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regione sicilia c ansaA parole sarebbero tutti contrari. "Liste pulite", chiede il candidato governatore del centrodestra, Nello Musumeci. "Liste pulite", risponde l'aspirante presidente del centrosinistra, Fabrizio Micari. Il risultato, però, è un altro. Da destra a sinistra corrono per un posto all'Assemblea regionale siciliana candidati condannati per reati gravi come la corruzione elettorale e indagati di tutti i tipi: estorsione, abuso d'ufficio, falso. Poi ci sono i parenti degli ex impresentabili. Ecco i nomi sui quali vigilerà la commissione Antimafia
di Giuseppe Pipitone
C’è chi ha condanne anche per reati gravi come la corruzione elettorale e chi a causa di sentenze definitive ha già rischiato di dover subire l’onta della decadenza. Chi colleziona capi d’imputazione come fossero figurine e chi torna in campo in attesa che un giudice pronunci una sentenza nei suoi confronti. Chi può vantare in curriculum fotografie con capimafia di primissimo livello e chi invece va in giro con i figli dei boss latitanti a rivendicare la sua nostalgia per i boss del passato. Poi ci sono i parenti: i figli dei condannati, i fratelli degli imputati, i familiari degli incandidabili.
Se fosse un concorso pubblico, per un posto al comune o al catasto, una percentuale non piccola dei concorrenti partirebbe già certa di non potere accedere alle prove finali. Troppo ingombranti i conti in sospeso con la giustizia, troppo numerose le indagini in corso, esagerate persino le condanne. E invece a questo giro anche chi è già noto alle forze dell’ordine potrà realizzare il sogno di servire la sua Regione: ovviamente in cambio di un lauto stipendio. Sono i miracoli regalati dall’irredimibile Sicilia, l’isola dei paradossi e dei laboratori politici che tra un mese esatto dovrà eleggere il suo nuovo governatore e i nuovi sedicenti deputati, cioè la versione locale dei consiglieri regionali. Una corsa all’ultimo voto che anche questa volta non rinuncia a farsi segnalare alle cronache nazionali sempre per lo stesso problema: quello dei cosiddetti impresentabili.
A parole sarebbero tutti contrari. “Liste pulite“, chiede il candidato governatore del centrodestra, Nello Musumeci. “Liste pulite“, risponde l’aspirante presidente del centrosinistra, Fabrizio Micari. Il risultato, però, non è esattamente quello sperato visto che già a 48 ore dalla scadenza dei termini la commissione Antimafia si era premurata di anticipare le sue volontà: anche le liste per le regionali siciliane sarebbero state passate al setaccio. I tempi, però, sono stretti: per questo motivo Palazzo San Macuto farà sapere solo dopo le elezioni i nomi dei cosiddetti “impresentabili“. Ora che i partiti hanno depositato le liste nelle nove province siciliane non è difficile ipotizzare su quali candidati si concentreranno le attenzioni dei commissari. E anche su quali è magari il caso di sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica: parenti di condannati o imputati per reati gravi, candidati incensurati ma con frequentazioni tutt’altro che cristalline.

Forza Italia e la carica degli indagati
Secondo tutti i sondaggi, Musumeci è in vantaggio nella corsa alla poltrona più alta di Palazzo d’Orleans. A spingerlo sono soprattutto i voti di Forza Italia, che sembra rivitalizzata dalla cura di Gianfranco Micciché, tornato viceré di Silvio Berlusconi dopo un lustro di ostracismo. Ebbene sono proprio le liste Forza Italia quelle che rischiano di dare più lavoro della commissione Antimafia. A Siracusa, per esempio, i berlusconiani candidano il sindaco di Priolo, Antonello Rizza, capace di collezionare ben 22 capi d’imputazione in quattro processi: tentata concussione e concussione consumata, corruzione elettorale continuata, tentata violenza privata, associazione a delinquere, falso in atto pubblico, truffa, intralcio alla giustizia, tentata estorsione, turbata libertà di scelta del contraente.
