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salvini matteo c imagoeconomica 0di Riccardo Bonacina
La cancellazione dei permessi umanitari di cui sino ad oggi avevano usufruito circa 30mila migranti e il depotenziamento degli Sprar, ovvero dell’accoglienza diffusa e controllata, produrranno effetti macroscopici di insicurezza e in due anni 60mila clandestini in più

Nella sua “Relazione sul funzionamento del Sistema di accoglienza” presentata alla Camera dei Deputati, il 14 agosto scorso, Matteo Salvini definiva il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (Sprar) “un ponte necessario all’inclusione”. A poco più di un mese di distanza il decreto legge sull’immigrazione e sicurezza approvato all’unanimità dal Consiglio dei Ministri, ridimensiona il programma Sprar, destinato all’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo, riservandolo solo a chi ha già ricevuto la protezione internazionale e ai minori non accompagnati.

Sistemi di accoglienza diffusa, i progetti Sprar (circa 877 a luglio 2018, di cui 681 ordinari, 144 per minori non accompagnati, 52 per persone con disagio mentale e disabilità) sono realizzati in collaborazione con gli enti locali (653 comuni, 19 Province, 28 Unioni di Comuni e 54 altri enti per un totale di 1200 comuni coinvolti), e finanziano ad oggi 35.881 posti. Storie d’integrazione, dove i rifugiati o richiedenti asilo vengono tolti dalla strada per essere avviati in un processo di autonomia, soprattutto tramite veri percorsi di integrazione, scuola di lingua, tirocini, lavori socialmente utili, lavori veri e propri.

Da oggi, però, potrà accedere ai progetti d’integrazione solo chi ha visto la sua domanda di protezione internazionale approvata. Tutti gli altri, ovvero i richiedenti asilo che si stima rappresentino circa la metà dei beneficiari dei progetti Sprar, verranno invece rimandati inevitabilmente nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas) che a differenza dello Sprar, che è l’unico sistema pubblico di accoglienza dove ogni euro è rendicontato, sono spesso strutture private finanziate da soldi pubblici e permeabili alla corruzione: le inchieste hanno sempre riguardato i Cas e mai gli Sprar. Inoltre, nei Cas gli stessi immigrati sono meno controllabili e la loro gestione è molto più complessa. Il rischio, dunque, è che ci siano molti più immigrati in giro “senza occupazione” e “senza far nulla”, con conseguente aumento delle difficoltà d’inserimento nelle comunità cittadine. O almeno questo è quello che denunciano gli addetti ai lavori

Daniela Di Capua, direttrice del Servizio Centrale dello Sprar dice al Ilfattoquotidiano.it: “Il decreto immigrazione abbassa i costi e quindi gli standard dei servizi di accoglienza. Il risparmio è apparente perché produrrà costi sociali a carico dei comuni e quindi dei cittadini. Un’accoglienza adeguata non va solo a vantaggio degli accolti ma anche dei territori, perché previene problemi d’integrazione, di marginalità sociale e anche di sicurezza”.

CAS, UN SISTEMA INEFFICIENTE E CORROTTO

Una ricerca recente di In Migrazione, pur non entrando nel merito di come le Prefetture hanno operato, presenta alcuni risvolti interessanti, legati proprio alle famose gare d'appalto indette dalle Prefetture per «l’affidamento dei servizi di accoglienza e dei servizi connessi ai cittadini stranieri richiedenti asilo presso strutture temporanee.

Ebbene, dall'indagine emerge che soltanto 16 bandi di gara indetti dalle Prefetture per l’apertura e la gestione dei Centri di Accoglienza Straordinaria raggiungono una valutazione di sufficienza, mentre ben 64 risultano carenti e 21 molto carenti.

Le gare d’appalto sono mediamente caratterizzate da forti ritardi burocratici nell’espletamento di tutte le procedure. Il più clamoroso? I 5.000 giorni di ritardo tra la data prevista di avvio dei servizi e l’aggiudicazione delle gare d’appalto, con una media nazionale di ritardo per Prefettura di quasi due mesi. Ritardi che pesano sulle casse dello Stato e che rendono troppo spesso necessarie proroghe tecniche delle passate aggiudicazioni.

