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barili-finlandia-sottoterradi DAVID CHIERCHINI e ANTONIO CIANCIULLO, video MATTEO KEFFER.
Con un commento di VALERIO GUALERZI - 13 luglio 2015

Dopo oltre 20 anni di attesa, è arrivata alla stretta finale la scelta del sito per la costruzione del deposito destinato allo stoccaggio dei nostri rifiuti atomici. Gli enti tecnici hanno studiato il Paese palmo a palmo, scartando circa il 99% del territorio, e hanno redatto una lista con una decina di opzioni. L'ultima decisione spetta quindi ora al governo. Un passo destinato a scatenare proteste, anche perché la struttura non risolverà il problema dei materiali più pericolosi. Solo la Finlandia ha trovato la soluzione: ha quasi ultimato la costruzione di un enorme bunker sotterraneo che conserverà i residui altamente contaminati per 100.000 anni. Un progetto fantascientifico che abbiamo documentato con le nostre telecamere.


Novantamila metri cubi di scorie cercano casa

Berlusconi fu costretto al dietrofront

Tre tipi di rifiuti, ancora nessuna soluzione

In Finlandia il primo sarcofago "eterno"

Dal mare alle montagne, finora solo flop

Lezione chiara per chi la vuol capire



Novantamila metri cubi di scorie cercano casa
di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA - Oltre il 99% del territorio italiano è stato scartato in fase di istruttoria, assieme a un'intera regione, la Val d'Aosta. Ora, nella roulette dell'assegnazione del deposito nucleare, la pallina ha cominciato a girare in una zona abbastanza ristretta. Su quale casella si fermerà dopo la selezione finale? Per ora si è allungata la lista delle esclusioni. Dalla mappa dell'Italia sono state tolte lagune, zone protette, miniere, dighe, poligoni di tiro e tutte le aree con una delle seguenti caratteristiche: sismiche; soggette a frane o ad alluvioni; sopra i 700 metri di quota, sotto i 20 metri di quota; a meno di 5 chilometri dal mare; a meno di un chilometro da ferrovie o strade di grande importanza; vicino alle aree urbane; accanto ai fiumi. Alla fine è rimasta qualche decina di aree considerate idonee a ospitare i rifiuti atomici.

Ma quando avverrà la scelta finale? Il 2 gennaio 2015 Sogin (la società pubblica incaricata del decommissioning) ha consegnato a Ispra (l'autorità di controllo ambientale) la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee a ospitare il deposito. Il 13 marzo Ispra ha girato la sua relazione ai ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente. Il 16 aprile i due ministeri hanno rimandato la palla a Sogin e Ispra chiedendo approfondimenti tecnici che sono in via di consegna. E in questi giorni, il dossier sul cimitero radioattivo sta completando l'ultima tappa della lunga triangolazione tra Palazzo Chigi, Ispra e Sogin. Il governo si prenderà ora qualche settimana per le valutazioni conclusive: con buona probabilità la lista dei paesi candidati alla costruzione del sito di stoccaggio verrà resa nota ad agosto.

Visto che il momento dell'anno non appare il più propizio ad ospitare il largo dibattito necessario, se ne riparlerà - in assenza di nuovi rinvii - a settembre. Ma in che termini? Negli ultimi mesi le tensioni sono cresciute anche perché il costo della gestione della breve stagione nucleare italiana si è rivelato molto alto. In bolletta per la gestione della partita scorie paghiamo da tempo una cifra che gira attorno ai 250 milioni di euro annui. E per il piano di decommissioning - secondo i calcoli della Sogin - ai 2,6 miliardi di euro spesi dal 2000 ad oggi se ne dovranno aggiungere altri 3,9.

"Non c'è chiarezza su cosa realmente si intende fare e per questo si corre il serio rischio che le popolazioni facciano saltare il banco", afferma il senatore Cinque Stelle Gianni Girotto. "Sono troppi i punti oscuri. La normativa prevede la definizione di un programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi con la partecipazione del pubblico; prevede la creazione dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare, un ente con funzioni di controllo e di vigilanza delle attività nucleari; prevede l'adeguamento della classificazione dei rifiuti radioattivi alle normative internazionali. Ma su nessuna di queste questioni è stata ancora data una risposta soddisfacente".