È indagata solo per corruzione, invece, Marianna Caronia, candidata dagli azzurri nel collegio di Palermo: ex consigliera regionale, già candidata sindaco di Palermo, pochi mesi fa è finita coinvolta nell’inchiesta sugli appalti del trasporto marittimo. La stessa che ha portato all’arresto dell’ex sindaco di Trapani, Mimmo Fazio, non ricandidato dopo i cinque anni trascorsi a Palazzo dei Normanni. È un veterano di Sala d’Ercole anche Riccardo Savona, eletto con la destra nel 2012, passato a sinistra per sostenere Rosario Crocetta e ora tornato all’ovile azzurro. Il motivo? Nell’ottobre del 2013, durante un evento pubblico, Crocetta lo vide seduto in prima fila e inaspettatamente disse pubblicamente: “Chi ha fatto affari con Nicastri, Matteo Messina Denaro e la mafia deve uscire immediatamente”. Il riferimento era per i rapporti pregressi tra lo stesso Savona e l’imprenditore dell’eolico, al quale sono stati confiscati beni pari a un miliardo e mezzo di euro.
È tornato in Forza Italia di recente anche Giovanni Lo Sciuto, consigliere regionale di Castelvetrano, uno dei seguaci di Angelino Alfano che hanno lasciato Alternativa Popolare per sostenere Musumeci. Lo Sciuto non ha indagini in corso ma è finito più volte tra le polemiche per i suoi vecchi rapporti di conoscenza con Matteo Messina Denaro. I due sono persino ritratti insieme in una fotografia scattata al matrimonio della cugina del superlatitante. “All’epoca dei fatti, la famiglia Messina Denaro non aveva, per quelle che erano le mie conoscenze di ragazzino, problemi con la giustizia e, non avendo io il dono della chiaroveggenza, non potevo prevedere quello che sarebbe successo dopo la fine degli anni 80”, si è giustificato Lo Sciuto. Quella vecchia conoscenza con il boss di Cosa nostra, d’altra parte, non ha mai avuto conseguenze sulla sua carriera politica che nel 2012 ha raggiunto il livello più alto con l’elezione nella commissione antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. L’uomo giusto al posto giusto.

Il candidato nostalgico dei clan
Nei giorni scorsi, invece, ha tenuto banco il caso di Riccardo Pellegrino, consigliere comunale di Catania e fratello di Gaetano, imputato per mafia. “È considerato punto di riferimento del clan dei Carcagnusi", ha ricordato Claudio Fava, il candidato governatore dei bersaniani che ha convocato una conferenza stampa apposita per ricostruire alcune vicende che riguardano il candidato di Forza Italia all’Assemblea regionale siciliana. Come quando, nel 2014, si presentò nella redazione catanese di livesicilia.it accompagnando Carmelo Mazzei, figlio del boss latitante Nuccio Mazzei. “Dall’intercettazione ambientale su quell’incontro, disposta dai magistrati - ricordava Fava l’altro ieri - si apprende che Riccardo Pellegrino è “orgoglioso” di vivere nel quartiere catanese di San Cristoforo, regno del clan Santapaola, ma si lamenta perché adesso ci sarebbe solo la piccola criminalità mentre se in campo ci fossero state persone di spessore, mafiosi, tutto questo manicomio non c’era”.
Il nome di Pellegrino era stato segnalato alla commissione Antimafia già due anni fa. Chi era la fonte di quella segnalazione? Nello Musumeci, lo stesso che ora prenderà anche i voti di Pellegrino. “Il pane si fa con la farina che si ha in casa“, diceva nel 2012 il candidato governatore a chi gli chiedeva della presenza nelle sue liste di personaggi discutibili. Cinque anni dopo non ha cambiato idea. E a Palermo la lista del suo movimento (che si chiama Diventerà Bellissima) candida Pietro D’Aì, ex sindaco di Misilmeri, comune sciolto per mafia nel 2012. Le accuse all’ex primo cittadino e agli altri amministratori vennero archiviate ma le valutazioni messe nere su bianco dal gip Luigi Petrucci non erano esattamente entusiasmanti. A Misilmeri c’era “una gestione della cosa pubblica - scriveva il giudice - in talune occasioni francamente illecita ma senza che emergessero delitti collegati al sodalizio mafioso”.