Una situazione rilevata sui bandi di gara per l’apertura dei 178.338 posti per ospitare richiedenti asilo nei CAS in tutta Italia, che rappresentano oltre il 90% della complessiva capacità della “prima accoglienza”.

Proprio dallo studio qualitativo dei bandi si può trovare la differenza tra Centri di Accoglienza Straordinaria immaginati con una logica assistenzialista e da ammortizzatore sociale, che usa i migranti come assets, e con un impatto spesso negativo sulla comunità ospitante, e C.A.S. dove invece vengono avviati processi d’integrazione in armonia con il territorio.

n tutta Italia sono stati complessivamente messi a bando dalle Prefetture quasi 180 mila posti nei Centri di Accoglienza Straordinaria. Se in termini assoluti a ospitare più richiedenti asilo nei C.A.S. sono la Lombardia (27.131 posti messi a bando), la Campania (17.500) e il Lazio (16.449), in rapporto ai residenti queste Regioni ospitano appena 3 richiedenti ogni 1.000 residenti. “Non assistiamo ad alcuna invasione – spiega Andreotti - il problema non è il numero di persone che sbarcano scappando da guerre e violenze, ma l’incapacità del nostro Paese di rispondere a questo fenomeno mettendo in campo un sistema di accoglienza efficace e di qualità”.

La “pressione” dell’accoglienza sui cittadini che risiedono in un territorio non è infatti determinato dai numeri complessivi, quanto dalla loro concentrazione, ovvero dalla dimensione dei centri, che troppo spesso ospitano un numero eccessivo di persone, con conseguenze negative sulla qualità dell’accoglienza e sul rapporto con la comunità ospitante. Una delle principali criticità evidenziate nella ricerca sono proprio le dimensioni delle strutture. Soltanto in poco più di 1 gara di appalto su 4 viene stabilito un limite inferiore ai 60 ospiti per centro di accoglienza. Nel 68% dei casi, invece viene data la possibilità di aprire Centri con una capacità ricettiva tra gli 80 e i 300 utenti (in alcuni casi anche superiore).

Anche sulla quantità e la qualità dei servizi alla persona e per l’integrazione nei bandi di gara pubblicati dalle Prefetture si evidenzia un’altra forte carenza: oltre il 60% non raggiunge la sufficienza su questo aspetto. Sono in particolare l’orientamento e il supporto legale per la domanda di protezione internazionale (negativa valutazione in 89 bandi su 101), l’insegnamento dell’italiano L2 (83/101) e la mediazione linguistica e culturale (76/101), i servizi su cui è stata rilevata una maggiore e preoccupante carenza. Carente, anche se sensibilmente migliore, la situazione per i servizi connessi al lavoro, al volontariato e alla positiva gestione del tempo (solo il 49% positivo) e i servizi di assistenza psicologica e sociale (57% negativo). Nettamente migliore è la situazione per quanto concerne l’assistenza sanitaria, considerata positivamente in 85 bandi sui 101 analizzati. “La qualità e la quantità dei servizi alla persona e per l’integrazione garantiti ai richiedenti asilo nei CAS – aggiunge Andreotti - sono lo spartiacque tra strutture gestite con una logica assistenzialista, dove le persone accolte restano in uno stato di inattività e passività, e strutture dove la proposta di gestione positiva progettuale del tempo sostiene gli ospiti nel percorso per la riconquista di un’autonomia nel nostro Paese all’insegna della legalità”.

Soltanto nel 36% dei bandi la professionalità delle équipe chiamate a gestire i CAS porta alla maturazione di specifici punteggi incidendo sulla graduatoria finale e, quindi, sull’assegnazione del servizio di accoglienza. Tra i servizi minimi richiesti solo 20 Prefetture su 101 hanno definito nei rispettivi bandi la formazione specialistica e l’aggiornamento e la supervisione per gli operatori dell’accoglienza.

