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sola con te in un futuro apriledi Franca Selvatici
Presentato a Firenze il libro di Asta e Gargiulo edito da Fandango: "Sola con te in un futuro aprile" sull'attentato contro il giudice Palermo in cui morirono una mamma e due dei suoi tre figli.

«Le mafie uccidono, mettono bombe, accumulano montagne di denaro, corrompono l’economia legale. Sono un cancro che coinvolge la qualità della nostra democrazia». In una delle grandi aule del palazzo di giustizia di Novoli il sostituto procuratore antimafia Ettore Squillace Greco parla di legalità e giustizia ai giovani che fanno servizio civile negli uffici giudiziari e che si sono ritrovati tutti insieme per ascoltare la storia di Margherita Asta, che aveva dieci anni quando – il 2 aprile 1985 – una autobomba destinata al giudice istruttore Carlo Palermo, giunto da 40 giorni a Trapani dopo aver condotto a Trento un’inchiesta sconvolgente sui traffici di armi e le coperture politiche, travolse in un attimo le vite di sua madre Barbara e dei suoi fratellini gemelli Giuseppe e Salvatore di sei anni, mentre stavano andando a scuola. Margherita si salvò perché i gemellini si litigavano un paio di pantaloni e lei, temendo di arrivare tardi in classe, aveva chiesto un passaggio verso la scuola alla madre di una amichetta.
La strage di Pizzolungo è stata oggetto di innumerevoli processi e non sempre i giudici hanno condiviso lo sforzo di verità dei magistrati della procura di Trapani, mentre il sacrificio di una donna e dei suoi due figli più piccoli, e il dolore dei familiari sopravvissuti rischiavano ogni giorno di più l’oblio. Finché Margherita e la sua amica giornalista Michela Gargiulo non hanno raccontato la storia della strage in un libro edito da Fandango, intitolato “Sola con te in un futuro aprile”. Ieri le due autrici e il giornalista Rino Giacalone hanno ricostruito quei momenti terribili, le vicende processuali e i segreti inconfessabili di Trapani. Michela ha ricordato il giorno del 2006 in cui, mentre percorreva la Sicilia inseguendo storie di mafia, conobbe Margherita Asta, che le parlò della perdita della madre e dei fratellini mentre grosse lacrime (“le più grandi che io abbia mai visto”) le scendevano lungo le guance. «La memoria di mia madre e dei miei fratelli è stata calpestata tante volte», ha detto Margherita. Ogni 2 aprile, anniversario della strage, – ha raccontato – veniva organizzata una “passerella”. «Una volta il Comune di Erice organizzò, dopo la commemorazione, una degustazione del cioccolato. Quando venni a sapere che sul luogo della strage stavano per realizzare uno stabilimento balneare, andai dal prefetto di Trapani. “Non posso ledere il diritto di un privato”, mi disse. Io ribattei: “Sarebbe come se in via d’Amelio al posto dell’ulivo mettessero un chiosco di bibite”». Via d’Amelio è il luogo del massacro del magistrato Paolo Borsellino e dei suoi angeli custodi, gli uomini della sua scorta. «Il prefetto – ricorda Margherita – mi disse che non potevo paragonare via d’Amelio al luogo in cui erano morti mia madre e i miei fratelli. Per tanto tempo la loro morte è stata considerata una storia di serie B, e loro vittime di serie B». Grazie al suo impegno, però, alla fine lo stabilimento balneare non si è fatto.
La legalità – ha detto il pm Squillace – significa che non possiamo tollerare che accadano fatti come quelli descritti nel libro, e non possiamo tollerare la subcultura mafiosa che esalta i più forti e i più furbi. Ma – si è chiesto il magistrato - che cos’è la legalità? In America, nell’Ottocento, era legalità lo schiavismo. Nel 1938 in Italia era legalità escludere uno studente dalla scuola perché ebreo, erano legalità le leggi razziali. In Sud Africa fino a pochi anni fa era legalità escludere una persona da un ospedale, da una scuola, da un ufficio pubblico per il colore della sua pelle. «La legalità è una scatola vuota, dipende dal contenuto. In Italia è stata riempita dalla nostra Costituzione, un insieme di regole che impediscono il sopruso, la violenza, la sopraffazione in danno dei più deboli e che tutelano la diversità». Il 26 gennaio 1955 uno dei padri costituenti, Piero Calamandrei, parlando agli studenti universitari di Milano, definì la Costituzione «un testamento di centomila morti». Squillace ha letto alcuni passi di quel discorso immortale: «Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione voi giovani dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, morti per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta».
La legalità alla quale dobbiamo guardare – ha concluso il pm antimafia – è «la legalità costituzionale, di cui le mafie sono la violazione più violenta e insopportabile. Se non ci facciamo carico della idea costituzionale di bene comune ci troveremo ad avere perso quello straordinario patrimonio di legalità che ci hanno lasciato in eredità i nostri padri costituenti».
Un’impresa impossibile? Proprio in questi giorni il palazzo di giustizia ospita una mostra fotografica di Lavinia Caminiti. Si intitola «Gli invisibili ammazzati dalla mafia e dall’indifferenza». Mafia e indifferenza si possono sconfiggere? Il pm Squillace ha citato Bertrand Russel: «Gli innocenti non sapevano che la cosa fosse impossibile e per questo la fecero».


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