Moderati ma non troppo
Nel centrodestra, però, non sono solo le liste di Forza Italia ad essere piene di candidati con qualche problemino giudiziario. A Siracusa l’Udc (che questa volta va a destra e appoggia Musumeci) candida il notaio Giovan Battista Coltraro, ex sostenitore di Crocetta che a marzo è stato rinviato a giudizio per falso in atto pubblico. Secondo l’accusa nella sua veste di notaio avrebbe favorito l’acquisizione illecita di appezzamenti di terreno per un valore totale di tre milioni di euro. A causa dei suoi guai giudiziari Coltraro era già stato sospeso per 10 mesi dall’attività professionale: mentre è sotto processo prova a farsi confermare in consiglio regionale. I neo scudocrociati di Lorenzo Cesa candidano anche Giuseppe Sorbello, sotto processo per voto di scambio, mentre a Messina puntano tutto su Cateno De Luca, ex vulcanico deputato regionale, per il quale la procura peloritana ha chiesto una condanna a 5 anni: è accusato di aver favorito le imprese della sua famiglia quando era sindaco del piccolo comune di Fiumedinisi. Ad Agrigento corre Gaetano Cani, a processo con l’accusa di estorsione: avrebbe costretto alcuni docenti di un istituto paritario a firmare le “dimissioni in bianco” accettando compensi inferiori rispetto a quelli indicati in busta paga.
Può vantare addirittura due condannati in primo grado la lista Popolari e Autonomisti - Idea Sicilia, cioè la fusione del partito dell’ex ministro Saverio Romano (processato e assolto per concorso esterno a Cosa nostra) e di Roberto Lagalla, che fu assessore alla sanità di Salvatore Cuffaro. A Palermo, per esempio, si candida Roberto Clemente, recentemente condannato in primo grado a sei mesi per corruzione elettorale. L’inchiesta della procura di Palermo aveva ricostruito, tra le altre cose, il livello raggiunto dalla compravendita di voti in Sicilia:per avere 150 preferenze bastava pagare 30 euro, in pratica ogni voto costava appena 5 euro. Prova a tornare all’Ars con la stessa lista di centro, ma candidandosi a Messina, Roberto Corona, ex presidente di Confcommercio, già deputato regionale del Pdl, condannato in primo grado a tre anni dal tribunale di Roma: era finito coinvolto in uno scandalo su alcune facili fideiussioni dell’Ascom. Per lui i giudici capitolini hanno ordinato il sequestro di circa 700mila euro.
Prova a tornare a Palazzo dei Normanni anche Santino Catalano, consigliere regionale “trombato” nel 2012: a causa di un patteggiamento a un anno e undici mesi per abuso edilizio aveva rischiato di decadere da deputato già nel giugno del 2011. Dichiarato ineleggibile dal tribunale civile era stato salvato dal voto segreto dei colleghi onorevoli, che a pericolo scampato lo avevano anche festeggiato a colpi di baci e abbracci tra gli scranni di palazzo d’Orleans.

Nel Pd amnesie, indagini ed esordi scomodi
Migliora la situazione dalle parti del centrosinistra, dove in sostegno del rettore Micari ci sono sicuramente più candidati dalla fedina penale linda. Purtroppo, però, il Pd in qualche occasione si è distratto. A Siracusa, per esempio, ha candidato Giovanni Cafeo che è sotto inchiesta per turbativa d’asta: l’inchiesta della procura si riferisce a all’appalto sulla gestione degli asili nido. A Palermo, invece, Sicilia Futura - che è la lista fai-da-te dell’ex ministro Salvatore Cardinale - candida Giovanni Di Giacinto, sotto processo per abuso d’ufficio: da sindaco di Casteldaccia è accusato di aver cancellato senza motivo oltre 40 cartelle esattoriali. Si candida a Catania, invece, il sindaco di Vizzini, Marco Aurelio Sinatra, indagato nella costola siciliana di Mafia Capitale, quella sulla gestione del centro per richiedenti asilo di Mineo, mentre è stato condannato a due anni e sei mesi per calunnia in primo grado (sentenza che sta per essere prescritta) Giuseppe Picciolo nuovamente in lista Messina.