Dello stesso parere Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace: "La nomina a direttore dell'Isin, l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, di Antonio Agostini, una persona non competente in materia è solo l'ultimo atto di una sequenza di errori. La stessa decisione di far dipendere l'Isin dal ministero dell'Ambiente e da quello dello Sviluppo economico crea un problema: il controllore (Isin) dipende dal controllato (il ministero dello Sviluppo economico). E' una situazione che somiglia più a quella dell'Unione Sovietica di Cernobyl che a una democrazia europea".

Contestati anche i contenuti del piano: prevede la realizzazione di un deposito nazionale per i rifiuti a bassa e media attività (smettono di essere pericolosi dopo 300 anni) che dovrebbe ospitare "in modo temporaneo" anche i rifiuti ad alta attività (restano pericolosi per centinaia di migliaia di anni). Non è una differenza da poco. Le scorie a bassa e media attività vanno custodite in un deposito di superficie come quello in programma in Italia, le altre in un deposito geologico di profondità (che al momento nessun paese è riuscito a completare), capace di garantire per migliaia di generazioni la sicurezza e la trasmissione dell'informazione sul rischio.

Di fronte a queste preoccupazioni alla Sogin ribattono elencando i vantaggi che derivano dalla creazione del deposito nazionale (1,5 miliardi di euro di investimento compreso il parco tecnologico adiacente, 700 posti di lavoro per la gestione): "E' una struttura con barriere ingegneristiche e naturali progettata sulla base delle migliori esperienze internazionali e secondo i più recenti standard Aiea. Le scorie ad alta attività saranno invece stoccate temporaneamente in vista della loro sistemazione definitiva in un deposito geologico profondo". In tutto dovranno trovare posto circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività (per il 60% prodotti dalle attività di smantellamento degli impianti nucleari e per il 40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca) e circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività (compresi circa 1.000 metri cubi di combustibile esausto ritrattato di ritorno da Francia e Gran Bretagna).


In realtà oggi di questi 90 mila metri cubi di scorie radioattive ne esiste solo poco più di un terzo. Dal processo di smantellamento delle centrali nucleari - ancora in  corso - verranno complessivamente circa 55 mila metri cubi (44.400 a bassa e media intensità, 10.400 ad alta intensità), mentre 500 metri cubi all'anno avranno come provenienza i settori della medicina, della ricerca e dell'industria. Dunque nell'arco dei quattro decenni di vita prevista per il deposito (che dovrebbe entrare in funzione nel 2024) si arriverà a 90 mila metri cubi.


Ma il progetto andrà realmente in porto? Si troveranno candidati disposti ad accettare le robuste "compensazioni" economiche previste in cambio del sì al deposito nucleare? E se nessun volontario si facesse avanti? Per il governo il piano B non esiste. Ma non tutti sono d'accordo. "La Nuclear Regulatory Commission statunitense ha risposto a un quesito dell'Alta Corte americana su cosa fare se il deposito geologico di Yucca Mountain non si dovesse realizzare: la risposta è che il combustibile irraggiato può essere stoccato a secco nei siti attuali", osserva il direttore di Greenpeace. "Se è possibile negli Stati Uniti, perché non ipotizzare anche in Italia la messa in sicurezza dei materiali radioattivi in maniera decentrata?".

Berlusconi fu costretto al dietrofront
ROMA - L'imminente annuncio sulla scelta della località destinata ad ospitare il deposito nazionale dei rifiuti nucleari rischia di infuocare l'estate italiana. Non è la prima volta infatti che il governo ci prova. Nel novembre del 2003 l'esecutivo guidato allora da Silvio Berlusconi cercò di forzare la mano varando un decreto (314/2003) nel quale si indicava Scanzano Jonico, in provincia di Matera, come il luogo ideale ad accogliere la nostra spazzatura atomica.

La notizia fece scattare immediatamente una protesta pacifica che durò oltre due settimane, prima con il blocco della ferrovia ionica e della Statale 106, fondamentale via di collegamento tra Puglia e Calabria, e poi con l'occupazione del pozzo numero quattro della Sorim, la società titolare della concessione per l'estrazione del salgemma nella miniera scelta per ospitare le scorie.

Con il passare dei giorni la mobilitazione si ingrossò come un'onda di piena, culminando in una manifestazione che portò in strada oltre 100 mila persone, un record assoluto per la Basilicata. Sulla spinta di questa incredibile pressione popolare, il governo, che nel decreto aveva motivato la scelta a sorpresa di Scanzano con la "straordinaria urgenza di assumere iniziative immediate per la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi nazionali", preferì tornare sui suoi passi ritirando il provvedimento.