La ricerca rileva un quadro complessivamente critico, caratterizzato da realtà estremamente diverse tra una Prefettura e l’altra, che evidenzia una carenza di indirizzo nella governance dell’accoglienza straordinaria da parte del Ministero dell’Interno.

Complessivamente per il 2018 sono stati impegnati nei bandi per l’apertura e la gestione dei C.A.S., fondi pubblici per oltre 2 miliardi di Euro.

I numeri sono chiari: 130 mila persone sono accolte nei Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS) e 30.000 sono le accoglienze previste e possibile nell’attuale sistema dello Sprar. In questa dicotomia CAS/SPRAR ed in questa distanza enorme di numeri si nasconde un intero mondo, tutto di cultura italiano.

LO SPRAR UN SISTEMA VIRTUOSO

Negli Sprar (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugio) i progetti di accoglienza sono obbligatoriamente personalizzati, si prediligono piccoli numeri di beneficiari, in appartamenti presi in affitto nei comuni ( ed è addirittura possibile l’accoglienza in famiglia), la governance dell’accoglienza è direttamente nelle mani del comune che la può affidare ad enti del terzo settore, il comune controlla l’utilizzo dei fondi dell’accoglienza assumendo un revisore dei conti apposito per il progetto ( pagato con gli stessi fondi SPRAR), il personale deve avere titoli professionali adeguati all’incarico, con curricula e qualifiche richieste dal Manuale Sprar, un tutor dell’ANCI controlla il buon andamento del progetto con visite ispettive, almeno due l’anno.

Minimo il 7% dei fondi deve essere investito nelle attività di integrazione (compresi i tirocinii di inserimento lavorativo), le spese indirette per la gestione dello Sprar riconosciute al Comune o all’ente gestore non possono superare il 10%. L’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI), titolare del sistema in partenariato con il Ministero dell’Interno, eroga i fondi del progetto almeno due volte l’anno, dopo apposite rendicontazioni. Lo Sprar dura minimo 3 anni per ciascun progetto ed il Comune può presentare nuovo progetto al termine dei 3 anni.

CHE SUCCEDERÀ ORA?

La cancellazione dei permessi umanitari di cui sino ad oggi avevano usufruito circa 30mila migranti e il depotenziamento degli Sprar, ovvero dell’accoglienza diffusa, produrranno effetti macroscopici di insicurezza.

La prima misura produrrà marginalità e clandestinità si perchè decine di migliaia di migranti usciranno dai percorsi di prima accoglienza e torneranno ad essere invisibili, sia perché per le espulsioni il Decreto stanzia poco più di 3 milioni in 3 anni (soldi sufficienti per poco più di 700 espulsioni l’anno) sempre che intanto si instaurino relazioni internazionali con i Paesi di provenienza.

La seconda misura, invece di intervenire sul meccanismo dei CAS, un sistema al centro di scandali e vero cuore del business dell’immigrazione, interviene sulla pratica più virtuosa, la rete Sprar, smantellandola e cambiandone i connotati. Una scelta incomprensibile stando agli stessi proclami di Matteo Salvini nelle settimane passate.

Il 3 settembre l'Ispi ha calcolato che tre mesi dopo la stretta di Salvini sull'immigrazione comincia a farsi sentire e l'effetto pratico rischia di trasformarsi in un micidiale boomerang. La stretta notevole già prevista nelle circolari del Viminale, secondo l’Istituto per gli studi di politica internazionale (che ha elaborato dati del Ministero dell'Interno) ha già prodotto 12.450 nuovi irregolari (nei tre mesi di vita dell’esecutivo giallo-verde).

La stretta anti-immigrati del #DecretoSalvini, avrebbe come effetto paradossale di creare 60 mila nuovi irregolari in due anni, per intenderci migranti che (non essendo fisicamente riportati indietro e non avendo alcun diritto a forme di accoglienza) andrebbero ad aggiungersi a quanti sono costretti a vivere ai margini delle città, in condizioni sociosanitarie non dignitose e che, come confermano gli ultimi dati disponibili, finiscono con il commettere reati 20 volte di più dei migranti regolari. E così Salvini si garantirebbe una ulteriore crescita elettorale.

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