Nel Pd corrono poi due incensurati che hanno fatto discutere parecchio negli ultimi anni. A Trapani esordisce con i dem Paolo Ruggirello, che cinque anni fa sosteneva Musumeci, e prima ancora era uno dei luogotenenti dell’ex governatore Raffaele Lombardo. Aveva esordito anni fa come assistente di Bartolo Pellegrino, deputato socialista, vicepresidente di Cuffaro, arrestato e poi assolto per concorso esterno a Cosa Nostra, celebre per aver definito “infame” un personaggio che aveva parlato con i carabinieri (a loro volta etichettati come “sbirri). Anche Ruggirello è un “figlio di”. Il padre, il ragionier Giuseppe Ruggirello, fondatore della Banca Industriale negli anni ’70, era diventato ricco in modo tanto veloce da meritare addirittura un’interrogazione parlamentare che puntava a fare luce sull’origine del suo successo economico. Poi nel 1997 il nome di Ruggirello senior salterà fuori addirittura in un’inchiesta che coinvolgeva Enrico Nicoletti, cassiere della banda della Magliana.
Dall’altra parte dell’isola, ecco un altro esordio col partito di Matteo Renzi: quello di Valeria Sudano, eletta all’Assemblea regionale siciliana con il Cantiere Popolare dell’ex ministro Romano, poi transitata in Articolo 4, partito nato da una scissione dell’Udc, e da lì finita dunque tra i dem. “I miei? Il grosso è nel Pd. Una lista che non finisce più, dai più noti al sottobosco. Li ho tirati su io, come la mia amica Valeria Sudano”, aveva detto alla vigilia del voto per il referendum costituzionale l’ex governatore Totò Cuffaro, fresco di scarcerazione dopo 5 anni trascorsi a Rebibbia. Il riferimento alla deputata di Catania non era casuale, dato che Valeria Sudano è nipote di Mimmo, potentissimo ex senatore della Dc di stretta osservanza cuffariana: ora è uno dei nomi di punta di Micari.

Gli impresentabili stanno a casa. Si candidano i parenti
Un capitolo a parte meritano i “parenti di”. Per il momento sono due i casi clamorosi. A Palermo la lista unica Fratelli d’Italia-Noi con Salvini candida Mario Caputo detto Salvino. In realtà Salvino è suo fratello, ed è già stato lungamente consigliere regionale con An e con il Pdl. Poi, purtroppo, è decaduto a causa di una condanna in via definitiva per tentato abuso d’ufficio: da sindaco di Monreale aveva tentato di cancellare alcune multe prese dall’automobile del vescovo. È abbastanza incensurato (ipse dixit) anche Luigi Genovese, il figlio ventenne di Francantonio, primo segretario del Pd in Sicilia, passato con Forza Italia dopo che i suoi colleghi deputati avevano votato a favore del suo arresto. Nell’inchiesta sui dorati corsi di formazione Genovese è stato condannato in primo grado per associazione per delinquere, truffa, riciclaggio, frode fiscale, peculato perché con enti controllati da lui e dai suoi familiari ha truffato la Regione siciliana. L’entità della truffa? Circa venti milioni di euro. E a proposito di familiari: non si ricandida a questo giro suo cognato, Franco Rinaldi, consigliere regionale uscente, a sua volta coinvolto nell’inchiesta. Il motivo? Genovese ha deciso che in politica è il momento di lasciare spazio ai giovani. A patto che siano suoi parenti.

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