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di Sandro De Riccardis - 30 marzo 2012
La sentenza della Corte d'appello di Milano per l'omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia che fu sequestrata nel capoluogo lombardo nel novembre 2009 e poi uccisa.
Ergastolo. Sono quasi le nove di sera, quando nella prima Corte d’assise di Milano, presieduta da Anna Introini, dopo più di quattro ore di camera di consiglio si legge la sentenza che condanna al massimo della pena i sei imputati per l’omicidio di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia uccisa e sciolta in cinquanta litri d’acido per aver testimoniato sulle faide tra la sua famiglia e un clan rivale. Il tribunale accoglie in pieno le richieste del pm Marcello Tatangelo. I giudici hanno condannato all’ergastolo con l’isolamento diurno per due anni l’ex compagno di Lea, Carlo Cosco, contro cui ha testimoniato in dibattimento anche la figlia Denise.

Stessa pena per il fratello Vito. Ergastolo e un anno di isolamento, invece, per Giuseppe Cosco, Rosario Curcio, Massimo Sabatino e Carmine Venturino, quest’ultimo ex fidanzato di Denise. Tutti erano accusati di sequestro di persona, omicidio e distruzione di cadavere. Il collegio ha stabilito una provvisionale di
200mila euro per Denise e di 25mila per il Comune. Carlo Cosco perde la potestà genitoriale. Il processo aveva rischiato l’azzeramento per la nomina dell’ex presidente della Corte d’assise, Filippo Grisolia, al ministero della Giustizia, con scadenza dei termini della custodia cautelare a luglio. Il nuovo presidente è invece riuscito, con un calendario fitto di udienze, ad arrivare in tempo alla sentenza.

Si conclude così il processo sul primo caso di lupara bianca al Nord. Lea Garofalo era scomparsa in corso Sempione il 24 novembre 2009, arrivata dalla Calabria per tentare l’ultima riconciliazione con l’ex «pensando — ha spiegato il pm — che così avrebbe potuto continuare a vivere con Denise». Rapita e torturata per confessare cosa avesse raccontato agli investigatori, fu uccisa con un colpo di pistola e fatta scomparire. La ventenne Denise, con i legali Enza Rando e Ilaria Ramoni, ha ascoltato la sentenza da una stanza attigua all’aula.

«Il fatto più importante oggi è che una giovane ragazza a cui hanno ucciso la mamma ha avuto il coraggio di essere testimone di giustizia. Ha rotto la paura e l'omertà e ha portato il suo contributo a scrivere una pagina di giustizia e verità», è il pensiero che Denise ha espresso attraverso il suo legale Vincenza Rando. «Abbiamo restituito dignità, verità e giustizia a sua mamma — ha detto in aula don Luigi Ciotti, fondatore di Libera — Dobbiamo inchinarci davanti a una ragazza che ha trovato il coraggio di rompere l’omertà».

Lea, la passeggiata prima del sequestro - Le ricerche dei resti

Tratto da: milano.repubblica.it