Tre tipi di rifiuti, ancora nessuna soluzione
ROMA -
Le scorie nucleare possono essere di diversa natura e pericolosità. In Italia vengono classificate in tre categorie. In termini di volume, oltre il 90 per cento dei rifiuti nucleari è costituito da scorie di seconda categoria che contengono circa il 10 per cento di radioattività, mentre le scorie di terza categoria rappresentano una frazione del 5-7 per cento in volume e contengono circa il 90 per cento della radioattività.

classifica-rifiuti-radiazione
Per quanto riguarda le scorie di seconda categoria, seppure molto impegnativo, è pensabile la costruzione di depositi ingegneristici in grado di durare alcuni secoli. Decisamente più complicato è trovare una soluzione definitiva per le scorie di terza categoria. Al momento la prassi internazionale è di valutarne il confinamento in profondità geologiche per almeno diecimila anni (anche se la vita media di queste scorie è ben più lunga).

Dopo che nel 2010 il presidente statunitense Barack Obama ha fermato il progetto per la costruzione di un deposito geologico in Nevada, a Yucca Mountain, il paese più vicino ad una soluzione "definitiva" è la Finlandia con la struttura geologica di Onkalo, ad Olkiluoto. Approccio, quello scelto da Helsinki, che può contare sul sostegno della Commissione Europea, convinta che la "soluzione geologica" sia la migliore, anche se non mancano critiche e perplessità. Greenpeace, ad esempio, sottolinea che "la soluzione di confinare le scorie nucleari in siti geologici profondi  -  per trovare una barriera 'naturale' che regga temi così lunghi - si scontra con il fatto che in sessant'anni da quando è stata sviluppata questa tecnologia, le basi scientifiche e l'esperienza concreta di una soluzione del genere sono rimaste assai scarse". Secondo gran parte del mondo ambientalista restano infatti aperti ancora molti problemi: corrosione accelerata dei sistemi di contenimento; sviluppo di gas e il surriscaldamento con cedimento della camera di stoccaggio; le possibili reazioni chimiche inattese; incertezze sulle caratteristiche geologiche (falde, ecc...) del sito; possibili terremoti; future interferenze umane nel sito.

L'Italia, che ha quantitativi di scorie tutto sommato modeste visto che i nostri pochi reattori sono stati in funzione per un breve periodo, ha scelto invece la strada del riprocessamento del combustibile. Si tratta di un trattamento, assicurano dalla Sogin, che permette di ricavare dal combustibile nucleare esaurito nuovo materiale fissile riutilizzabile come combustibile per la produzione di energia. Un processo che permette di recuperare oltre il 95% del volume del combustibile irraggiato con la produzione di una quantità di rifiuti radioattivi ad alta attività pari a meno del 5%, che vengono condizionati in una forma che ne riduce considerevolmente il volume. Cifre e convenienza del procedimento contestate in realtà dagli ambientalisti che sottolineano come diversi paesi, a cominciare dagli Usa, hanno rinunciato a percorrere questa strada.

Queste scorie verranno quindi stoccate nel futuro Deposito Nazionale, di cui si sta cercando in questi giorni di individuare la possibile ubicazione, tra mille polemiche, perplessità e incertezze.



In Finlandia il primo sarcofago "eterno"
di DAVID CHIERCHINI

OLKILUOTO - “Sei in un luogo dove non saresti mai dovuto entrare. Voltati e vattene. E soprattutto dimentica.” Con queste parole Michael Madsen, regista del film documentario Into Eternity, si rivolge a un uomo del lontano futuro che tenta di forzare l’entrata di Onkalo, il sarcofago scavato nelle viscere del sottosuolo finlandese che sigillerà per sempre il primo cimitero nucleare permanente al mondo. Una struttura di tunnel, grotte artificiali e barriere stagne scavate a 450 metri di profondità per isolare dalla biosfera le barre di uranio esausto ad alta radiotossicità usate nelle centrali del paese scandinavo. Il sito, che si trova nell’isola di Olkiluoto a 300 km da Helsinki, avrà un volume di 2 milioni di metri cubi, per una capacità complessiva di 9000 tonnellate di scorie. Ad oggi gli scavi hanno raggiunto la quota prefissata e si sta procedendo alla costruzione del deposito vero e proprio, che inizierà a stoccare le prime scorie nel 2020. Una volta chiuso, intorno al 2100, Onkalo dovrà custodire la sua mortale reliquia per i prossimi centomila anni, fino a quando la radioattività del combustibile nucleare decadrà a livelli non più nocivi. In termini umani, questo lasso temporale è difficile anche solo da immaginare: nessuna civiltà ha mai lasciato ai posteri resti che abbiano retto anche solo un decimo di tale durata.


