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borsellino manfredi c castolo giannini1Intervista al figlio del giudice sul film “Era d’estate”
di Maria Pia Fusco
Esce oggi “Era d’estate”, il film di Fiorella Infascelli che racconta i 25 giorni trascorsi nel 1985 dalle famiglie di Paolo Borsellino e di Giovanni Falcone sull’isola dell’Asinara, un trasferimento affrettato per ragioni di sicurezza. Manfredi Borsellino, ora commissario di polizia a Cefalù, allora era adolescente. Da quell’estate non è più tornato all’Asinara. «Purtroppo», dice. «Perché so per certo che mi farebbe ripiombare in un momento della mia vita tanto drammatico quanto gioioso».

Borsellino e Falcone insieme, un’intesa, un sodalizio fortissimi.
«Nostro padre, confortato dalla presenza di chi considerava un fratello, riusciva a tenere alto il morale di tutti, anche quello di Giovanni che talvolta “finiva sotto i tacchi”. Quei due insieme erano una forza della natura».

Lei ha scritto un racconto dallo stesso titolo del film.
«Sì, “Era d’Estate” è il titolo di una raccolta di racconti di uomini e donne che in quella terribile estate del ‘92 erano poco più che ventenni (Ed. Vittorietti, autori Roberto Puglisi e Alessandra Turrisi). Tra questi c’è è anche il mio: credo rimarrà l’unica volta in cui ho trovato la forza di raccontare quei 57 giorni tra Capaci e Via d’Amelio, in cui lo Stato ha perso i suoi figli migliori e noi un padre meraviglioso che immaginavamo immortale».

Si è riconosciuto nel bambino Manfredi?
«Mi sono riconosciuto in quel prendere la vita “dal verso giusto”, nel cogliere di quella stranissima e sorvegliatissima vacanza gli aspetti positivi. Ero consapevole delle ragioni per le quali ci trovavamo su quell’isola, ma ero altrettanto consapevole di vivere una esperienza unica, circondato dall’affetto e dalla protezione di istituzioni che, allora, avevano a cuore la vita di due dei loro servitori migliori».

Il film le ha evocato spunti di verità su quell’esperienza di convivenza forzata?
«”Era d’estate” è il film che meglio e più di tutti, ad esempio, indugia sul particolare rapporto tra nostro padre e Giovanni Falcone, anche sul rapporto tra quest’ultimo e me o tra mia madre e Francesca Morvillo, insomma ne esce fuori un quadro di famiglia allargata».

Ricorda il primo incontro con Falcone?
«Lo conobbi all’inizio degli anni Ottanta, non avevo neanche 10 anni; ma i suoi tratti caratteriali più nascosti vennero fuori proprio durante quel soggiorno forzato all’Asinara, dove evidentemente proprio questa “famiglia allargata” lo portò ad essere assai diverso da quella persona austera che conoscevo».

È vicino alla realtà il legame bello tra lei e Falcone che si vede nel film?
«Sì, posso dire che lui, durante quel breve periodo in cui mio padre si assentò per i primi problemi di salute di mia sorella, si affannò quasi a farmi da secondo padre, o da zio, risultando talvolta anche comico ai miei occhi ma terribilmente umano».

Tratto da: La Repubblica

Foto © Castolo Giannini

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