e può farlo profondendo impegno e dedizione nello studio e, successivamente, nella propria professione. Non esistono scorciatoie ma è vero anche che nulla è impossibile per chi lavora sodo».
(18 gennaio 2016)

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