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Ad oggi le barre di uranio prodotte dalle centrali di tutto il mondo sono conservate in depositi temporanei di superficie, immerse in vasche dove rimangono a raffreddare per quarant’anni in attesa di una sistemazione sicura e di una strategia internazionale coordinata sulla gestione delle scorie che ancora tarda a essere formulata. Garantire condizioni stabili e sicure in superficie è semplicemente impossibile. Basti pensare che solo negli ultimi cento anni si sono susseguite due guerre mondiali. Prodotti di fissione come il plutonio o l’uranio 235 conservati in depositi temporanei esposti a ogni genere di minaccia umana e naturale potrebbero finire in mani sbagliate – magari per la costruzione di ordigni - o contaminare l’ambiente causando danni irreparabili.

Ad oggi il progetto Onkalo sembra essere la soluzione più sicura. Il sottosuolo granitico finlandese è solido e stabile, lontano da faglie e vulcani, schiacciato dalle glaciazioni: il luogo ideale per isolare il materiale radioattivo da un mondo esterno imprevedibile e bellicoso. Inoltre il completamento del sito è già assicurato dal fondo nazionale per la gestione delle scorie, stanziato all’inizio dell’era nucleare finlandese dalle compagnie produttrici, che si aggira intorno ai 2 miliardi di euro. Questo significa che se il paese decidesse un domani di abbandonare il nucleare per motivi politici o economici avrebbe comunque già a disposizione le risorse necessarie per provvedere alla gestione delle scorie.

“Onkalo ci fa riflettere sulle conseguenze che le nostre azioni presenti possono avere sul lontano futuro”, spiega a Madsen nel suo documentario il teologo Carl Reinhold Brakenhielm, membro del Consiglio Nazionale Finlandese per le scorie nucleari. “Anche se Onkalo sembra ragionevolmente sicuro, come possiamo avere la certezza che il sito non venga violato in futuro?”. Perché è proprio l’intrusione umana il rischio più temuto dai suoi progettatori.

Se fra cinquecento o duemila anni il tunnel fosse trovato, in che modo si potrà comunicare la pericolosità del suo contenuto? In quale lingua? Gli autori della scoperta saranno uomini in grado di leggere? Sono scenari che travalicano la nostra ordinaria percezione del tempo. “Siamo ancora indecisi su due opposte soluzioni”, spiega Pasi Tuohimaa, responsabile comunicazioni della Posiva, la società finlandese per lo smaltimento delle scorie. “Lasciare un messaggio chiaro creando un ambiente artificiale spaventoso all’entrata del tunnel, dipingendo la galleria con simboli universalmente riconoscibili - come l’urlo di Munch - oppure lasciare che la natura prenda il sopravvento e fare in modo che il luogo sia dimenticato per sempre”. Onkalo in finlandese significa ‘luogo nascosto’. Fra un centinaio di anni conterrà le scorie nucleari prodotte dai quattro reattori del paese quando saranno giunti al termine del loro ciclo industriale, una frazione minima del totale prodotto in Europa e nel resto del mondo.


Dal mare alle montagne, finora solo flop
di ANTONIO CIANCIULLO

ROMA  -  Miliardi di euro investiti in mezzo secolo di ricerche, nessun risultato operativo raggiunto. E' al momento fallimentare la storia della ricerca di un deposito per lo scorie nucleari ad alta radioattività. Anche perché nuovi problemi continuano ad accumularsi. Ad esempio in Svezia è stato messo in discussione l'uso di contenitori che sembravano dovessero durare per 100 mila anni ma che potrebbero essere cento volte più fragili. Ecco l'elenco dei principali insuccessi.

Discarica in mare. Per molti anni i rifiuti nucleari di bassa attività sono stati gettati in mare. E' un inquinamento durato fino al 1993, quando un trattato internazionale ha preso atto dei rischi che si stavano facendo correre all'ecosistema marino e ha vietato questa pratica.

Asse (Germania). Negli anni Sessanta si è cominciato a lavorare per creare un deposito in formazione saline che sembravano offrire garanzie di sicurezza. Ma pochi anni fa è stato scoperto che infiltrazioni di acqua mettevano a rischio l'isolamento delle scorie nucleari. Attualmente si calcola che ci sia un ingresso di 12 mila litri di acqua al giorno. Una situazione che ha costretto alla decisione di rimuovere i 126 mila barili che erano stati già collocati nel deposito.

La Manche (Francia). Nel 1969 è stata aperta una delle maggiori discariche nucleari a La Manche, nel nord della Francia. Ospita più di 500 metri cubi di materiale radioattivo proveniente dagli impianti di riprocessamento del combustibile delle centrali nucleari. E' stata chiusa nel 1994 e nel 2006 è stata individuata una contaminazione delle falde idriche causata dal deposito.

Yucca Mountain (Stati Uniti). Gli Stati Uniti hanno puntato più di 8 miliardi di dollari sulla costruzione di un deposito geologico a Yucca Mountain, 130 chilometri a nord di Las Vegas, ma l'US Geological Survey ha scoperto una linea sismica che corre sotto il sito creando seri dubbi sulla tenuta delle falde idriche della zona. Il progetto è stato fermato nel 2010 e il futuro della struttura è ancora incerto.



Lezione chiara per chi la vuol capire
di VALERIO GUALERZI

ROMA - Se vi spaventa l'idea che tra pochi giorni il governo potrebbe annunciare la costruzione del deposito nazionale delle scorie nucleari proprio a due passi da casa vostra, o se vi scandalizza aver scoperto che la gestione delle vecchie centrali atomiche italiane ha fatto lievitare la bolletta elettrica di 250 milioni di euro l'anno, provate a consolarvi: poteva andare peggio.

In fondo paure e costi sono proporzionati alla grandezza dell'esperimento nucleare italiano, ovvero ad una stagione durata ben poco, con appena quattro centrali attive e capaci di soddisfare mediamente un 4% scarso del fabbisogno elettrico nazionale.

Ben diverso sarebbe il discorso oggi se due referendum non ci avessero messo al riparo da guai ben più seri. Come se non fosse bastata la consultazione del 1987, con il nucleare italiano cacciato dalla porta sulla scia della tragedia di Chernobil, nel 2010 il governo ha cercato infatti di far rientrare l'energia atomica dalla finestra. Tentativo decisamente più subdolo e insostenibile rispetto all'utopia nucleare del dopoguerra che vedeva nell'atomo la risposta definitiva ai problemi energetici dell'umanità.

Nei piani annunciati dal governo Berlusconi nel 2008 l'Italia avrebbe dovuto costruire infatti la bellezza di 10 nuovi impianti capaci nel giro di qualche anno di soddisfare il 25% dei nostri consumi. Erano i giorni i cui l'amministratore delegato dell'Enel Fulvio Conti spiegava che in Italia il fotovoltaico non aveva futuro perché abbiamo dei centri storici da salvaguardare mentre il suo collega dell'Eni Paolo Scaroni rincarava affermando che ”se tutto il Paese fosse ricoperto di pannelli solari e la popolazione venisse trasferita su navi avremmo comunque a disposizione un quarto dell'energia necessaria".

Sappiamo tutti come è andata a finire la storia: in Italia in pochi anni l'energia solare è passata a soddisfare dallo 0,21% al 7,5% della domanda, mentre le rinnovabili in generale garantiscono il 37,5%. Numeri che uniti al calo dei consumi dovuti alle politiche di efficienza e alla recessione economica hanno obbligato Enel, la stessa Enel che voleva costruire 10 nuovi impianti nucleari, a certificare un eccesso di capacità del nostro sistema elettrico pari a 11MILA MW avviando la chiusura di 23 centrali.

Tutto bene ciò che finisce bene? Non esattamente, perché questa lezione, per quanto chiara, i nostri politici non sembrano averla capita e le sirene che vogliono distrarci da un futuro sostenibile, spingendoci a imboccare ancora strade vecchie e pericolose, non smettono mai di cantare. Archiviati con rischi tutto sommato contenuti i peggiori incubi nucleari, il vero pericolo in tema di politiche energetiche arriva ora dalla smania di trivella del nostro governo. Una voglia - proprio come il ritorno di fiamma per l'atomo – che arriva fuori tempo massimo. Come se non bastassero gli allarmi ambientali (vedi maxi risarcimenti BP), è di pochi giorni fa l'ennesimo rapporto che ci mette in guardia sui rischi della cosiddetta bolla del carbonio: oltre 850 miliardi di investimenti in impianti di sfruttamento dei giacimenti di gas liquido rischiano di andare in fumo se il mondo adotterà le misure di riduzione delle emissioni di CO2 necessarie ad evitare una catastrofe climatica.

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